Ancora una volta il programma Joint Strike Fighter (quello di produzione degli ormai famigerati caccia F-35) ha subito una bocciatura da parte di uno degli enti di controllo dell’amministrazione statunitense. Dopo le grandi problematiche tecniche e di gestione sottolineate qualche settimana fa dal DOT&E del Pentagono, è ora il GAO (l’organismo di controllo e ricerca del Congresso USA) a riprendersi il proprio turno, come già successo numerose volte in passato, nella sequenza di critiche al programma militare più costoso della storia.
Critiche che, è bene sottolinearlo una volta di più, non si esauriscono nella dimensione tecnico-ingegneristica del programma ma vanno sempre più frequentemente ad interessare le dinamiche di base di gestione e di evoluzione di tutto il JSF. Un aspetto ben più grave e sicuramente non risolvibile solo con maggiori investimenti in sviluppo progettuale. Ormai è chiaro a quasi tutti, tranne i ciechi sostenitori del programma sulle due sponde dell’Atlantico, che i fallimenti dell’F-35 non riguardano più solo l’aspetto dei costi, forse il primo a giungere all’attenzione del grande pubblico. La spirale negativa dei problemi tecnici è lampante. Solo per ricordare alcune questioni: un aereo che dovrebbe essere “stealth” attualmente è di un ordine di grandezza più rumoroso degli aerei che dovrebbe sostituire (in particolare la versione “B” ad atterraggio verticale dei Marines); lo sviluppo di software per l’aereo, come appunto sottolineato dal recente Report del Pentagono, è sempre più in ritardo e ciò a propria volta ha un impatto negativo sulla capacità di completamento di sviluppo e test in volo. Solo nel 2015 il pacchetto software sarà pronto per una capacità operativa iniziale come da tempo richiesto e desiderato proprio dal Corpo dei Marines.
Attualmente il programma si trova quindi in una situazione che configura un ritardo di sette anni ed uno sforamento del budget di più di 160 miliardi di dollari rispetto alle previsioni iniziali. È molto utile fare memoria del percorso passato del Joint Strike Fighter, per non farsi ogni volta “incantare” dalle rassicurazioni e previsioni positive del JPO (l’ufficio di programma) e di Lockheed Martin. Nel 2003 l’Air Force statunitense prevedeva di comprare 110 aerei per ciascuno degli anni fiscali 2015 e 2016: all’epoca si pensava che la produzione “a pieno ritmo” (cioè la fase finale e matura del progetto) sarebbe stata iniziata già nel 2014. Considerando un tempo di produzione di circa 2 anni, dal momento dell’ordine, l’idea era quella di garantire all’USAF almeno 550 F-35A maturi e completi per la fine del 2020. Ma già nel 2006, dopo l’evidenza dei primi problemi di sviluppo e l’esplosione dei costi, la previsione era scesa ad 80 velivoli annui per il 2015-16, sempre in uscita da una produzione “full-rate” che si sarebbe poi protratta per ulteriori 10 anni. Passa del tempo e nel budget 2012 l’Aeronautica militare a stelle e strisce decide di ridurre ulteriormente le aspettative attestandosi a 50 aerei per il FY15 (“fiscal year”) e 70 per il FY16. Ma tutti usciti dalla produzione iniziale a basso rateo e con lo sviluppo progettuale non ancora terminato: una qualità ben diversa per ogni aereo. Da pochi giorni è stata presentata da Obama la proposta di budget FY15 che chiede il finanziamento per 26 F-35A per il 2015 e 44 per il 2016. Si tratta di 84 velivoli in meno delle prime previsioni e di un dimezzamento rispetto a quanto messo in conto solo tre anni fa. Una disfatta su tutta la linea, per usare termini militari. Con degli ovvi e pesanti risvolti negativi anche sul portafoglio dei contribuenti: nel budget appena presentato si mette nero su bianco che il costo medio per aereo (si intende il Weapon System Unit Cost, prezzo reale per mettere in servizio il jet senza contare costi di sviluppo) relativo all’acquisizione complessiva di oltre 1.700 aerei USAF è cresciuto del 27% rispetto alla previsione del budget 2012. Una crescita di più di un quarto del costo totale in soli tre anni.
Le nuove sottolineature del GAO
Veniamo dunque al Rapporto GAO appena diffuso, che si concentra principalmente sullo sviluppo del software ormai considerato il tallone d’Achille vero del progetto. Già dal titolo (“Problems Completing Software Testing May Hinder Delivery of Expected Warfighting Capabilities”) si sottolinea come la situazione possa compromettere il rilascio di versioni dell’aereo pronte al combattimento. Causando nel contempo una crescita nei costi, già alti, di sviluppo.
