Nella Repubblica democratica del Congo si è votato. Ora c’è un nuovo presidente, ma le situazioni di crisi sono rimaste immutate, anzi in alcuni casi si sono aggravate. È il caso del Nord Kivu, dove c’è una crisi umanitaria silenziosa. Nel solo mese di aprile oltre centomila persone hanno dovuto abbandonare le loro case per la grave situazione di insicurezza provocata dai gruppi armati che infestano la regione.
L’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati ha fatto sapere che gli sfollati si trovano in condizioni disperate e l’instabilità della situazione rende impossibile raggiungerli.
Ci sono stati combattimenti vicino alla città di Beni, nella località di Kamengo, nel territorio di Lubero e in alcune zone vicino alla città di Goma. Nella stessa zona, negli ultimi mesi si è registrato l’arrivo di migliaia di nuovi civili sfollati dalle cittadine di Mweso, Kashuga e Kirumbu nel territorio di Masisi.
Le condizioni degli sfollati sono drammatiche perché in assenza di un intervento organizzato delle agenzie Onu gli sfollati sono alla mercè di gruppi di criminali o altri gruppi armati. Si sono verificati sequestri e omicidi e molti stupri. La scorsa settimana sono stati ritrovati cinque corpi mutilati in un fiume nel territorio di Masisi, a circa 60 chilometri a nord-ovest di Goma. Tre erano di minori. Quattro delle vittime erano state rapite da Kashuga, un vicino sito di sfollati.
A fronteggiarsi sono soprattutto gruppi Mai-Mai ed esercito, però ci sono anche svariate formazioni armate che operano senza obiettivi specifici ma pronti a mettersi al soldo di eventuali finanziatori. Tutto ciò rende grave il problema del reclutamento di molti giovani in questi gruppi.
Spesso in queste regioni il proliferare di formazioni armate e di profughi coincide con i momenti di maggiore concorrenza tra attori esterni interessati a controllare il territorio per lo sfruttamento minerario.