“RBUI, il nostro diritto di vivere” è il titolo del documentario sul Reddito di base universale e incondizionato appena tradotto in italiano e disponibile sui canali di Pressenza. Frutto del lavoro collettivo e volontario del regista Álvaro Orús, del musicista David Bazo e di molte persone che l’hanno progettato, girato, montato, tradotto e diffuso, il film – visibile qui e in fondo all’articolo – illustra in modo semplice e diretto perché dovremmo prendere in seria considerazione una delle idee politiche più rivoluzionarie del momento, una proposta che riporta al centro, grazie ad una fiscalità più giusta, la redistribuzione della ricchezza. Centralità, ahimè troppo spesso rimossa dal dibattito pubblico nonostante l’articolo 53 della Costituzione italiana prescriva un sistema tributario “informato a criteri di progressività” in grado di ridurre il divario tra ricchi e poveri.
Il Reddito di base universale e incondizionato consiste in un contributo mensile distribuito a tutti, lavoratori o disoccupati, e cumulabile con altri redditi (da lavoro, da impresa, da rendita), indipendentemente dal sesso, dal credo religioso e dalla posizione sociale.
Per entrare nel vivo di questa proposta, per capirne la genesi, le radici storiche, per approfondire le sperimentazioni e i vantaggi promessi, ma anche per conoscerne le critiche e le potenzialità, abbiamo raggiunto a Madrid una delle autrici del documentario, la giornalista e codirettrice di Pressenza Juana Pérez Montero che nei mesi scorsi ha presentato il documentario in Argentina, Cile, Bolivia, Brasile, Perù, Costa Rica, Stati Uniti, Spagna, Italia, Olanda, Germania e Grecia.
Qual è la tua definizione di Reddito di base?
Il Reddito di base è una misura rivoluzionaria e, allo stesso tempo, essenziale in questo momento storico dove le condizioni di vita delle persone vengono calpestate senza ritegno.
Si tratta di un’indennità che ogni cittadino dovrebbe ricevere solo per il fatto di esistere. È universale, cioè destinata tutti, dai più poveri ai più ricchi. È incondizionata, non importa se hai un altro reddito o meno, non importa se hai un lavoro o sei disposto o meno a lavorare, non ci sono condizioni. Si tratta inoltre di un reddito individuale che viene concesso ad ogni singola persona, a differenza di altri aiuti destinati ai nuclei familiari.
Perché dovremmo introdurlo nei nostri sistemi di welfare? In Italia abbiamo già il Reddito di cittadinanza che per Di Maio “ha abolito la povertà”.
Per ragioni diverse. Il Reddito di base di base metterebbe subito fine alla povertà, è facile intuirlo. La misura del Reddito di cittadinanza italiano, per come è pensata, non ha invece niente a che fare con il Reddito di base. Il sistema economico attuale assicura la nostra sussistenza attraverso un salario derivato dal lavoro, un fenomeno che a nostro avviso va necessariamente messo in discussione. Adottare il Reddito di base significa infatti redistribuire quella ricchezza che è il risultato del lavoro di migliaia di generazioni nella storia, e del contributo, in forme molto diverse, dell’intera popolazione attuale del pianeta. Oggi invece queste immense risorse si accumulano sempre di più nelle mani di pochi, aumentando le diseguaglianze.
Universale vuol dire però che viene dato anche ai ricchi.
Difendiamo il fatto che diventi un diritto universale, il primo di tutti i diritti, il diritto alla sussistenza, il diritto di una persona, di ogni essere umano, di poter continuare a vivere. Affinché sia un diritto universale, deve essere quindi riconosciuto a tutta la popolazione.
Ciò non vuol dire che sia una misura iniqua. Tutte le persone lo dovrebbero ricevere ma non tutte le persone ne beneficerebbero perché, in un modo o nell’altro, le persone più ricche dovrebbero pagare più tasse, come del resto è previsto dalla vostra Costituzione. Parte di quelle tasse sarebbero utilizzate per pagare quel Reddito di base universale e incondizionato.
Che cifra potrebbe essere sufficiente per raggiungere gli obiettivi?
