Il 7 dicembre è l’anniversario (quest’anno sono quindici anni) della scomparsa di Felicia Bartolotta, la madre di Peppino Impastato. A Cinisi è iniziato il 6 dicembre, per proseguire fino al 12 dicembre, un nutrito ciclo di iniziative per ricordarla da parte di scuole, del Centro Siciliano di Documentazione “Giuseppe Impastato” e Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato e momenti spontanei di riflessione e condivisione. “Felicia è stata una donna e madre che ha detto di no alle logiche mafiose ed ha dedicato la propria vita al racconto della verità e alla consegna della memoria, in nome del figlio Peppino, militante ucciso perché aveva lottato contro la mafia” hanno ricordato gli organizzatori e “nel suo impegno svolto quotidianamente, ha creato comunità, la sua casa è diventata un luogo di aggregazione ed un punto di riferimento per tantissime persone che sognano una società migliore”. Quella casa dove rifiutò di far entrare i mafiosi locali e di cui spalancò le porte a giovani e meno giovani, persone interessate e attivisti impegnate per la giustizia e la solidarietà, per un mondo migliore e contro ogni ingiustizia e oppressione.
Felicia, mentre si batteva per ottenere giustizia e verità per l’assassinio di Peppino, ha accolto e intrecciato le resistenze antimafia, anticapitalista, solidali di ogni latitudine, i partigiani di ieri e coloro che oggi lottano per un mondo migliore. La sua casa è stata la casa di dei pacifisti che si impegnano contro le guerre e per il disarmo da decenni e coloro che, a partire da Seattle, Genova e Firenze sono scesi in piazza contro la globalizzazione neoliberista e le ingiustizie globali. E tantissime altre associazioni, movimenti, circoli, parrocchie. E giovani. Ai quali ripeteva sempre di studiare e conoscere. Gramsci scrisse che c’è bisogno di studiare perché è necessaria tutta la nostra intelligenza, don Lorenzo Milani che il padrone è tale perché conosce mille parole e il povero cento. Ed è quindi necessario studiare, imparare, approfondire. Per poter documentare, denunciare, spezzare le catene dell’ingiustizia sociale, del classismo dei potenti, di ogni oppressione e sfruttamento. Spesso si parla e scrive di antimafia sociale. Ma l’antimafia o è sociale o non è. La ribellione di Peppino, la testimonianza esemplare di Felicia e dei tantissimi compagni che hanno proseguito la sua attività politica sono la dimostrazione incarnata che lottare contro le mafie è ribellione ai codici di una società omertosa e ingiusta, abituata a chinare il capo davanti ai forti per imporsi sui deboli, a trasformare tutto in occasione di profitto, devastazione e saccheggio del bene comune per gli sporchi interessi di pochi.
La tenacia di Felicia Bartolotta ci restituisce, ed è per questo importante ancora ricordarla e cercare di proseguire sui suoi passi, un’ulteriore grande lezione: la storia non la scrivono i potenti e non è solo quella dei libri dei vincitori, ma gli oppressi, gli ultimi, gli impoveriti che possono rovesciare la storia già scritta, la piramide della disuguaglianza e dell’ingiustizia e costruire un avvenire diverso e migliore. E la ribellione di chi, nonostante questa società perbenista, conformista e ipocrita va in tutta direzione, crede ancora nei valori dell’umanità e della solidarietà, che si ribella al patriarcato e ai soprusi di regimi opprimenti neocapitalisti, della globalizzazione del mercato ad ogni costo e del trionfo dei ricchi e prepotenti. Felicia Bartolotta Impastato, nonostante le tante archiviazioni e delusioni, ha sempre proseguito la tenace lotta contro chi assassinò Peppino. Perché, ripeteva, non poteva morire prima di vedere la giustizia. E così accadde, grazie all’impegno del giudice Franca Imbergamo, che riaprì l’inchiesta portando alla condanna di don Tano Seduto.