“Perché si limitano a tenerci vivi? Non abbiamo neppure un filo di speranza a cui appoggiarci. A stare in carcere senza sapere quando finisce la tua pena, ci vuole tanto, troppo, coraggio. Non si può essere colpevoli, cattivi e puniti per sempre. Nessuna condanna dovrebbe essere priva di speranza e di perdono. L’ergastolano se vuole vivere più serenamente deve sperare di morire prima del tempo.” (Dal libro “Nato colpevole” di Carmelo Musumeci, pubblicato e distribuito da Amazon).
Da tanti anni sono un attivista per l’abolizione della pena dell’ergastolo, e del carcere, come solo luogo per espiare la pena.
“Antonio Cianci, l’ergastolano 60enne che tra il ‘74 e il ‘79 uccise un metronotte e 3 carabinieri, venerdì scorso, in permesso premio, ha tentato di ammazzare un anziano per rapinarlo, all’ospedale San Raffaele.” Quando accadono fatti di sangue come questo mi cadono le braccia e il cuore per terra perché immagino le reazioni di chi legge. Innanzitutto trasmetto tutta la mia solidarietà alla vittima dell’aggressione, ma subito dopo mi domando cosa ci stava a fare Cianci ancora in carcere, da 40 anni, per un reato commesso quando aveva 20 anni. E perché allora dicono che in Italia l’ergastolo non lo sconta nessuno?
Bisognerebbe riflettere anche sul fatto che con lui, e con la maggioranza di chi ci finisce dentro, il carcere non funziona e che il 70% dei detenuti che escono ritornano dentro. La verità è semplice: il carcere, così com’è, non è la medicina ma, anzi, è la malattia.
Non voglio, nel modo più assoluto, cercare o trovare delle attenuanti ad Antonio Cianci, ma so che in ognuno di noi c’è il bene e il male e purtroppo, nella stragrande maggioranza dei casi, un carcere cattivo e fuorilegge e una pena che non finisce mai tirano fuori il peggio delle persone.
Ho conosciuto Antonio Cianci negli anni ’80 e nel gergo carcerario fra noi detenuti si diceva che “quello con la testa non ci stava”, ma si comportava bene perché aveva imparato la lezione, che al “sistema” non interessa che tu diventi bravo, ma solo che fai il bravo, anche perché se diventi davvero “buono” crei problemi all’istituzione. Una persona buona, infatti, difficilmente riesce a sopportare le ingiustizie del carcere, fatte su di sé e soprattutto sugli altri compagni.
Penso che prima del detenuto bisognerebbe educare il carcere all’umanità e alla legalità. Tutti sanno che il sistema carcerario è fuorilegge: istituti sovraffollati, fatiscenti e invivibili, condizioni igieniche sanitarie da terzo mondo, suicidi, morti sospette, ecc… Tutti sanno che il carcere è il posto più illegale di qualsiasi altro, ma nessuno fa nulla. Ormai solo i delinquenti, o ex delinquenti, credono e si appellano alla legge, probabilmente perché è difficile accettare di essere in carcere per non aver rispettato la legge e poi dentro vedere che lo Stato e gli uomini dello Stato fanno peggio. Quei pochi detenuti che hanno il coraggio di rivolgersi al Magistrato di Sorveglianza (e questo coraggio lo pagano caro, ne so qualcosa io) spesso vengono additati ed emarginati dalle stesse istituzioni. Allora che fare per portare il carcere alla legalità? Bisogna educare i nostri politici al rispetto della legge (ovviamente senza sbatterli in carcere perché non c’è posto). E dato che nelle 207 carceri italiane quasi nessuno rispetta le leggi internazionali, i trattati, le convenzioni europee, la nostra Costituzione, le leggi nazionali e il regolamento di esecuzione dell’Ordinamento Penitenziario, denunciamo il carcere.
Tutti coloro che affermano di avere a cuore la legalità in carcere, compresi i detenuti, la polizia penitenziaria, i politici e quei parlamentari che una volta ogni mai visitano le carceri, denuncino pure alla Procura della Repubblica tutto quello che vedono e che accade nelle carceri in Italia.
Insomma, non solo con le parole, ma denunciamo il carcere con i fatti! Denunciamo che il carcere è un po’ tutto fuorché un carcere, denunciamo che è un luogo crudele che gli uomini hanno creato e mal governano e che fa diventare i prigionieri più cattivi di quando sono entrati.