di Francesco Gesualdi

 

 

Altre volte mi era stato chiesto di presentarmi candidato, ma non avevo mai accettato per preservare la mia indipendenza. Questa volta è stato diverso. Non solo per i connotati della lista Tsipras, nata dal basso, senza mezzi né padrini, al di fuori di ogni logica di potere. Ma soprattutto per la proposta che la lista sostiene e per la posta in gioco che l’Europa racchiude.

 

Un brutto risveglio

Abbiamo sempre considerato l’Europa un’istituzione lontana che si occupa di temi apparentemente marginali: norme commerciali, contributi all’agricoltura, rapporti con i consumatori. Certo non la politica sociale, né la salute, né la scuola, né tutto il resto che ha un impatto diretto sulla qualità delle nostre vite. Finché non è arrivato l’euro che abbiamo accolto con un misto di curiosità e di orgoglio. Curiosità per la novità che rappresentava. Orgoglio per la convinzione di entrare a far parte di una potenza economica che ci avrebbe offerto solo vantaggi.

E tuttavia la partenza non fu delle migliori, considerato che bottegai e supermercati ne approfittarono per imporci un rialzo di prezzi su beni di largo consumo. Ma i tassi di interessi scesero ai minimi storici con sollievo non solo per lo stato, perennemente indebitato, ma anche per famiglie ed imprese che potevano ottenere credito a buon mercato.

La luna di miele, però, non fu di lunga durata, almeno per medie e piccole imprese, che ben presto sentirono il fiato sul collo della concorrenza tedesca e capirono che senza altri provvedimenti di tipo fiscale, doganale, creditizio, atti a colmare le differenze, le unioni monetarie si trasformano in una ghigliottina al servizio dalle imprese più forti per decapitare quelle più deboli. Tant’è che in Italia le importazioni dalla Germania crebbero fino a un più 10%, nel 2006, con danno per le imprese nostrane.

Poi sopraggiunse la crisi mondiale e assieme ad essa l’attacco speculativo ai governi più indebitati, che invece di essere difesi dall’Europa vennero presi per il collo affinché pagassero a costo di qualsiasi sacrificio. E mentre la Grecia agonizzava sotto i colpi mortali dell’austerità, abbiamo scoperto che l’Europa è stata progettata non per promuovere i nostri diritti, bensì per difendere gli interessi dei potentati economici, primo fra tutti quello della finanza.

 

Non l’euro, ma l’assenza di regole

Inevitabilmente si è sviluppata una grande avversione verso questo tipo di Europa, e all’ordine del giorno si è imposta con forza la domanda “che fare?”.

La risposta di parte della popolazione è l’uscita dall’euro. Ma non tutti con la stessa motivazione. Alcuni solo per recuperare la possibilità di svalutare e riconquistare, per questa via, il vantaggio competitivo che abbiamo perduto. Dunque un obiettivo tutto interno alla logica mercantilista che mi lascia perplesso anche per la spinta nazionalista che può alimentare.

Naturalmente non sottovaluto l’esigenza dell’equilibrio commerciale con l’estero, né le pressioni esercitate dal mondo imprenditoriale per vincere la battaglia della competitività comprimendo salari e diritti. Ma fra chi propone di recuperare competitività svalutando i salari e chi propone di recuperarla svalutando la moneta, c’è una terza via, ben più ambiziosa, che è quella di svalutare la competitività.

Non possiamo continuare a concepire l’economia come un campo di battaglia dominato dalle imprese in perenne lotta fra loro e mentre combattono riducono in poltiglia diritti, dignità, sicurezza, salute, ambiente. Esiste un’altra possibilità che è quella di sottomettere l’attività delle imprese al rispetto di regole invalicabili di tipo salariale, previdenziale, occupazionale, ambientale. Se avessimo accompagnato la globalizzazione con regole condivise a livello mondiale, non avremmo assistito al ritorno del lavoro minorile, né al proliferare di salariati con paghe al di sotto della soglia della povertà.

Strumenti nuovi per obiettivi nuovi

A livello globale la partita l’abbiamo persa, ma possiamo impegnarci per vincerla a livello europeo. Non allontanandoci fra noi, ma rafforzando il progetto di unione europea su basi totalmente diverse. La sfida è cambiare anima all’Europa, traghettarla dal credo mercantilista a quello sociale. Spingerla a farsi paladina dei diritti tramite provvedimenti che frenano l’aggressività delle imprese più forti e misure che creano uniformità salariale, fiscale, previdenziale, a livello europeo.

