Prosegue il dibattito al Senato sul provvedimento simbolo del Movimento Cinque Stelle che dovrebbe condurre a prevedere un salario minimo orario da non meno di 9 euro lorde.
La proposta della senatrice pentastellata Nunzia Catalfo (n. 658), tuttavia, è oramai sotto assedio. Da tutti gli altri partiti giungono proposte demolitrici.
I ricchi senatori della Destra non vogliono che i poveri guadagnino almeno 9 euro l’ora
Ad esempio, il gruppetto di autonomisti (trentini e valdostani) composta dal medico agopuntore di Aosta Albert Laniace (158.705 euro di reddito lordo nel 2017), dal dirigente bolzanese Dieter Steger (101.813 euro di reddito) e dall’avvocato di Bolzano Meinhard Durnwader (127.153 euro di reddito) ritiene che 9 euro l’ora siano troppi per gli operai agricoli e quindi hanno proposto (emendamento 2.23) l’esclusione di questa categoria dalla tutela avanzata dal Movimento Cinque Stelle.
A sua volta, l’insegnante torinese Lucio Malan (Forza Italia, 140.170 euro di reddito lordo nel 2017), con l’emendamento 2.25, sostiene che lavoratori domestici, colf e badanti hanno diritto ad una paga oraria comunque non superiore a 2/3 della paga oraria o ad 1/160 della retribuzione del proprio Padrone (ops, Datore di Lavoro).
L’impiegato romano William De Vecchis (Lega, 49.946 euro di reddito nel 2017), con l’emendamento 2.2, svuoterebbe di fatto la legge prevedendo che il reddito minimo da 9 euro orarie lordi fosse limitato ai «soli settori e per le sole categorie non regolamentate dalla contrattazione collettiva». Con l’emendamento 2.21, secondo lo stesso senatore leghista, il salario minimo non si applica «ai rapporti di collaborazione dei produttori diretti e degli intermediari assicurativi».
Laus (PD) si rimangia la parola e boccia le 9 euro nette l’ora
Il dirigente torinese Mauro Antonio Donato Laus (Partito Democratico, 240.488 euro di reddito nel 2017), incoerentemente con la sua proposta di un salario minimo da 9 euro nette prima presentata (n. 310), coll’emendamento 1.2, oggi propone che non ci sia un salario minimo previsto per legge ma si debba fare «riferimento ai contratti collettivi nazionali stipulati dalle associazioni di rappresentanza dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale» (quindi la Triplice CGIL-CISL e UIL).
Anche la Sinistra prona coi Sindacati concertativi
Al contrario, valide mi sembrano le proposte emendative prodotte dai due senatori di Liberi e Uguali, Francesco Laforgia e Loredana De Petris. Gli stessi prevedono un emendamento, il 4.01, che introduce consistenti sanzioni per chi non rispetta il salario minimo orario.
Viene punito il Datore di Lavoro col pagamento di una somma da 1.000 a 10.000 per lavoratore. Viene altresì punito, con una somma da 500 a 1.000 euro per lavoratore, «il committente che affida l’esecuzione di opere o la prestazione di servizi a un altro committente nella consapevolezza che quest’ultimo non rispetti» il salario minimo. Infine, «l’esclusione dalla partecipazione a gare d’appalto pubbliche» per due anni è comminata all’impresa che ha subito sanzioni in merito al mancato rispetto del salario minimo.
Francesco Laforgia, tuttavia, ha presentato una proposta di legge (n. 1259) che, comunque, non si discosta di molto da quella del Partito Democratico: via il salario minimo orario e riconoscimento dei minimi salariali previsti dai contratti della Triplice CGIL-CISL e UIL.
L’ora della verità è comunque vicina: l’undicesima Commissione del Senato, presieduta proprio da Nunzia Catalfo (M5S) ha comunicato lo scorso 26 giugno l’esame dei 50 emendamenti. Si potrà giungere all’approvazione, in prima lettura, della legge prima della pausa estiva?
La Lega sarà leale coi Cinque Stelle? I Cinque Stelle rinunceranno anche a questo cavallo di battaglia”?