Le elezioni apparentemente insignificanti nella regione semi-autonoma dell’Oltregiuba rimettono al centro la questione di una zona contesa marittima, ricca di risorse, tra i due paesi africani.
Si è votato nella Somalia meridionale, nella regione semi-autonoma dell’Oltregiuba. Elezioni apparentemente insignificanti, tanto che il governo di Mogadiscio, capitale della Somalia, ha già detto che non le riconoscerà. Per il terzo mandato consecutivo è stato eletto Ahmed Mohamed Islam, detto Madobe. Un personaggio assai controverso. Madobe è stato tra i fondatori del gruppo terroristico al Shabaab, legato ad al Qaeda, da cui si è allontanato dieci anni fa.
Ma è anche il miglior alleato del Kenya, proprio nella lotta al terrorismo. Nairobi, infatti, ha contribuito non poco a liberare il capoluogo dell’Oltregiuba, Kisimayo, dai terroristi. L’Oltregiuba, dal vecchio nome coloniale dato dall’Italia, confina con il Kenya e Madobe è l’alleato principale di Nairobi e in forte contrasto con il presidente somalo Mohamed Abdullahi Fermaajo, che si prepara alle presidenziali del 2020 in condizioni di debolezza, avendo contro la maggior parte dei presidenti delle regioni semi-autonome del suo paese.
Madobe, inoltre, controlla l’intero confine tra i due paesi, fondamentale per la sicurezza dell’area. Secondo Matt Bryden, direttore del think tank Shan Research, il “governo di Mogadiscio vuole che Madobe se ne vada e sta cercando di convincere l’Etiopia e altri attori regionali ad allinearsi a questa posizione. Il rischio è quindi che l’Etiopia e il Kenya si trovino in opposizione su questo tema, il che comprometterebbe un forte partenariato tra i due paesi che va avanti da oltre 50 anni”.
Ma vi è un’altra ragione che rende queste elezioni – apparentemente irrilevanti – e la conferma di Madobe alla giuda della regione, fondamentali: la disputa tra Somalia e Kenya per un pezzo di mare potenzialmente ricco di gas e petrolio. Una disputa molto aspra. Per il Kenya avere dall’altra parte del confine uno come Madobe è di estrema importanza, non solo in chiave antiterrorismo, ma soprattutto per “vincere” contro la Somalia la disputa dell’assegnazione dei blocchi di sfruttamento del petrolio. Una crisi che ha già avuto risvolti molto aspri ed è via via peggiorata fino a indurre il Kenya a negare il visto a diplomatici somali che avrebbero dovuto partecipare a una conferenza internazionale a Nairobi.
Dal canto suo Mogadiscio ha deciso che non sarà più concesso lavorare in Somalia alle Ong con uffici a Nairobi. Tutto ciò potrebbe avere un impatto fortissimo sull’indotto, che vale milioni di dollari. L’organizzazione dell’aiuto umanitario per la Somalia, infatti, era finora basato in Kenya.
La vera partita, dunque, è il petrolio. In gioco ci sono i diritti di sfruttamento delle risorse che si trovano nell’Oceano Indiano, in un triangolo di mare che ha un vertice a Lamu, località al confine con i due paesi e i lati che seguono linee di confine rivendicati dai due paesi. Il Kenya – come scrive Bruna Sironisu Nigrizia.it – si appella a pratiche dell’era coloniale e del processo di decolonizzazione, e afferma che il suo confine da oltre un secolo segue il parallelo che passa da Lamu e si estende nell’Oceano Indiano in linea retta.
La Somalia, invece, si appella ad altre convenzioni e rivendica un confine che segue la direzione di quello terrestre, estendendosi in linea obliqua. Insomma un gran pasticcio. Si capisce, dunque, la rilevanza per Nairobi di un alleato che governa la regione dell’Oltregiuba confinante con l’area contesa. Le accuse del Kenya prendono spunto da una un’iniziativa del governo somalo, la Somalia Oil Conference, tenuta a Londra dove sono stati presentati i dati di previsione sulla presenza di petrolio e gas nell’area contesa, elaborati da Spectrum Geo.
La partita è tutt’altro che risolta. La Somalia è fortemente intenzionata a sfruttare queste risorse e lo ha messo nero su bianco in un documento, Offshore Somalia 2019, che doveva rimanere segreto ma che è stato fatto trapelare, forse ad arte. Nel documento, come spiega la Sironi, vi si legge che, dopo le fasi preliminari che saranno espletate entro il mese di settembre, dal 2020 le compagnie che avranno vinto le gare per l’assegnazione dei diritti di sfruttamento dei giacimenti, potranno cominciare a mobilizzare le risorse tecniche e finanziarie necessarie per estrarre greggio e gas al largo delle coste somale e inondare di miliardi di dollari le casse di Mogadiscio. Kenya permettendo.
Una piccola regione semi-autonoma della Somalia, tuttavia, potrebbe diventare determinante. Vedremo chi vincerà questa partita che rischia di infiammare tutta l’area, di per sé già strategica come quella del Corno d’Africa.