“Problemi di software persistenti” hanno rallentato i test relativi ai sistemi bellici del velivolo, quelli di navigazione, di puntamento e di riconoscimento. Come già ricordato, i Marines vorrebbero avere la versione B (decollo corto ed atterraggio verticale) pronta al combattimento per la metà del 2015, ma non sembra che sia possibile completare in tempo alcuni test sul software relativo. Il
ritardo prefigurato raggiunge i 13 mesi.
“Ritardi di tale portata avrebbero come significato che il Corpo dei Marines non sarà probabilmente in grado di ottenere tutte le funzionalità attese per il mese di luglio 2015. Questi ritardi hanno inoltre effetto moltiplicatore e mettono a rischio anche la consegna nei tempi previsti di aerei con le capacità operative richieste da Air Force e Navy” si legge nelle conclusioni del Documento GAO.
La riposte di Lockheed Martin, in un commento addirittura precedente alla lettura del Rapporto, è dello stesso tenore di confidenza “aprioristica” mostrato negli ultimi tempi. “Confidiamo che saremo in grado di completare tutti i test sul software come richiesto dal Corpo dei Marines entro questo anno”, ha dichiarato Laura Siebert portavoce del colosso armiero USA.
Eppure, secondo il Government Accountability Office, i “problemi nello sviluppo e nel controllo del software dei sistemi di missione è continuato per tutto il 2013 a causa soprattutto di ritardi nella consegna degli aggiornamenti, capacità limitata degli stessi una volta consegnati e la necessità continua di risolvere problemi emergenti e ri-testare versioni multiple del software stesso“.
Una problematica non secondaria se è vero che il GAO sottolinea come “senza una chiara comprensione delle capacità operative specifiche che saranno fornite inizialmente (si ipotizza quindi un abbassamento degli standard vista la situazione NdR) il Congresso e i vertici Militari potrebbero non essere in grado di prendere decisioni pienamente informate sull’allocazione delle risorse”. In pratica: una scelta al buio a riguardo del programma più costoso e problematico attualmente in corso!
Per completare il programma nei termini stabiliti il Dipartimento della Difesa dovrebbe procedere ad un incremento costante nel finanziamento per i prossimi 5 anni, con una media di costo annuale di 12,6 miliardi di dollari fino al 2037. Il picco di costo supererà, per molti anni, i 15 miliardi di dollari ma “un finanziamento annuale di questa grandezza pone chiaramente dei problemi di sostenibilità a lungo termine, considerata l’attuale situazione fiscale” secondo il GAO. In pratica i dati continuano a confermare l’allarme globale sul Programma lanciato da tempo da molti commentatori e gruppi sia negli Usa che negli altri Paesi partner. Una situazione che dovrebbe preoccupare anche l’Italia, se deciderà di continuare a investire i propri soldi sul JSF. I costi sono inoltre tenuti alti da una “affidabilità minore del previsto” come già sottolineato dal rapporto DOT&E.
Val la pena di sottolineare, come sistematicamente già fatto in passato, che le principali problematiche che stanno affliggendo il programma dei caccia F-35 non dipendono solo da fisiologici “intoppi tecnici”, che ci si potrebbe ovviamente aspettare in un progetto così complesso, ma dalla particolare impostazione del programma che vede la produzione iniziata ben prima del termine della fase di sviluppo e di progettazione. L’ormai famigerata “concurrency”. Non è un caso quindi che, nell’ultima richiesta di bilancio, l’Air Force Usa abbia allocato circa 1,4 miliardi di dollari in cinque anni (ma altri fondi saranno poi richiesti) proprio per risolvere problematiche legate a questa dinamica. Con una lista di oltre 150 necessità tecniche da dover gestire proprio a causa di questa impostazione. Diverse centinaia di milioni di dollari saranno dedicate a sistemazioni ed aggiornamenti su velivoli già prodotti nelle prime fasi “a basso rateo” ma che non si possono considerare di standard accettabile, nonostante accettazione formale di produzione da parte del Governo statunitense. Una procedura che andrà poi ad interessare anche i Lotti 6,7 ed 8 che comprendono pure aerei acquisiti dall’Italia. Nella lista di priorità dettagliata dall’Aviazione USA sono incluse tra le altre cose: le componenti per migliorare la protezione contro i fulmini, le prestazioni del seggiolino eiettabile, l’illuminazione sulle punte delle ali del jet, la zona preposta ad accogliere missili ed armi, il sistema di gestione termica e di potenza del velivolo, i condotti d’aria per il motore prodotto da Pratt & Whitney, la resistenza delle paratie ed infine il complicato sistema di display digitale montato dall’avveniristico casco.