L’importo di cui stiamo parlando è ciò di cui una persona ha bisogno per avere delle condizioni di vita dignitose. In Spagna, le proposte presentate si aggirano tra i 650 e i 700 euro mensili. Negli Stati Uniti i promotori di questo diritto si attestano sui 1.000 dollari al mese.
Naturalmente dobbiamo considerare le condizioni economiche esistenti in ogni paese e produrre quei meccanismi fiscali più adatti per poter contare sulle risorse che permettano di garantire un Reddito di base universale, senza dipendere, in particolare per i paesi più poveri, da progetti che provengano dal Nord del pianeta sotto forma di aiuti. Si tratta di un tema su cui sono in corso ricerche e analisi ma che al momento non è stato ancora risolto; come del resto non è stato risolta l’enorme sperequazione tra i redditi di paesi diversi.
A partire dal Reddito di base si affrontano sfide molto interessanti da risolvere, in grado di mettere in discussione altri elementi del pensiero unico di cui finora non abbiamo tenuto sufficientemente conto a livello planetario.
Come può essere finanziato nell’epoca dell’austerità e dei tagli alla spesa pubblica?
Ci sono diverse proposte, il dibattito è aperto. Dalla tassazione delle grandi fortune, delle grandi aziende, all’imposizione di una tassa su tutte le transazioni finanziarie fino ad arrivare ad una fiscalità che, ad esempio, colpisca i robot che cancellano posti di lavoro. Buona parte delle proposte mirano ad aumentare le tasse a coloro che hanno di più, e questa sarebbe una misura di giustizia sociale se si cominciasse a redistribuire quei profitti che pochi ricevono grazie al contributo di tutti.
Puoi farci degli esempi?
Alcuni candidati democratici alle prossime elezioni statunitensi – come ad esempio Andrew Yang che sta lanciando il cosiddetto “dividendo della libertà”, ma anche James Felton Keith – propongono la copertura del Reddito di base con tasse alle grandi imprese come Apple, Facebook, Google per garantire 1.000 dollari al mese ad ogni americano. Questo considerato il “lavoro” gratuito che ogni fruitore di queste piattaforme “regala” ai loro proprietari garantendo loro profitti immensi. Le possibilità sono molte, si tratta di solo di volontà politica. Tutti i difensori concordano sul fatto che si tratta di una misura che ci consentirebbe di vincere in piena libertà.
In Europa esiste una proposta di finanziamento molto approfondita, con dati e analisi dettagliate. L’hanno fatta tre economisti spagnoli, Daniel Raventós, Jordi Arcarons e Lluis Torrens sulla base della rimodulazione dell’aliquota d’imposta sulle persone fisiche. È grazie a questa la proposta che a ciascun cittadino sarebbe garantita una somma tra i 650 e i 700 euro al mese.
Quali sono le differenze rispetto al Reddito minimo garantito?
Che il Reddito minimo garantito è un reddito solo per i poveri. E anche se in Spagna, ad esempio, molti attori sociali – soprattutto politici, economisti e media – parlano di Reddito di base quando si riferiscono al Reddito minimo, le due misure non hanno niente a che fare l’una con l’altra.
Il Reddito minimo è basato sulla carità e non sul diritto alla sussistenza di chi lo riceve. Studi hanno dimostrato che non solo non aiuta ad uscire dalla povertà, ma addirittura la cronicizza. Chi lo riceve viene inoltre stigmatizzato dalla società generando così una sorta di circolo vizioso da cui è molto difficile, sempre più difficile, uscire.
Quali sono le origini del Reddito di base, quale la sua storia?
Quella del Reddito di base universale e incondizionato è ormai una lunga storia, che affonda le origini nei secoli. Evidentemente si tratta di una proposta radicale di cambiamento del modello vincente che a quanto pare non sa e non vuole redistribuire la ricchezza prodotta con il contributo di tutti gli esseri umani. Non è un caso, infatti, se l’1% più ricco dell’umanità possiede più ricchezza netta del resto del pianeta o se le otto persone più ricche possiedono tanto quanto la metà più povera della popolazione mondiale.
Sono tanti i pensatori che nel tempo hanno trattato questo tema, eccone alcuni.
