In Turchia vivono attualmente 3 milioni 630 mila e 575 rifugiati siriani e soltanto 31.000 di questi hanno un permesso di lavoro che gli permette di avere un impiego legale.
Dunque cosa fanno tutti gli altri per sopravvivere?
In questi anni, dal 2010, sono stati realizzati diversi lavori di approfondimento giornalistico per fare luce sulla vita lavorativa precaria dei rifugiati siriani presenti in Turchia.
Lavoro minorile
Nel mese di giugno del 2016, l’agenzia di notizia internazionale, Reuters, ha realizzato un servizio in cui si parlava in modo approfondito del lavoro minorile all’interno dei laboratori tessili delle grandi metropoli turche. Sono state realizzate delle interviste a ragazzi dai 10 ai 15 anni che hanno raccontato delle condizioni precarie e pesanti di lavoro: più di 15 ore al giorno in scantinati senza luce, senza nessun tipo di contratto e/o assicurazione e per di più, in condizioni di violenza fisica e verbale.
Nel servizio audiovisivo realizzato dalla mittente tedesca DW, nel 2017, ci si rende conto chiaramente quanto sia diffuso il lavoro minorile tra i bambini siriani soprattutto a Istanbul. Aras Ali parla della difficoltà della sua famiglia nel pagare l’affitto e del fatto che, per conseguenza, sia obbligata a lavorare, nonostante i suoi 12 anni. La mamma di Aras dice che piange ogni mattina perché non vorrebbe andare a lavorare e dichiara che preferirebbe andare a scuola. Ma come dice la mamma non c’è altra scelta.
Circa un terzo della popolazione siriana presente in Turchia ha meno di 18 anni. Finora non è stata realizzata nessuna analisi esatta per capire quanti bambini siriani lavorano illegalmente. Tuttavia secondo il centro di ricerca del sindacato confederale Disk-Ar, dal 2013, si registra un notevole aumento dei casi di denuncia per sfruttamento di lavoro minorile. Secondo il Centro di Risorse Umane e di Lavoro (Bhrrc), nel 2016, sono state identificate diverse aziende tessili famose che avevano, da tempo, impiegato nei loro laboratori, in Turchia, dei bambini per produrre dei capi da vendere all’estero. Tra questi vediamo H&M, Next e White Stuff.
Secondo una ricerca realizzata, nel mese di agosto del 2018, dall’Unione dei Medici Turchi (TTB), i bambini siriani lavorano a meno di 400 lire turche al mese, l’equivalente di circa 65 euro.
I bambini siriani non lavorano soltanto nell’ovest del Paese oppure nelle grandi metropoli ma anche nelle città di confine con la Siria. Sembra che le condizioni di lavoro siano ancora più precarie e difficili in quelle zone. Nel 2016, Euronews, ha realizzato un servizio riguardante tre bambini che vivono nella città di Antep, che hanno perso il loro padre durante i bombardamenti in Siria e costretti a mantenersi e a sostenere le spese mediche di loro madre malata. Il più grande, di 13 anni, e tutti e tre sono obbligati a lavorare in una fabbrica di scarpe che appartiene a un cittadino siriano. Secondo la legge, in Turchia, i bambini possono lavorare soltanto a partire dal quindicesimo anno, ma il proprietario della fabbrica dice di dare una mano a questi bambini facendoli lavorare. In varie fabbriche i bambini vengono sfruttati, violentati e in alcuni casi anche venduti come degli schiavi. I tre fratelli guadagnano circa 15 Euro a settimana.
Nel suo servizio Euronews racconta anche il caso di alcuni bambini siriani che raccolgono carte e plastica nell’immondizia, lavorando per più di 6 ore e guadagnando meno di 2 euro al giorno.
Secondo una ricerca realizzata, nel 2017, dalla fondazione tedesca, Freidrich Ebert Stiftung, in Turchia, solo il 25% dei bambini siriani frequenta una scuola. Quindi circa il 75% del totale è obbligato a lavorare oppure rischia di trovarsi impiegato in un posto di lavoro, ovviamente senza contratto e/o assicurazione. Si tratterebbe di circa 1 milione di minori.
Donne nel mondo del lavoro
In un servizio realizzato dal portale di notizie, Ekmek ve Gul, vengono intervistate alcune ragazze siriane impiegate nei laboratori di tessile. Le testimonianze risalgono al 2017 e dimostrano che le donne siriane sono sottopagate rispetto a quelle turche. Infatti, mentre le siriane prendono circa 30 euro a settimana quelle turche percepiscono almeno 10 euro in più. Le donne sostengono che in diversi luoghi di lavoro analoghi sono sempre di più le donne siriane a essere utilizzate. Inoltre le ragazze siriane intervistate parlano di evidenti casi di discriminazione quotidiana che vivono sul posto di lavoro. Le ragazze hanno meno di 20 anni e sostengono che da quando sono in Turchia, 5 anni, non sono mai riuscite ad andare a scuola perché sono state sempre obbligate a lavorare per sopravvivere.
Nel mese di marzo del 2019, The Voice of America, ha realizzato un servizio audiovisivo, intervistando alcune donne lavoratrici nella città di Izmir. Le donne raccontano una vita molto difficile in cui sono obbligate a sostenere la famiglia e nonostante mille difficoltà a fare in modo che i figli possano studiare. Si tratta spesso dei casi in cui il marito non c’è più perché è morto durante la guerra in Siria. Anche in questo servizio si vedono delle giovani ragazze che, da quando sono arrivate in Turchia, sono state obbligate a lavorare invece che studiare.