Come tutta questa situazione problematica si concili con la tranquillità e confidenza mostrata sia dal produttore Lochkeed Martin sia dagli Uffici del Pentagono che gestiscono il JSF risulta essere abbastanza un mistero. Certo conta molto anche il supporto (interessato? spinto?) di una parte della politica. Come ad esempio quello del Senatore Richard Blumenthal, un Democratico del Connecticut, appena nominato presidente della sotto-commissione del Senato di Washington che sovrintende al programma F-35. La cosiddetta commissione “AirLand” è una delle più potenti del Congresso a causa del ruolo preminente che l’aviazione ricopre nella moderna strategia militare. “Sono un grande sostenitore del Joint Strike Fighter”, ha detto Blumenthal nelle sue prime dichiarazioni da presidente “e continuerò ad esserlo. Molti dei problemi sono stati risolti. Cercherò di evitare ulteriori ostacoli o carenze di finanziamento”. Una bella fiducia, non si sa basata su cosa, superata solo dalla capacità di analisi: alla domanda su cosa si possa fare per raggiungere i risultati finora sempre mancati dal programma Blumenthal ha risposto nella maniera più candida possibile: “Beh, possiamo fare in modo che le risorse ci siano sempre”. In pratica: nessun interesse per come vadano realmente le cose, l’importante è continuare a rimpinzare di denaro il complesso militare-industriale.
Le dichiarazioni paiono davvero scollegate dalla realtà, considerando anche le ultime dettagliate note del GAO che abbiamo presentato in precedenza. Resta irrealistica anche la continua sicurezza riguardo ai costi unitari degli aerei, che Lockheed Martin continua a spergiurare si abbasseranno entro il 2019. Un’ipotesi fortemente supportata anche dal Pentagono: “Il costo di un F-35A nel 2019 si attesterà tra gli 80 e gli 85 milioni di dollari tutto compreso, con motore, profitto per il produttore, inflazione…” ha recentemente dichiarato il Generale Chrisopher Bogdan capo del Programma JSF. Quello che resta da capire è come si riuscirà ad ottenere questo risultato con un programma che continua ad accumulare problematiche e che ogni anno vede uscire dal nulla nuove necessità finanziarie.
Su questo punto il GAO si limita a registrare gli annunci alla stampa e sottolineare quanto manca a realizzarli: per la versione A si dovrà ottenere una riduzione di oltre 40 milioni di dollari ad aerei rispetto al costo a consuntivo degli aerei prodotti nel 2013. Un “recupero” di oltre il 33% in 5-6 anni, che lascia davvero qualche perplessità.
Nel documento si nota quindi come “il finanziamento attuale e le quantità previste nel programma indicano che i costi unitari nel 2019 potrebbero effettivamente essere superiore agli obiettivi. Il Sottosegretario per le Acquisizioni della Difesa ha pubblicato un memorandum ad aprile 2013 spiegando che i vincoli (…) debbano garantire che i programmi insostenibili non entrino nel processo di acquisizione militare. La nota prosegue affermando che se i limiti di accessibilità vengono violati, i costi devono essere ridotti o il programma altrimenti dovrà essere cancellato“. Una fine ingloriosa non proprio così impensabile per il Joint Strike Fighter.
Tanto è vero che, al di là delle roboanti affermazioni pubbliche, proprio in questi giorni il Pentagono ha deciso di bloccare il pagamento di 231 milioni di dollari a Lockheed Martin fino alla completa implementazione di modifiche necessarie per gli F-35 già consegnati, incluse le ormai famose protezioni contro i fulmini.
Nessun pagamento relativo verrà eseguito finché il colosso texano non correggerà cinque “variazioni importanti” relative a 16 aerei della versione B per i Marines (129 milioni trattenuti), 11 modelli A dell’Aeronautica (83 milioni di trattenute) e 4 F-35C della marina (17 milioni di dollari). Ulteriori 2 milioni di dollari sono congelati per problemi già sorti su lotti successivi, sempre più vicini a quelli che coinvolgono anche la Difesa italiana.
Negli anni ’90 e nei primi anni del nuovo Millennio l’obiettivo del Joint Strike Fighter (secondo le dichiarazioni dei vertici del Pentagono) era di diventare un “modello tra i programmi di acquisizione della Difesa”. Giudicate voi il risultato. E sulla base di tutti questi dati l’Italia dovrebbe stare molto attenta, visto che di F-35 si andrà a discutere presto anche nel nostro Parlamento.