Hogre è uno dei più creativi, provocatori, spietati, insolenti, disobbedienti, interessanti, subvertisers (pirati degli spazi pubblicitari) contemporanei. Acuto e sensibile, quando mi imbatto nei suoi lavori, mi risuonano le prime due strofe di A hard rain’s a gonna fall di Bob Dylan: Oh, where have you been, my blue-eyed son? Oh, where have you been, my darling young one?
A settembre l’incursione a Roma su monumenti e stabili a favore della Casa delle Donne Lucha y Siesta. Hogre, Is it a hard rain’s a-gonna fall ?
“I never meant to cause you any sorrow,
I never meant to cause you any pain,
I only wanted to see you bathing in the purple rain…”
Rispondo anch’io con le strofe di una poesia pop. L’azione con Restiamo Cyborg Posse è stata piuttosto una festa, e come in un banchetto di Eliogabalo la pioggia di petali di rosa che abbiamo orchestrato è andata a nuocere solo ai nostri nemici, per il piacere e il divertimento delle nostre connessioni cyborg.
Insieme all’amico e artista LRNZ (Lorenzo Ceccotti) e altre entità cyborg femministe anonime abbiamo dato il via alla Restiamo Cyborg Posse, realizzando alcune videoproiezioni nel centro città di Roma e nelle periferie in solidarietà con la casa delle donne Lucha Y Siesta, attualmente a rischio sgombero. Lucha Y Siesta è una realtà che nasce dalla libera organizzazione di individui per far fronte alla necessità di uno spazio sociale femminista nel quartiere Quadraro di Roma.
Il comune di Roma condanna l’occupazione di questo luogo in quanto illegale, ma, sotto la pressione della solidarietà che Lucha sta ricevendo, dovrà infine riconoscere l’importanza della funzione sociale di questa occupazione con il suo sportello antiviolenza, i posti letto che la struttura offre e la stessa riqualificazione di un edificio abbandonato dalle istituzioni, rinato grazie al lavoro di chi lo ha occupato e lo ha aperto al quartiere, organizzando svariate attività per gli abitanti durante tutto l’anno. Il Comune ha messo in vendita lo stabile. A questa minaccia le attiviste hanno risposto dando vita ad un comitato di quartiere per comprare l’edificio, una strategia che si avvale dell’idea di “privato collettivo”: si compra un bene per impedirne la speculazione e garantirne l’utilizzo sociale a beneficio della collettività. Un concetto che sta prendendo piede proprio per far fronte all’assenza delle istituzioni con un’organizzazione spontanea e dal basso. Davanti a questa scelta, rischiosa quanto coraggiosa, il Comune di Roma, la sindaca e la sua giunta, ad oggi continuano a mancare l’occasione importante di agevolare o quanto meno trattare sul processo suggerito dalle attiviste. Potete seguire gli aggiornamenti sulla pagina facebook di Lucha Y Siesta.
Con la nostra azione abbiamo dato un esempio concreto di utilizzo creativo delle tecnologie (proiezioni urbane e comunicazione online) per far fronte al problema dello sfratto e del taglio immediato delle utenze di un posto che deve rimanere in mano alle nostre compagne e a chi abita al Quadraro.
Restiamo Cyborg Posse, perché avete scelto questo nome?
Il nome della nostra posse prende ispirazione dal Manifesto Cyborg di Donna Haraway, che ridefinisce nuovi spazi per il femminismo, e da alcuni misteriosi graffiti comparsi a Roma est. Il cyborg, prodotto tecnologico ibrido, metà organismo, metà macchina, esprime al meglio la nostra idea di superamento di qualsiasi dualità: maschile/femminile, sé/altro, materiale/immateriale, Stato/Mondo. Il Cyborg annulla le differenze, mette in crisi il sistema delle sovrastrutture qualsiasi esse siano, politiche, religiose, economiche, razziali, etc. Restiamo Cyborg è una scritta a bomboletta che ho letto su un muro. Suona un po’ come la parodia di ‘restiamo umani’: mi ha fatto ridere e con la posse ne abbiamo preso spunto proprio perché stavamo ragionando sul cyberfemminismo e su un approccio anarchico al transumanesimo (è possibile? in che modo? ). Può darsi che ci siano già altre cellule cyborg a Roma? Mistero. Comunque credo sia molto importante riconoscere gli aspetti negativi della natura, sia quella umana (così ben compresa dalla Arendt) sia quella in senso lato (che Hester e lo xenofemminismo ci invitano a desacralizzare). In un’ottica cyborg ‘restiamo umani’ è un parossismo, un errore dialettico al quale rispondiamo con una pioggia di glitch e glitter.
A settembre a Londra si è svolta la Art The Arms Fair.
