I sistemi d’arma rappresentano il massimo livello della produzione industriale. Sono prodotti che incorporano il meglio della tecnologia meccanica e digitale. Prodotti alla stessa stregua delle automobili o delle lavatrici, ma con un valore aggiunto decisamente superiore. Prodotti al centro di una concorrenza globale molto particolare.
Non manca occasione in cui gli amministratori delegati delle industrie che li producono, i ministri competenti e gli stessi sindacati di categoria rivendichino la necessità di difendere “il prodotto” nazionale da una concorrenza sempre più agguerrita…
Anche perché, a differenza di una lavatrice, coi sistemi d’arma si fa politica estera, oltre che profitto per alcuni.
In questo senso il sistema anti-missile russo S-400 è il top di gamma globale, merce ambita specialmente per il suo vantaggioso rapporto qualità/prezzo. Ambita anche per quei Paesi del quadrante medio-orientale che vogliono ritagliarsi un ruolo militare di “rispetto”.
Il sistema terra-aria S-400 è in grado di intercettare aerei, droni, missili balistici e da crociera e ha come suo antagonista sul mercato il così detto THAAD statunitense. Ma il confronto non regge proprio: il sistema russo offre maggiore raggio d’azione, maggiore flessibilità sulle categorie di obiettivi da colpire, maggiore volume di fuoco ed infine minor prezzo rispetto alla versione statunitense.
Se un qualsiasi Paese volesse procurarsi le stesse prestazioni offerte dal S-400 dovrebbe acquistare dagli Stati uniti sia il THAAD che il PATRIOT, gestire questi due sistemi contemporaneamente e pagare costi esorbitanti. La soluzione “all in one” offerta dai russi risulta perciò di gran lunga preferibile.
Non è un caso che sia Turchia che Arabia Saudita, a partire dal 2017, abbiano stretto accordi con Mosca per la fornitura di questo sistema d’arma.
In entrambi i casi l’accordo per la fornitura militare è stata accompagnata da importanti partnership energetiche come il Turkish Stream (gasdotto che attraversa il Mar Nero collegando direttamente Russia e Turchia) e la partecipazione della società saudita Saudi Aramco nel progetto Artic-Gnl 2 per la produzione di gas liquefatto.
La Russia ha inoltre fornito all’Arabia Saudita sistemi controcarro KORNET-EM, lanciarazzi campali TOS-1A oltre a roba più “leggera” tipo lanciagranate AGS-30 e i fucili d’assalto AK-103. Nel caso dei fucili d’assalto è previsto un vero e proprio trasferimento di tecnologia con l’apertura di una linea di produzione direttamente in territorio saudita.
L’esplosione del caso Turchia/S400 risulta allora alquanto bizzarra.
Tutti e due i paesi (Turchia ed Arabia saudita) sono infatti partner strategici per gli Stati uniti e la Nato nell’area: hanno entrambi attivamente partecipato alla destabilizzazione della Siria e sono entrambi nemici giurati dell’Iran e amici stretti di Israele…
Ma mentre della fornitura S-400 agli sceicchi nulla s’è detto nel caso del sultano tale fornitura è stata presentata come un fatto gravissimo.
Forse perché nel 2017 l’Arabia saudita, subito dopo l’accordo per la fornitura del sistema S-400, si è affrettata ad acquistare anche il THAAD dagli “amici” per un valore di 15 miliardi di dollari?
Forse perché gli sceicchi, oltre al costosissimo “doppione” hanno nel frattempo speso altri 110 miliardi di dollari in “prodotti” militari a stelle e strisce compensando abbondantemente le forniture russe che complessivamente valgono 3 miliardi?
E’ pur vero che anche per la Turchia il valore complessivo delle forniture russe è soltanto una piccola frazione di quello delle forniture occidentali, Stati uniti in testa. Basti pensare ai soli F35 che il sultano ha già pagato in buona parte ma che Trump non vorrebbe più consegnare per ritorsione. La Russia, per contro, è prontissima a fornire i suoi caccia di quinta generazione Su-57 e a coinvolgere la Turchia nello sviluppo del nuovo sistema S-500, con interessanti trasferimenti di tecnologia.
In questo senso è molto probabile che le roboanti millanterie sanzionatorie statunitensi rientreranno presto poiché allo stato attuale il rischio di perdere un pezzo importante della propria rete militare globale è molto alto.
Dopo il tentato colpo di stato in Turchia, in forte odore Cia, Erdogan ha destituito migliaia di suoi ufficiali filo-atlantici e di certo digerisce poco e male il sostegno militare e la protezione statunitense alle milizie curde in Siria.
Tuttavia, ribaltando i punti di vista e assumendo quello russo, la situazione non appare meno contraddittoria: la Turchia è pur sempre quella che nel 2015 ha abbattuto un caccia Su-24 sul confine siriano e che manifesta una inossidabile ostilità verso l’Iran e gli sciiti in generale; mentre, peggio ancora, l’Arabia saudita è quella che finanziò i mujaheddin in Afghanistan e, più recentemente, i jihadisti in Cecenia e Siria…
Il Medio oriente, in quanto area di vitale interesse strategico per almeno due superpotenze (Usa e Russia), medie potenze (Francia e Gran bretagna) e attori locali (Israele, Iran, Turchia e petromonarchie del Golfo tra gli altri), è il regno dei doppi e tripli giochi.
Solo una verità risulta inossidabile: quando si vendono e si comprano armamenti, petrolio e gas, il manicheo rituale “buoni/cattivi” e “amici/nemici” viene messo elegantemente da parte. Il Medio oriente è un inferno di sangue, tragiche menzogne e, in ultima analisi, una sconfinata prateria dove piazzare il “prodotto”.