Foto: Palermomania.it
Pochi, o nessuno, lo sostengono con forza oggi come Mahathir Mohammad, quarto primo ministro della Malaysia, da 22 anni. Egli confronta quello che facciamo quando una persona ne uccide un’altra con tutto quello che non facciamo quando milioni ne uccidono milioni in guerre di aggressione. Abbiamo leggi chiare, arrestiamo il sospetto, soppesiamo le prove pro e contro in tribunale, e, se trovato colpevole, l’assassino è punito. Ci può essere perfino un sistema di compensazione per i familiari.
Ma nelle guerre fra stati gli assassini ricevono medaglie e onori, e se vittoriosi assaporano una sindrome d’esuberanza post-gloria, covando una nuova aggressione. E le vittime sono lasciate al proprio dolore e a una sindrome di stress post-traumatica, covando un’idea di vendetta. Pazzia, irrazionalità, un male sociale di primo rango, da abolire. Come dice Mahathir: “La pace per noi vuol semplicemente dire assenza di guerra. Non dobbiamo mai venire distolti da questo semplice obiettivo”. Un monito importante per tutti quelli che ampliano i concetti di violenza e di pace: ricordate l’essenza!
Un approccio è la criminalizzazione. Per cui servono leggi chiare, cioè senza scappatoie. La Carta ONU è uno sforzo in tal senso (articoli 1.1 e 2.4) proibendo la guerra e la minaccia di guerra fra gli stati (membri). Le due esplicite eccezioni sono l’uso della forza da parte del Consiglio di Sicurezza ONU, e l’uso della forza per la difesa individuale o collettiva (articoli 42 e 51). Su questo tema sono stae scritte intere biblioteche. Tuttavia, quando si crede di avere diritti umani legittimi disattesi, alla fin fine si può ricorrere alla violenza. Un esempio chiave oggi è il caso delle nazionalità non-dominanti: la gran parte, diciamo 174 stati membri ONU sono multi-nazionali ma solo 4 hanno saputo gestire l’uguaglianza fra le nazionalità: Svizzera e Belgio in Europa, India (non in Assam) e Malaysia in Asia. Con una media di 10 nazionalità per stato con una dominante – e i diplomatici operano nell’interesse di quell’una – ci sono potenzialmente 1.500 guerre. Ne abbiamo avute e ne abbiamo tuttora alcune.
L’ovvia soluzione è imparare da quei quattro stati: una federazione entro lo stato con uguali livelli d’ autonomia per le nazionalità, e una comunità, una confederazione con i vicini giacché le nazioni sovente oltrepassano i confini. Però, i diplomatici tendono a non lavorare per qualcosa del genere bensì per le nazioni dominanti, e anche l’ONU è un sindacato di governi che preferiscono stati unitari. Il progresso passa per la teoria e la prassi della risoluzione del conflitto. Sicché, in un mondo ottagonale così:
India Cina
Russia OIC
USA EU
America Latina Africa
(“USA” copre anche Israele e Giappone; l’ASEAN – Associazione delle Nazioni Sud-est-asiatiche è fra la Cina e l’OIC – Organizzazione della Cooperazione Islamica), ci sono 28 rapporti bilaterali saturi di potenziali per conflitto e cooperazione. Un compito principale è identificare la conciliazione dei traumi del passato, soluzioni ai conflitti del presente e idee costruttive per la cooperazione del futuro.
Come fa notare il professor Liu Cheng dell’Università di Nanchino in un imminente e importante libro di studi per la pace: in un mondo con tanti valori condivisi e tanta interazione, le guerre semplicemente non hanno posto. E diventano ancor più assurde – uno iato totale fra valori e fatti, cultura e struttura – rispetto a quanto è possibile fare.
E qui il passato soccorre. Non siamo riusciti ad abolire la guerra – in effetti siamo sotto la minaccia di guerre su larga scala – ma abbiamo avuto molto successo con altri due grossi mali sociali, la schiavitù e il colonialismo, e l’umanità è all’opera su altri due, il patriarcato e la crisi ecologica. Ci sono cose da imparare dalla riuscita e dal fallimento in tutte e quattro, in quanto ipotesi valide per un’eventuale trasposizione all’abolizione della guerra mediante la criminalizzazione. Mahathir considera effettivamente la guerra come una mancanza di civiltà, e lo è di certo, per qualunque ragionevole interpretazione dell’essere civili.
Ma come fare con il terrorismo? È già criminalizzato. Tuttavia non lo è il terrorismo di stato, che fa tante più vittime, forse in proporzione di 99 a 1. C’è una Corte Penale Internazionale – eccetto che per gli USA.
E ciò ci conduce da un’attenzione focalizzata sulla geografia del mondo attuale e sulla storiografia del mondo passato, da alternative alla guerra e da ciò che possiamo imparare dalle lotte contro altri mali sociali, alla criminalizzazione stessa. Parliamo di un approccio legale in senso lato. In cui lo ius cogens – visto come norma costrittiva – ha un ruolo chiave nella protezione della vita umana da crimini come la tortura e il genocidio. Ma più ancora muoiono di fame, però non riconosciuta come crimine, forse perché può essere dovuta più ad atti di omissione che di commissione. Le guerre di aggressione, però, con o senza mandato del Consiglio di Sicurezza ONU, di cui si tenti la giustificazione come guerre difensive o meno, sono chiaramente atti di commissione. Che ci siano problemi di definizione e delimitazione dei confini è chiaro. C’è un processo che sta rendendo sempre più angusto la spazio per la “guerra necessaria, legittima”; la questione è come accelerarlo.
Un modo sarebbe mediante l’universalizzazione del diritto, rendendo tutti i crimini contro l’ umanità punibili ovunque. Le guerre di aggressione presuppongono decisioni al vertice degli stati, rendendo i loro atti di commissione potenzialmente punibili in qualunque paese. Torna in mente il caso Pinochet, e l’importante ruolo dell’ex-giudice spagnolo Balthazar Garzón. Ci sono ambiguità, e possibilità dappertutto.
Abbiamo indicato tre approcci sulla strada verso la visione di un mondo civile secondo Mahathir: geografico, storico e giuridico, come parte della ricerca della Cattedra di Studi sulla Pace Globale (GPS, Global Peace Studies) di Mahathir alla IIUM (International Islamic University of Malaysia, Università Islamica Internazionale della Malaysia). Come primo titolare della cattedra – due anni a partire dal prossimo 1° marzo – sono profondamente onorato e stimolato da questa opportunità di dedicare insegnamento e ricerca a questo elevato obiettivo, e accolgo molto volentieri ogni eventuale idea e suggerimento.