ATAF è una mostra d’Arte curata da un gruppo di attivisti e artisti volontari che inaugura in concomitanza con il DSEI, la più grande fiera d’armi del mondo che a cadenza biennale raduna rappresentanti di governo, capi di eserciti e grandi imprenditori dell’industria bellica. Lo scopo della mostra è quello di sensibilizzare e propagandare un pensiero antimilitarista, criticare le politiche interventiste e la corsa agli armamenti. ATAF espone opere donate da artisti che provengono da qualsiasi estrazione sociale e posizionamento nel mercato dell’arte: da Anish Kapoor ai disegni realizzati nei Community Center adiacenti alla mostra , quest’anno nel quartiere di Peckham (Londra sud est). Tutto il ricavato dalla vendita delle opere viene donato al gruppo di attivisti Campaign Against The Arms Trade.
Il Subvertising si schiera a fianco del movimento pacifista?
Il subvertising è una pratica che ha le sue radici nel détournement situazionista degli anni ’50, si definisce con il manifesto del Billboard Liberation Front negli anni ’80, conosce nuova vita negli anni 2000 con i Culture Jammers influenzati da Kalle Lasn e Naomi Klain e torna in Europa con esperienze come quella di Special Patrol Group (Londra), Antipub (Parigi), Autoenganys (Barcellona). Tutte queste realtà sono antimilitariste e antistataliste, concentrano le loro azioni di subvertising nella critica delle violenze sia fisiche che psicologiche del potere. Su come si debbano esprimere queste critiche le posizioni sono molto variegate. Personalmente provo molta più simpatia per Luigi Galleani che per Gandhi. Ghandi e Galleani sono due modelli di disobbedienza antitetici. Il primo, nella migliore delle ipotesi, è ispiratore di disobbedienza civile, il secondo è un anti-modello: pur essendo stato un punto di riferimento, un uomo colto, capace di incendiare gli animi con le parole, ha sempre rifiutato di porsi come leader di un movimento. È stato compreso così dai suoi lettori su Cronaca Sovversiva: ragionavano con la loro testa, agivano per volontà loro e con l’azione diretta hanno messo a soqquadro varie amministrazioni statunitensi. Quella degli italiani anarchici immigrati negli Stati Uniti nei primi anni ‘20 è una storia affascinante, istruttiva e da ricordare. Per chi avesse interesse, mi permetto di consigliare un gioiello di editoria indipendente, Parole Chiare, autore anonimo, Indesiderabili edizioni.
Yemen, Siria, Libia, per citare solo alcuni dei paesi colpiti dalla guerra, chi è il vero nemico da contrastare?
Per trovare una risposta onnicomprensiva dovrei appellarmi ad una macrotematica: il nostro sistema economico, la cupidigia dei signori della guerra, la banalità del male, la natura imperfetta dell’essere umano… Rimanendo invece sulla fattualità della critica alle armi, ci sono molti modi per esprimere dissenso e ostacolare la macchina della morte. Penso alle azioni di disobbedienza civile organizzate da Campaign Against The Arms Trade, al lavoro di comunicazione svolto da Art The Arms Fair e, ovviamente, al subvertising. È emblematico che un evento così cruciale come il DSEI non trovi il benché minimo spazio nel dibattito pubblico inglese, europeo e mondiale. La città di Londra, che ogni due anni ospita questa congrega di criminali e assassini, ha i suoi 8 milioni di abitanti ignari di tutto non perché la tematica sia vietata, ma perché siamo così riempiti da contenuti mediatici superflui che diventa molto difficile prestare orecchio alle questioni veramente cruciali.
Nel Subvertising quanto conta la quantità degli spazi pubblicitari brandalizzati per veicolare uno stesso messaggio?
Dipende. Ci sono casi di azioni epiche come quella organizzata dal collettivo Brandalism durante la conferenza sul clima di Parigi nel 2016 (COP21) che ha coinvolto più di 80 artisti e nella quale sono stati installati oltre 600 poster nel centro della città. E ci sono altri casi in cui basta un paio di poster per raggiungere l’obiettivo e aprire un dibattito pubblico su una data tematica. È questo il caso dei manifesti Ecce homo erectus, disegnato da me, e Immaculata conceptio in vitro, di Doublewhy, che abbiamo affisso in centro a Roma nell’estate del 2017 e che hanno portato ad una vera e propria ondata di panico morale sulla stampa locale e nazionale. L’opinione si è spaccata in due: tanto si è detto contro quanto si è detto a favore. Persino gli sbirri che alla fine ci hanno arrestato erano esitanti e spiazzati (una squadra della Digos è rimasta impegnata nelle indagini per sette giorni), trovandosi a che fare con un evento alieno più che criminale. Io e Doublewhy siamo ancora in attesa di giudizio, ma se il caso non andrà in prescrizione la scelta del giudice, qualunque sarà, non potrà che essere molto combattuta.
La vicenda ha anche acceso il dibattito sulla laicità dello Stato in relazione alle leggi che condannano la blasfemia e la bestemmia. Dopo la vicenda, la mia amica Scialatiella Piccante I (al secolo Emanuela Marmo), Pappessa dei Pastafariani italiani, è stata portavoce in una conferenza in Campidoglio su questi temi e tutt’ora porta avanti la campagna Dio Scotto con la quale chiede l’abrogazione dei reati di bestemmia.
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