Meno siamo, meno costiamo e meglio facciamo. Sembra essere questo il significato della proposta di riduzione del numero di parlamentari, il cui iter legislativo – se non verranno sciolte le Camere – a settembre arriverà all’ultimo passaggio alla Camera dei deputati. Questa riduzione (da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori) viene motivata per “il miglioramento dell’efficacia dell’attività del Parlamento”.
“C’è una riforma del Movimento 5 Stelle – ha scritto Luigi Di Maio su Facebook – che aspetta l’ultimo voto il 9 settembre. Il 9 settembre taglieremo definitivamente 345 parlamentari. Significa che alle prossime elezioni molti vecchi politicanti dovranno iniziare a cercarsi finalmente un lavoro. È una riforma epocale contro i privilegi dei politici e in favore del buon senso. Per anni lo Stato ha saputo solo chiedere, dal 9 settembre invece comincerà a restituire qualcosa indietro ai cittadini: risparmiamo mezzo miliardo di euro da mettere su strade, ospedali, sulla riduzione delle tasse”.
La proposta non stupisce. Negli ultimi decenni si è fortemente allargata la distanza tra i cittadini e la classe politica. Non sono pochi i partiti che in più occasioni hanno cercato di insinuarsi in questa frattura per ragioni di consenso. Il populismo è anche questo. Eppure in questa prospettiva di riduzione dei politici ci sono molti aspetti contraddittori.
- Nel Rapporto 2018 dell’Osservatorio Demos su “Gli italiani e lo Stato” soltanto il 34% degli intervistati ha condiviso l’affermazione “il Parlamento è sempre meno necessario, meglio ridurne ruolo e funzioni”. Al contrario, il 61% ha ribadito che “il Parlamento è fondamentale” e addirittura che “dovrebbe tornare ad avere un ruolo centrale”.
- Quando fu stabilito in Costituzione l’attuale numero dei deputati e dei senatori, la popolazione italiana era inferiore a 46 milioni e, soprattutto, gli aventi diritto al voto nel 1948 erano 29 milioni. Nel 2018 in Italia la popolazione è risultata superiore a 60 milioni (+ 30%), mentre gli elettori sono diventati 46 milioni (+ 59%). È evidente che il numero di parlamentari in termini relativi è già diminuito notevolmente. Nel 1948 un deputato rappresentava 46mila elettori, mentre nel 2018 ne rappresentava 73mila. Per quale ragione si vuole oggi fare in modo che un deputato rappresenti 115mila elettori? Ovviamente questa scelta contribuirebbe ad allargare il divario tra cittadini e classe politica.
- Nel 1948 il Parlamento non si doveva occupare delle quote latte, delle frequenze tv, della privacy, dei social media, del fine vita, ecc. Oggi le materie della legislazione sono aumentate e divenute più complesse, anche soltanto per il fatto che l’Italia fa parte dell’Unione Europea. È difficile credere che per affrontare in modo competente questo supplemento di tematiche sia utile diminuire il numero dei parlamentari.
- Se il problema fosse correlato all’efficienza delle decisioni, sarebbe logico intervenire soltanto nel caso in cui una sede parlamentare avesse una composizione giudicata eccessiva numericamente. Per esempio, si potrebbe proporre di ridurre soltanto il numero dei deputati, parificandolo a quello dei senatori. In questo modo le due Camere avrebbero lo stesso livello di efficienza. Il fatto che invece si proponga di diminuire il numero di entrambi i rami del Parlamento, dimostra che i motivi sono altri. Viene da pensare ad un giardiniere incaricato di sfoltire due siepi, indipendentemente dalla loro consistenza effettiva e funzione. Ciò che conta è mostrare che ogni siepe è stata potata e ridotta.
- Ridurre i costi della politica. Questa è un’altra delle motivazioni che viene addotta per giustificare la riduzione del numero dei parlamentari. A parte il fatto che per ridurre i costi della politica sarebbe più logico eventualmente ridurre gli emolumenti dei parlamentari anziché il numero, siamo sicuri che questa sia la strada migliore per il risanamento della casse pubbliche? L’Italia ha un debito pubblico di 2.365 miliardi di euro (al 31 maggio 2019) e la riduzione dei parlamentari comporterebbe un risparmio di qualche decina di milioni di euro all’anno. In una logica prettamente economica sarebbe sicuramente più utile che l’emolumento dei parlamentari fosse legato al risultato. Se in un anno il debito pubblico calasse anche soltanto di 1 miliardo, il costo dei parlamentari sarebbe ampiamente giustificato in termini monetari.
- Per quale ragione dovremmo mantenere due Camere? Una costerebbe sicuramente meno. E perché dovremmo pagare i parlamentari? Potrebbero ricoprire questo ruolo quelli che se lo possono permettere, senza costi per la collettività. Infine, a che cosa serve in realtà il Parlamento? Eleggiamo un Governo, con un Capo che decida senza perdere tempo… La democrazia ha un costo che non può essere compresso senza che ne derivino conseguenze più o meno gravi per la democrazia stessa. La riduzione del numero dei parlamentari va inquadrata in questa prospettiva. Siamo sicuri che ne valga la pena?