La marcia congolese è un movimento che parte dal basso. È un movimento che coinvolge giovani e anziani, associazioni congolesi ed europee, artisti e intellettuali che hanno deciso di camminare insieme per portare il loro messaggio di rabbia e di pace. È la marcia di un intero popolo, una comunità che attraversa sette paesi europei per parlare alla gente comune e alle istituzioni europee e internazionali.

La marcia è fatta di tanti incontri e scambi personali, ma soprattutto di una speranza: da soli non riusciremo a costruire la pace, è necessario un cammino condiviso che ci permetta di dare uno spazio e dei luoghi a questo massacro dimenticato, di dare giustizia a un popolo che merita di essere riconosciuto nella memoria e nella sofferenza di altri popoli, e che soprattutto vuole collaborare con delle proposte concrete.

Pertanto, concretamente, ecco ciò che chiediamo: 

* la realizzazione di una road map per la pace nella Repubblica Democratica del Congo e nella zona dei Grandi Laghi. Tale road map deve:

1. affrontare prima di tutto la situazione all’interno di ciascun paese interessato con l’obiettivo di portare alla legittimità dei governi ed all’alternanza democratica

2. portare a un percorso di pace tra i vari stati della zona, percorso che deve portare alla riconciliazione tra i vari popoli;

* una risoluzione del problema dello sfruttamento violento (illegale e non) di minerali come coltan, rame e oro attraverso, da un lato, iniziative di trasparenza e tracciabilità già esistenti (per esempio ITRI, GeSI, PACT) e, dall’altro, l’incentivazione di uno sfruttamento equo e durevole di queste risorse. Oltre alle compagnie minerarie e ai governi, questo processo dovrebbe essere diretto soprattutto verso la protezione dei diritti dei lavoratori, da garantire attraverso una rappresentanza istituzionale e autonoma, al momento inesistente nel paese; 

* una maggior attenzione verso il problema dei rifugiati e delle persone sfollate, attraverso iniziative di ricollocazione nei luoghi di origine dove possono riprendere la loro vita con il sostegno e la collaborazione delle organizzazioni per lo sviluppo; 

* una maggiore lotta contro l’impunità delle organizzazioni armate (sia l’esercito che le milizie, sia congolesi che straniere) che sistematicamente calpestano i diritti umani e civili. A questo fine, si rende necessaria, in primis, una giustizia maggiore verso le vittime di guerra, una giustizia che non venga limitata da nessun ragionamento politico opportunistico. In secundis, è necessaria una ristrutturazione delle regole d’ingaggio che attualmente disciplinano l’intervento della Nazione Unite (MONUSCO), ma che spesso si vedono affiancate da un esercito che, secondo loro stesse, è diventato il maggior ostacolo nella costruzione della pace. A questo scopo, la protezione dei civili deve rimanere il primo obiettivo di qualsiasi intervento umanitario o di costruzione della pace.

Solo attraverso la realizzazione di questo piano regionale verso la democrazia e l’autentica partecipazione, si può sperare di risolvere la crisi storica dei Grandi Laghi. Non c’è futuro senza perdono, non c’è perdono senza giustizia.

Per informazioni, contattare:
John Mpaliza (email: john.mpaliza@gmail.com – cell: +39 320 4309765).
Micaela Casalboni(email: micaela@itcteatro.it – cell: +39 339 5460892)

[www.peacewalkingman.org](http://www.peacewalkingman.org)