Thomas Paine in Agrarian Justice (1797) propone un’indennità universale al raggiungimento della maggiore età (21 anni) e una pensione di vecchiaia (50 anni), come compensazione per l’ingiusta distribuzione della proprietà terriera considerata patrimonio comune della specie umana.
Il filosofo Charles Fourier afferma nella prima metà dell’Ottocento la necessità di una compensazione per la privazione del diritto naturale alla caccia, alla pesca, al raccolto e alla pastorizia per procurarsi il cibo.
Tommaso Moro nella sua Utopia scrive: “Bisogna creare qualche fonte di sussistenza perché nessuno si trovi nella crudele necessità di rubare prima e poi morire […]“.
Ne Il diritto alla pigrizia. La negazione del diritto al lavoro (Parigi, 1880) Paul Lafargue dice: “Un cittadino che offre il suo lavoro in cambio di denaro degrada al rango di schiavo. Se la classe operaia si sollevasse, non per rivendicare i diritti dell’uomo, che non sono altro che i diritti di sfruttamento capitalistico, non per rivendicare il diritto al lavoro, che non è altro che il diritto alla miseria […] vedrebbe un nuovo universo“.
Gandhi in Politica della nonviolenza spiega: “In una società ben ordinata, assicurare il sostentamento di tutti dovrebbe essere la cosa più facile del mondo […] La prova della buona organizzazione di un paese non è il numero di milionari che possiede, ma l’assenza di fame nella sua popolazione […]“.
E il pensatore Silo, nel discorso Lasciate lavorare le macchine! (1996) dice, prevedendo la situazione in cui viviamo oggi: “Oggi il computer sostituisce diecimila lavoratori e vorrei che ne sostituisse un milione. Beh, ma così si generano i disoccupati? Sì e allora? Non è questo il problema, il problema è che vivano, che mangino, che abbiano salute, istruzione, che possano proteggersi dalle inclemenze di ogni tipo, che possano progettare il loro futuro“.
Ci sono delle sperimentazioni concrete?
Tutte le prove che sono state effettuate hanno avuto successo. Da quella condotta dal primo ministro canadese Pierre Trudeau tra il 1975 e il 1979 agli esperimenti condotti in India, Finlandia, Uganda, per arrivare a quelli attuali in Kenya o a Barcellona.
Di questi ultimi, disponiamo di sufficienti indicazioni per pensare che avranno dei risultati molto buoni. Le prove precedenti sono sufficientemente documentate e hanno sempre avuto conseguenze positive per coloro che hanno ricevuto un Reddito di base e, cosa da non sottovalutare, per la comunità in cui è stato erogato.
Un’esperienza molto interessante è quella dell’Alaska, dove lo stato eroga ai cittadini parte dei dividendi ottenuti dall’estrazione del petrolio, una risorsa che riconosciuta non rinnovabile e di proprietà di tutta la popolazione e non solo delle multinazionali che la estraggono.
L’idea è sempre più presente in diversi paesi di tutta l’America e anche in Europa procede, in alcuni paesi dell’Asia, alcuni collettivi cominciano a diffonderla in Africa.
Chi si oppone al Reddito di base?
Ci sono oppositori da destra a sinistra, anche paradossalmente tra quelli che potrebbero trarne i maggiori benefici. Stiamo toccando uno degli elementi centrali del sistema di credenze che è alla base della nostra società.
Molti si oppongono per una questione morale: denaro che va a qualcuno che non se lo è guadagnato, che non se lo merita. Altri si oppongono perché pensano al dilagare della pigrizia, ma l’esempio dell’Alaska ci dice il contrario, o che in questo modo si perpetuerebbe il sistema capitalista. Non manca chi pensa che non bisogna dare nulla a chi non lavora esattamente come lui e così via.
In prospettiva?
Quanto più la gente è informata, tanto più è favorevole.
Quali effetti ha sullo sfruttamento dei lavoratori, sul lavoro non dichiarato o volontario, sulla flessibilità, sul lavoro precario?
Avere un plafond di denaro sufficiente per vivere in condizioni di vita degna dà una libertà enorme che si manifesta nella capacità di scegliere o meno il tipo di lavoro, di negoziarne le condizioni, ecc. L’attuale sistema sta invece riportando il mondo del lavoro a condizioni di semischiavitù, se non di schiavitù vera e propria, basti vedere chi e come viene usato per i raccolti agricoli. Viviamo in un sistema basato sul pericoloso e travisato concetto di meritocrazia, un valore che non si applica, ad esempio, ai nati ricchi o a coloro che con il loro lavoro danneggiano la società.
