In Birmania vivono ancora 120.000 Rohingya in campi profughi. Foto: CC-by-nc-nd Mathias Eick EU/ECHO gennaio 2013.
Dopo mesi di smentite lo scorso 13 febbraio le autorità thailandesi hanno per la prima volta ammesso di aver forzatamente rimpatriato 1.3000 profughi Rohingya verso la Birmania. Le espulsioni sono avvenute tra settembre e novembre 2013 e senza che fossero precedute dallo studio dei singoli casi. Secondo le dichiarazioni di un generale della polizia thailandese, i profughi sono stati trasferiti in barca dalla provincia thailandese di Ranong alla vicina regione birmana di Tanintharyi. Il trasferimento sarebbe avvenuto in accordo con le autorità birmane. Negli scorsi anni le organizzazioni per i diritti umani hanno ripetutamente denunciato il trattamento disumano riservato in Thailandia ai profughi Rohingya e avevano chiesto al paese di garantire la tutela permanente ai profughi che a casa loro erano stati e sarebbero nuovamente stati vittime di pesanti persecuzioni.
La situazione non cambia molto nel vicino Bangladesh. La scorsa settimana la ministra degli affari esteri bengalese Dipu Moni ha confermato che il suo paese non può accogliere altri Rohingya e che si impegnerà per un veloce rimpatrio dei profughi. Il ministero degli esteri del Bangladesh avrebbe anche già preparato un piano di azione e nominato una commissione per l’attuazione del piano. Una commissione inter-ministeriale dovrebbe infine elaborare insieme a polizia e guardie di frontiera una nuova strategia per il controllo dei rifugiati. Attualmente circa 30.000 Rohingya vivono legalmente nei campi profughi nel sud del Bangladesh ma altri 300.000 circa vivono senza documenti nella regione di Cox Bazar nelle vicinanze della città di Chittagong. La loro è una situazione terribile, costretti a nascondersi dalle autorità, essi sono quotidianamente vittime di aggressione e sfruttamento.
Il rimpatrio forzato dei Rohingya nonostante la violenta persecuzione e i sistematici crimini e massacri che subiscono in Birmania viola decisamente i parametri del diritto umanitario internazionale. Negare protezione e tutela a chi a casa propria rischia la vita unicamente in base alla sua appartenenza etnica e religiosa è disumano e indegno di qualunque paese che voglia dirsi democratico. Né la Thailandia né il Bangladesh esercitano pressione sulle autorità birmane affinché pongano fine alla discriminazione dei Rohingya. Il Bangladesh ha infine rifiutato gli aiuti all’accoglienza e alla gestione della situazione dei profughi illegali offerti dall’Unione Europea.
I profughi forzatamente rimpatriati in Birmania (Myanmar) rischiano lunghe pene detentive. Dal 2011 ad oggi molti dei Rohingya costretti a tornare nel paese hanno dovuto affrontare condanne al carcere per “abbandono illegale della Repubblica”.
La politica restrittiva sui profughi di Thailandia e Bangladesh contribuisce a far fiorire la tratta di esseri umani. Attualmente solo le organizzazioni illegali riescono ancora a portare fuori dal paese i profughi disperati. Arrivati oltre frontiera i Rohingya si ritrovano poi nella trappola dei trafficanti e costretti a lavorare come mano d’opera a bassissimo costo. Considerata la situazione dei Rohingya in Bangladesh, si è aperto anche un nuovo mercato per i trafficanti di persone che trasferiscono i Rohingya dal Bangladesh all’India dove ancora una volta essi si trovano a essere ridotti in condizioni di schiavitù e vengono sfruttati come lavoratori a basso costo.