Il quadro presentato dall’organizzazione internazionale è quello di un paese rapidamente precipitato in un circolo di violenze e abusi in cui sono i civili e le fasce più deboli della popolazione a pagare le peggiori conseguenze.
Abusi, detenzioni arbitrarie, uccisioni extragiudiziali, violenze su donne e bambini sono stati commessi da tutti gli schieramenti, dicono i ricercatori autori del rapporto. Gli abusi più frequenti sono stati riscontrati a Menaka e Gao, due delle principali città sotto controllo ribelle, in particolare da uomini del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla). Altri gruppi, come gli islamisti di Ansar al Din, stanno esercitando pressioni anche di carattere sociale costringendo la gente a cambiare comportamenti in accordo con la loro interpretazione dell’islam. “L’imposizione di questi nuovi comportamenti – scrive Amnesty – è stata accompagnata da intimidazioni e violenze fisiche, da uccisioni arbitrarie e deliberate”.
A commettere abusi, torturare e uccidere sono stati anche militari maliani, soprattutto nella prima fase della crisi, tra gennaio e febbraio, e milizie di autodifesa songhai che a più riprese hanno attaccato campi tuareg.
“In assenza di un’azione coordinata per la protezione dei diritti umani, l’applicazione del diritto umanitario internazionale e l’assistenza alle popolazioni sfollate e ai rifugiati – ha detto Gaetan Mootoo, uno degli autori del rapporto – l’intera regione rischia la destabilizzazione a causa degli effetti della crisi politica, del conflitto armato nel nord del Mali e della crisi alimentare che sta colpendo tutto il Sahel”.