In un altro servizio televisivo realizzato dal canale Hayatin Sesi, le donne raccontano la difficoltà linguistica che vivono in Turchia. Secondo le intervistate, coloro che riescono a lavorare non hanno tempo per fare un corso decente di turco invece quelle che restano a casa sono quasi sempre obbligate a badare ai bambini, agli invalidi di guerra che hanno in famiglia oppure agli anziani. Quindi anche queste non riescono a imparare correttamente il turco; nella vita quotidiana le donne siriane devono quindi affrontare una serie di difficoltà legate alla barriera linguistica.
Nonostante tutto ci sono anche alcuni casi di successo. Il comune di Izmir, da qualche anno, sostiene in diversi modi, le donne siriane che producono dei piccoli lavori di bigiotteria oppure arredo casa; cuscini, coperte, centrino etc. Le donne seguono dei corsi di formazione e lavorano nei laboratori del comune e i loro lavori vengono venduti.
Lo stesso spirito c’è anche nel cuore del Centro di Solidarietà delle Donne che fa parte dell’Università della città di Eskisehir. Lì, le donne siriane seguono dei corsi di lingua e quelli di formazione professionale. Inoltre i volontari dei Centro accompagnano le donne siriane che non sanno parlare in turco, negli ospedali per le visite oppure in altri uffici comunali per risolvere le questioni burocratiche.
Inoltre, grazie alla collaborazione con la polizia locale, le donne siriane prendono consapevolezza dei loro diritti e acquisiscono alcune informazioni importanti per capire come devono difendersi dalle minacce di violenza e sfruttamento nella vita quotidiana.
Prostituzione minorile e commercio delle donne
Una delle situazioni in cui si trovano le donne siriane, grazie alla precarietà e all’estrema povertà, è quella di svolgere un lavoro che non avrebbero scelto oppure quella di far parte di un sistema di schiavitù.
Già nel 2014, la giornalista Mehves Evin, del quotidiano Milliyet, nelle interviste che ha realizzato nella città di Hatay e Urfa, al confine, aveva raccolto diverse testimonianze di semplici cittadini o di vittime che parlavano di una situazione molto complicata e difficile. Gli abitanti di zona parlavano di come era diffusa la poligamia con l’arrivo dei siriani. Ovviamente erano gli uomini locali a “comprare” nuove mogli, a volte anche minorenni. Tra le persone che aveva intervistato Evin c’erano anche degli infermieri che lavorano presso diversi ospedali statali in zona. Le testimonianze raccontavano della presenza di un sistema di commercio già radicato in cui le minorenni siriane venivano vendute anche a meno di 500 euro.
Tra le persone intervistate dalla giornalista, ci sono anche le dipendenti del Rifugio per le Donne di Urfa. Una realtà che lavora con le donne vittime di violenza e sfruttamento. Le persone che ci lavorano parlavano di un mercato già esistente da tempo in cui le minorenni siriane venivano vendute anche per compensare i debiti delle famiglie stesse che non riuscivano a saldare.
Nel 2015, il giornalista Erk Acarer, del quotidiano Cumhuriyet, aveva realizzato delle interviste con le donne siriane che al loro arrivo in Turchia, per un lungo periodo, avevano vissuto nei centri di accoglienza e nelle tendopoli. Le persone intervistate sono diverse donne vittime di sfruttamento e violenza sessuale. Alcune testimonianze raccontano di un vero sistema commerciale presente dentro queste tendopoli gestite da alcuni siriani e turchi in collegamento con diverse case chiuse illegali nella città di Antep, alconfine.
Secondo una ricerca realizzata da un’associazione non governativa, Mazlumder, intervistando 100 donne siriane in diverse parti della Turchia, si tratterebbe di un fenomeno molto diffuso nel Paese. La relazione parla di un dato spaventoso che è quello dell’età media, delle ragazzine, 13 anni. vendute ai maschi ricchi, Nella ricerca si sottolinea che, per i trafficanti di esseri umani, la condizione legale ed economica precaria delle rifugiate siriane è un grande vantaggio per aumentare il loro guadagno in modo sproporzionato. Mazlumder specifica che gli adulti turchi, acquirenti delle minorenni siriane, si appropriano delle ragazze facendo dei matrimoni religiosi, vietati dalla legge in Turchia.
In diverse date, nel 2018 e 2019, nelle città di Urfa, Hatay, Sivas e Mersin la polizia ha effettuato delle operazioni mirate contro i trafficanti. In questi casi la maggior parte delle donne vittime della tratta erano siriane.
Anche nella relazione realizzata da Kemal Ordek, sulle donne siriane lavoratrici del sesso si legge che non si tratta di una scelta consapevole. La ricerca finanziata dall’Associazione per i Diritti Umani e di Salute Sessuale Kirmizi Semsiye, è stata realizzata tramite diverse interviste fatte con le lavoratrici del sesso, nel 2017. I motivi che spingono le donne a fare questo lavoro sono gli stessi: povertà, discriminazione, violenza domestica, mancanza di un sistema giuridico affidabile e la precarietà legale.
Ordek, nella conclusione della sua ricerca, elenca una serie di consigli che riguardano non solo le vittime di tratta ma tutte le persone siriane che vivono ai margini della società. “Bisogna superare i pregiudizi e comportamenti di esclusione che vivono ogni giorno i Siriani. Sono vittime di parole d’odio, di violenza, di sfruttamento e di notizie false”.
Infatti uno dei grossi problemi che i rifugiati siriani devono affrontare è la diffusione sfrenata e massiccia di notizie e informazioni false sul loro conto che creano un collettivo sentimento di rabbia e odio nei loro confronti. Nel prossimo pezzo di questa serie di articoli analizzeremo questo fenomeno.