Con il Reddito di base per molte persone sarebbe più facile optare per lavori più interessanti e magari a tempo parziale, per potersi dedicare alla cura della propria famiglia o ad altre attività.
Stai introducendo la distinzione tra “impiego” e “lavoro”.
Esatto, il primo è qualcosa per cui si viene retribuiti, mentre il secondo ha un’accezione molto più ampia. Può essere pagato o meno. È qui che entrano in gioco quei lavori, così fondamentali per la nostra società e che non vengono valorizzati: il volontariato, il lavoro di cura, il lavoro artistico e così via.
Se sapessimo di avere la sussistenza garantita, potremmo avere il tempo e le energie per poterci dedicare a ciò di cui abbiamo realmente bisogno, ciò che ci rende felici, ciò che ci permette di svilupparci come esseri umani. Questo ci permetterebbe di trarre il meglio da noi stessi per metterlo al servizio degli altri, metterebbe fine a quella competitività che ci fa sentire il nostro vicino come un nemico, ci permetterebbe di essere disponibili a chiederci che senso ha la nostra vita, ecc.
Puoi immaginare solo per un attimo come potrebbe cambiare la società?
Come si inserisce nel dibattito sull’intelligenza artificiale e la robotica?
È intimamente connesso. Sono elementi che produrranno sempre più disoccupazione. Ma si noti che è, allo stesso tempo, uno dei fattori che possono liberarci dalla “schiavitù” del lavoro, come ha sottolineato Silo. Siamo di fronte ad un pertugio che possiamo trasformare in una porta spalancata ad un cambiamento di civiltà. Stiamo vivendo un momento emozionante in cui tutti questi elementi formano una struttura che, a seconda della direzione data dall’essere umano, può farci tornare indietro o può produrre un magnifico salto qualitativo per l’umanità tutta.
La sinistra più arretrata teme il Reddito di base, perché contrasta la centralità del lavoro.
Questa sinistra parte dallo stesso sistema di credenze, desacralizzato o meno, del resto della società e cioè che il lavoro nobilita. La nostra società occidentale ha origine dal mandato biblico che dice “ti guadagnerai il pane con il sudore della fronte” per giustificare la sua costruzione verticale in cui alcuni hanno preso il controllo di tutto l’insieme sociale. E anche a sinistra, anche chi si definisce agnostico o ateo, si basa – ancora e purtroppo – sugli stessi principi di base.
Inoltre, alcune persone mi sembra che pensino che se l’impiego scompare, scompare il senso della loro esistenza, delle loro lotte, sentono di perdere potere e così via. Così finiscono per difenderlo in qualsiasi condizione.
Grazie Juana per questa chiacchierata. Come sta andando la promozione del documentario e, naturalmente, del Reddito di base?
Stanno andando molto bene, ma vogliamo che vadano meglio. Siamo molto soddisfatti, ma è necessario continuare a spingere perché questa idea si scontra con il più elementare sistema di credenze in cui siamo stati educati, quello che ci fa essere cittadini incapaci in discussione lo stile di vita prevalente, anche se ci opprime.
Il documentario “RBUI, il nostro diritto di vivere” sta comunque girando molto, sia online che nelle scuole, nelle università, tra i collettivi… Abbiamo scelto di distribuirlo gratuitamente e tutti. Chiunque può vederlo e far conoscere questa magnifica proposta alle persone a lui vicine. Buona visione!
Cristiano Lucchi
Si ringraziano per la collaborazione e la traduzione Olivier Tourquet e Silvia Nocera dell’Agenzia Pressenza.
Promosso da Pressenza e da Umanisti per il Reddito di Base, il film è stato presentato in anteprima al Forum Europeo di Madrid nel maggio 2018. È stato tradotto in sette lingue (spagnolo, inglese, francese, tedesco, italiano, greco e portoghese) ed è stato presentato in numerosi paesi, in sale cinematografiche, durante congressi o eventi.