Il 30 settembre 1975 l’Italia vide Donatella Colasanti, nuda e sporca di sangue, emergere dal cofano di un’auto parcheggiata in viale Pola a Roma, nei pressi di una pizzeria dove Angelo Izzo, Andrea Ghira e Gianni Guido, tre ragazzi della buona borghesia capitolina, stavano cenando tranquillamente, dopo aver passato due giorni a violentare, picchiare e seviziare due ragazze,
La foto di Donatella fece il giro del mondo. Nulla fu più come prima: al silenzio e alla vergogna per lo stupro subito, si sostituì la dignità con la quale Donatella e Tina Lagostena Bassi, l’avvocata delle donne, raccontarono una verità inaccettabile nel suo orrore, iniziando così la lotta che avrebbe finalmente portato a considerare la violenza sessuale quale crimine contro la persona.
I movimenti femminili e femministi dimostrarono tutta la loro forza, presentandosi in massa alle varie udienze, agendo pressioni per avere giustizia e, a volte, prendendo di mira gli imputati e i loro avvocati, soggetti della loro rabbia.
Donatella e Rosaria non ci sono più. Rosaria morì annegata in una vasca da bagno, durante quei drammatici giorni, dopo avere subito abusi e stupri. Donatella riuscì a salvarsi fingendosi morta; continuerà la sua battaglia per ottenere piena giustizia e la certezza della pena per i suoi aguzzini fino al 2005, anno della sua scomparsa.
Come una Cassandra moderna, intuì la pericolosità sociale di Angelo Izzo, scrivendo accorate istanze ai magistrati per scongiurarne la libertà condizionata. Restò inascoltata, e come aveva previsto, Izzo uccise ancora: madre e figlia di un camorrista conosciuto in carcere. Pare che, durante l’autopsia della ragazzina, siano state trovate tracce biologiche comprovanti una violenza sessuale.
In una famosa intervista, Donatella Colasanti tracciò un ritratto di Izzo e raccontò la sua verità
“Sembrava un bravo ragazzo. Parlava di musica classica, per farci buona impressione. Rosaria e io avevamo solo 17 anni! Ci ha invitate a una festa da ballo, dicendo che ci sarebbero stati ragazzi e ragazze, compagni di scuola. Per me la parola “scuola” fu una garanzia. Avevo visto Izzo e altri suoi amici diverse volte. Così per prendere un gelato. Quindi mi sono fidata.
Quando siamo arrivate nella villa del Circeo, ci hanno fatte subito entrare in casa. Ci hanno puntato una pistola contro, sghignazzando: “Ecco la festa!”. Poi ci hanno chiuso in un bagno minuscolo, senz’aria. Ci hanno spogliate, tolto gli anelli, i documenti, tutto quello che avrebbe potuto renderci identificabili. Sapevano benissimo cosa stavano facendo. Era tutto preparato. I sacchi in cui ci avrebbero messe, da morte, ce li hanno mostrati subito. È stato terribile.
Izzo voleva essere protagonista, al centro dell’attenzione. Ripeteva in continuazione che lui era capace di uccidere, sosteneva di far parte della banda dei marsigliesi, di essere molto amico di Jacques Berenguer, il capo. Anzi, era proprio per ordine del boss che ci aveva catturate. Diceva che ci avrebbe ammazzate. L’ora e il modo non erano stati decisi, ma dovevamo morire. — Da qui non uscirete vive — diceva con il suo sorrisetto malvagio. Recitava un copione.
Ce l’aveva con tutti. Si entusiasmava all’idea di sequestri e rapine. Era un balordo viziato, che voleva diventare qualcuno. Gli piaceva esercitare un potere assoluto su un’altra persona. Ma senza i suoi amici non ce l’avrebbe fatta. Ha sempre bisogno di complici, di qualcuno che gli faccia da sponda, lui.
A un certo punto ci hanno divise. Rosaria l’hanno portata nel bagno di sopra. Poi sono tornati da me. Ho capito che l’unica, minuscola speranza che mi rimaneva era fingermi morta. Gianni Guido mi aveva fatto sdraiare per terra, mi aveva messo un piede sul petto e legato una cinghia attorno al collo. Ha tirato così forte che alla fine la fibbia si è rotta. Allora ha cominciato a infierire con la spranga e con i calci in testa.
Izzo si esaltava nel dare ordini. Provava gusto nel vedermi soffrire. A un certo punto, ho sentito una voce che diceva: — Questa non muore mai! —. Allora ho deciso di stare immobile, come un animale paralizzato di fronte al pericolo. Sono rimasta così ferma che Izzo e gli altri due hanno pensato di avermi uccisa. Mi colpivano e io non fiatavo: una morta non prova dolore.
Poi, assieme a Rosaria, che avevano annegato nella vasca da bagno, al piano di sopra, ci hanno caricate nel bagagliaio di una macchina.
Ricordo che durante il viaggio verso Roma scherzavano: — Silenzio! Qui ci sono due morte —. E nel mangianastri avevano messo la colonna sonora dell’Esorcista. Per fortuna, arrivati a Roma, hanno parcheggiato la macchina. Volevano andare a cena prima di disfarsi dei nostri corpi. Quando non li ho più sentiti, ho cominciato a urlare con il poco fiato che mi era rimasto.
Ho affrontato un processo a porte aperte. Ricordo l’avvocato di Izzo che diceva: — I tre giovani non volevano uccidere la Colasanti. L’hanno colpita in testa ma non è uscito neanche un po’ di cervello
Nel 2012 ho conosciuto Letizia Lopez, sorella di Rosaria, in occasione di uno spettacolo sui fatti del Circeo: “L’importanza di chiamarsi Donatella”, di Donatella Mei. Era evidente, parlando con lei, quanto la vicenda avesse colpito le famiglie Lopez e Colasanti, che avevano subito, a detta di Letizia, pressioni per ottenere il ritiro delle denunce e altre richieste rivolte in maniera continuativa e quasi intimidatoria
Letizia era convinta che quel 29 settembre al Circeo non ci fossero solo Izzo, Ghira e Guido: era certa che anche altri soggetti, almeno 3, avevano partecipato al massacro e che non fossero stati indagati e neppure nominati nelle denunce e nei processi, in virtù della loro appartenenza a famiglie altolocate e potenti, Mi disse che Izzo, prima del Circeo, aveva già stuprato delle ragazze, sembra studentesse del suo liceo, che non lo avevano denunciato per la vergogna; per queste violenze aveva anche inventato un termine “lo sfascio”.
Andrea Ghira pare sia deceduto nel 1994, a 41 anni, per overdose mentre era in forze alla Legione Straniera, e sepolto sotto una lapide che riporta il nome di Massimo Testa de Andres. Angelo Izzo sta scontando due ergastoli. Gianni Guido, ha saldato il suo debito con la giustizia nel 2009, con uno sconto di pena di 8 anni ottenuto grazie all’indulto. E’ stato visto spesso a Roma mentre camminava, un signore di mezza età come tanti, dall’aspetto normale e, quasi, inoffensivo.