Il senso del Sinodo dei vescovi sull’Amazzonia (iniziato a Roma lo scorso 6 ottobre e che si concluderà a fine mese) è per il pontificato di Papa Francesco una nuova tappa di un percorso che parte da lontano. Può essere visto anche come un momento di sintesi dell’impegno che il Pontefice sta seguendo per un cammino che veda l’uomo come custode della Terra, che un cristiano vede come l’insieme dei beni del Creato.
Ma perché proprio l’Amazzonia? E’ forse una delle aree del mondo che maggiormente riassume i mali e i sogni del mondo: caratterizzata dalla profonda biodiversità, è stata compromessa in parte da inurbamento e dal capitalismo. La Foresta riunisce diversi Stati sudamericani e, dunque, impone un percorso basato sul dialogo (anche se poi, la politica, non segue lo stesso suggerimento che viene dalla natura). E’ il polmone del pianeta ed è il luogo dove è forte la migrazione (per diversi motivi, ora economici come in Venezuela, ora ambientali). E’ il luogo dove è necessaria una politica di confronto con le comunità locali e indigene, dove la stessa Chiesa si trova davanti al problema di come vivere il senso stesso della sua missione. Ritorna alla mente una frase detta dallo stesso Francesco quando era cardinale, ai vescovi latino-americani nel 2007: “Viviamo nella parte più ineguale del mondo”.
L’ambiente. Il Papa ha le politiche dello sviluppo sostenibile nell’animo. E lo esprime con il nome che ha scelto: Francesco. Nel corso dell’omelia della messa inaugurale del suo pontificato, ha citato il poverello di Assisi puntando al rispetto per l’ambiente. E la sua seconda enciclica riporta il nome di un cantico del Santo, Laudato si’.
L’America Latina. Argentino d’origini italiane, Jorge Mario Bergoglio (ora Papa Francesco) ha puntato sin dall’inizio ad affrontare i temi più spinosi del continente. Il suo primo viaggio apostolico fuori dall’Italia è stato nel 2013 a Rio de Janeiro per la Giornata mondiale della gioventù. Nel 2015 non è mancata la visita prima in Ecuador, Bolivia e Paraguay, e poi a Cuba e negli Stati Uniti (qui ha contribuito alla politica del disgelo). Nel 2017, è stata la volta della Colombia. Nel 2018 è toccato a Cile e Perù. A gennaio di quest’anno, invece, è volato a Panama.
La situazione politica. Il premier brasiliano Jair Bolsonaro più volte ha pungolato il Sinodo per l’Amazzonia. “Stanno cercando di creare nuovi Paesi dentro il territorio brasiliano”, ha detto. L’obiettivo del pontefice, invece, è diverso: parlare con gli emarginati. Bolsonaro non è venuto in Vaticano. Ha chiesto al suo vicepresidente, Hamilton Mourao, di portare il suo intervento Oltretevere. La posizione è abbastanza complessa e Mourao ha precisato dicendo che l’Amazzonia “è brasiliana ed è nostra responsabilità tutelarla e preservarla”, sottolineando come il governo Bolsonaro non sia “responsabile del genocidio degli indigeni” o che sia quello “di coloro che distruggono la foresta”. Sul rapporto con la Santa Sede, Mourao ha cercato di smussare gli angoli. Infatti, il numero due di Brasilia ha sottolineato: “Il governo del Brasile non può giudicare quello che fa il Papa, è il leader supremo della Chiesa cattolica. Non possiamo immaginare il Papa come un nemico, la Chiesa ha sempre fatto parte della vita del Brasile”.
Papa Francesco nel corso di questo suo pontificato ha puntato molto sulla questione americana. La Chiesa ha una posizione netta sui migranti (andando contro la politica delle ‘porte chiuse‘ di Donald Trump) e si sta battendo duramente a sostegno della pace in Venezuela e in Colombia
Gli ultimi. Il Papa ha avviato questo Sinodo chiedendo di avvicinarsi “in punta di piedi” ai popoli amazzonici, rispettando le loro culture. Un percorso in piena linea rispetto a quanto lui stesso ha disegnato nel corso degli anni a sostegno dei più deboli. Testimonianza lo è, ad esempio, iI Giubileo straordinario: dedicato alla Misericordia è stato aperto con un suo viaggio Apostolico in Repubblica Centrafricana. Nella Cattedrale di Notre-Dame di Bangui ha aperto la “Porta Santa”.
Chi partecipa al Sinodo. Sono 184 i ‘padri sinodali‘, di cui 113 vengono dalle diocesi delle diverse regioni amazzoniche. Oltre a loro, ci sono i capi dicasteri della Curia romana (13) e altri delegati. Oltre a 17 rappresentanti di popoli ed etnie indigene.
Alcuni tra i temi principali
1. Si chiamano ‘viri probati’: sono uomini (anziani) di provata fede, sposati, che possono esseri ordinati sacerdoti. Il problema che la Chiesa ha in Amazzonia è infatti quello della gestione della vita spirituale sul posto, in comunità profondamente lontane tra loro. Oltre ai ‘viri’ nel sinodo si sta parlando anche di dare alcuni ministeri alle donne.
2. Il rispetto dei diritti e dell’ambiente. Nell’area amazzonica due delle piaghe sono quelle della pedofilia e degli abusi sessuali. Queste richiedono una Chiesa, spiegano dal Sinodo, che sia “vigilante e coraggiosa”. Nel 2018 solo in Brasile si sono contati 62mila casi di stupro. Poi viene il narcotraffico. Nell’area amazzonica, secondo alcuni dati diffusi nel Sinodo, la coltivazione di coca è passata da 12 mila a 23 mila ettari, “con effetti devastanti dovuto all’aumento della criminalità e allo sconvolgimento dell’equilibrio naturale del territorio, sempre più desertificato”.
3. Uniti nella diversità. Da una parte c’è una ricchezza dell’habitat da preservare, ma dall’altra anche una ricchezza culturale dettata dalle diverse comunità indigene. In alcune diocesi la Chiesa si trova ad avere mille villaggi e i fedeli che vedono un sacerdote giusto un paio di volte l’anno. Ecco perché l’idea dei ‘viri probati’ potrebbe essere una delle soluzioni individuate.
4. Gli eco-peccati. In una delle proposte avanzate nel corso del Sinodo c’è anche quella dei peccati contro l’ambiente. Avrebbero lo stesso peso di un peccato contro Dio, contro il prossimo e le future generazioni.