Dobbiamo sbarazzarci della logica della sopraffazione per sostituirla con quella della cooperazione, della programmazione, della sostenibilità. E più che puntare alla conquista dei mercati esteri dobbiamo puntare al rafforzamento dei mercati interni perché nella logica della sostenibilità le merci debbono viaggiare il meno possibile. Non ha senso mangiare patate irlandesi o indossare scarpe indonesiane. Non serve a noi e non serve all’ambiente. Le economie dovrebbero produrre in via prioritaria per la gente del luogo. Per cui, più che il ripristino di monete nazionali servirebbe l’esplosione di monete a km zero. Tante monete locali che convivono con una moneta continentale, questa potrebbe essere la via che conduce alla sostenibilità ambientale e alla stabilità occupazionale.

 

Meno concorrenza, più accordi

Ed oggi che la logica espansiva ci ha procurato seri danni sul piano occupazionale, dobbiamo stare attenti a non cercare la soluzione negli stessi meccanismi che hanno provocato il problema. La nostra occupazione va difesa, questo è certo, ma non a detrimento dell’occupazione degli altri. E non è certo affidandoci alla spontaneità del mercato, che possiamo sperare di raggiungere la piena occupazione a livello europeo. Troppo a lungo abbiamo confidato nelle capacità miracolistiche del mercato, per poi prendere atto dei suoi fallimenti. I problemi si risolvono con la progettazione, come d’altronde si fa in ogni impresa e in ogni famiglia.

Anche per la piena occupazione serve un piano programmatico europeo che definisca chi fa cosa e con quali risorse, avendo ben chiaro che per mantenere un certo equilibrio bisogna saper frenare i più forti e rafforzare i più deboli. Questo dovrebbe fare un’Europa a vocazione sociale: vigilare che nessuno si espanda a tal punto da danneggiare gli altri e intervenire con misure fiscali, doganali, creditizie per rendere il contesto europeo più omogeneo da un punto di vista salariale, normativo, contributivo. Se invece si incaponirà a voler fare il custode della guerra di tutti contro tutti, lasciando che i più forti sopraffacciano i più deboli, beh allora non solo scomparirà l’euro, ma la stessa Unione Europea che si trasformerà in una polveriera di odio reciproco.

 

Rifondare la BCE per un’altra sovranità monetaria

E mentre alcuni sostengono l’uscita dall’euro in nome della competitività, altri rivendicano il ritorno alla lira per recuperare quella sovranità monetaria che ci potrebbe permettere di risolvere il problema del debito pubblico in alternativa all’austerità. Se disponessimo di una banca centrale al servizio della collettività, invece che al servizio del sistema bancario, potremmo attivare varie procedure per liberarci del debito pubblico in maniera indolore. Dunque dobbiamo recuperare con urgenza una sovranità monetaria finalizzata alla piena occupazione e al sostegno dell’economia pubblica, tramite finanziamenti diretti allo stato. Ma la domanda è se perseguirla in maniera collettiva, come eurozona, o individualmente come Italia che si stacca dall’euro. La mia posizione è che dobbiamo fare di tutto per recuperarla come eurozona riformando la Banca Centrale Europea. Prima di tutto per una ragione strategica. Il sistema finanziario mondiale è infestato da lupi lasciati liberi di assalire qualsiasi preda facilmente braccabile, e quanto più ci isoliamo tanto più ci esponiamo al rischio di essere sbranati se compiamo scelte a loro sgradite. Molto più saggio rimanere nel branco per resistere al loro attacco e poterli respingere.

 

Insieme per un’Europa solidale e sostenibile

Ma la ragione più profonda per cui opto per un recupero di sovranità monetaria socialmente orientata, all’interno dell’eurozona, è di tipo politico. Per attaccamento a un precetto della scuola di Barbiana che dice: “Il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia.”. Le conseguenze negative di questa Europa liberal-masson-speculativa (austerità, riduzione salariale, distruzione delle economie più deboli) sono un problema non solo nostro, ma anche di greci, spagnoli, portoghesi, perfino delle classi più povere tedesche.

Fuggire da soli dal carcere è individualismo. Batterci insieme per la liberazione è solidarietà. Questa Europa va riformata in profondità prima ancora che nella sua impostazione organizzativa, nella sua visione politica. Il suo centro gravitazionale non può più essere il profitto, il mercato, la concorrenza, l’espansione degli affari qualsiasi essi siano. Il fulcro dell’Europa deve essere la persona e l’ambiente in modo da promuovere forme di investimento, di produzione, di consumo, di fiscalità, di spesa pubblica, che tutelino l’interesse generale, la pace, la salute, la qualità della vita, il soddisfacimento dei bisogni fondamentali per tutti, i beni comuni, i diritti dei lavoratori, l’inclusione sociale e lavorativa, il superamento degli squilibri territoriali, le economie locali, la cooperazione internazionale, la partecipazione, la democrazia.

Nel programma della lista Tsipras ho colto questa visione. Perciò ho accettato di candidarmi: per offrire una rappresentanza a chi vuole battersi per farle strada.