Il sovranismo (che si esprime soprattutto nel respingere profughi e migranti, perché sul resto, euro, fiscal compact e simili, le posizioni sono diverse o ondivaghe) si accompagna quasi ovunque al negazionismo nei confronti dei cambiamenti climatici. In Europa Salvini, Orban e Afd sono gli esponenti più espliciti di questo abbinamento, che accomuna comunque tutte le destre. Livore e ignoranza di queste posizioni – che toccano il culmine nel dileggio, spesso volgare, di Greta Thunberg e di chi le dà credito – si vedono bene su stampa, media e social fiancheggiatori di quelle forze. Viceversa, europeismo (a oltranza) in campo economico e riconoscimento (a parole) degli accordi di Parigi sul clima accomunano apparentemente i partiti europei di centro e sinistra. Ma non è così.
Respingimento ed emarginazione dei migranti sono in realtà promossi dalla Commissione Europea e dalle forze di centrosinistra che la esprimono, che a Salvini, Orban e Afd lasciano solo il compito di assumersene vanto e responsabilità per nascondere quella di tutta l’Unione, di fatto accodata al loro oltranzismo.
Quanto al clima, il quadro è lo stesso. Agli uni il compito di trattarlo da bufala (una tempesta di neve in pieno maggio che riscaldamento è mai?), ma i primi a non rispettare gli impegni di Parigi sono i partiti di centro sinistra (e in Italia, i 5stelle). A dettare le politiche in questo campo sono i negazionisti: guai a misure che danneggiano il business petrolifero o quelli correlati (cioè quasi tutti)! Fatto sta che i partiti di centro sinistra – e anche quelli di sinistra – non sanno assolutamente come affrontare le trasformazioni economiche e sociali che la transizione energetica comporta. Non ci hanno mai pensato perché non ci hanno mai veramente creduto: prova di un’irresponsabilità abissale, ma anche dell’ignoranza di tutto l’establishment europeo e mondiale, che ha cercato, in modo per loro controproducente, di mascherare la propria inerzia con gli inviti a Greta. Facile, sotto elezioni e dopo il climate strike mondiale, dire che bisogna decarbonizzare tutto e investire nelle rinnovabili. Poi non si ha nemmeno il coraggio di bloccare il Tav, per non parlare del Tap, che dovrebbe inondarci di gas…
Così, quale che sia la composizione del prossimo Parlamento Europeo, la manfrina continuerà per (alcuni) anni, fino a che non sbatterà contro la realtà incontestabile che tutto ciò che quei signori hanno fatto finora non ha niente a che fare con le cose da fare.
Proviamo a delineare quello scenario. “Fortezza Europa” verrà consolidata per “difenderci” dai migranti, confermando le previsioni del Pentagono, che già quindici anni fa aveva indicato questo esito per le (fu) cittadelle del benessere: USA, Europa e Giappone. Ma la foto di Salvini e Orban su una torretta circondata dal filo spinato dovrebbe dirci qualcosa sul futuro di questa scelta. L’Europa si trasformerà in un campo di concentramento per chi si trova al suo interno (le fortezze sono questo) e in un campo di battaglia per chi ne è fuori e non riesce più a entrare. Ma il deterioramento del clima andrà avanti, e a passi da gigante. Agli eventi estremi sul suolo europeo si farà fronte con lo stato di eccezione, cioè la sospensione di tutti i diritti, unica risposta che quella scelta contempli. Mentre gli eventi estremi al di là della frontiera europea provocheranno migrazioni di milioni di persone costrette a contendersi risorse sempre più limitate.
Sappiamo che cosa comportino situazioni del genere in stati dittatoriali o in territori in preda al caos: guerre di tutti contro tutti e moltiplicazione del terrorismo. Situazioni in cui sarà comunque sempre più difficile fare affari anche per i cittadini europei. La logica della fortezza assediata è quella: se è difficile entrarvi, è anche sempre più difficile uscirne e anche estrarre e “portare a casa” le risorse di cui si nutre l’economia europea. Poi, in Europa ci sono 40 milioni di residenti, in parte “naturalizzati”, in parte “ospiti”, in parte emarginati che espellere è sempre più difficile, che hanno un loro riferimento nelle popolazioni escluse e che saranno indotti a trasferire quei conflitti in terra europea. Per alcuni di loro vorrà dire fare stragi che offriranno nuove occasioni per irrigidire lo stato di eccezione. E’ questo che vogliamo?
Se il quadro verso cui marciano compatte le destre di tutto il mondo (Trump in testa) è questo, indicazioni diverse da parte delle forze che non vorrebbero un esito del genere non ci sono: né in campo climatico, né in campo politico e sociale. Consce o meno che ne siano, sono tutte a rimorchio del traino sovranista e negazionista, e lo si vede già oggi. Perché l’alternativa è radicale e quelle forze non sono attrezzate per perseguirla e neanche per capirla. Solo i movimenti costituitisi con il “risveglio” invocato da Greta hanno colto nel segno, ma di qui a farsi trovare preparati nel momento in cui deterioramento del clima e avanzata di questo fascismo del Ventunesimo secolo avranno fatto capire che bisogna correre ai ripari, il passo è lungo e percorrerlo non sarà facile.
Di una cosa siamo però certi: quel momento arriverà presto. Getterà nel panico molti politici, ma soprattutto una popolazione che si scoprirà senza alcun punto di riferimento. A meno di riconoscere subito che al centro di tutto c’è proprio il clima; che tutti gli obiettivi di una politica sana – occupazione, reddito, cibo, salute, istruzione, casa, vivibilità, accoglienza dei migranti – dipendono dalla lotta contro il riscaldamento climatico, che va dunque trattato come questione prioritaria e inderogabile.
Molte amministrazioni locali e alcuni parlamenti hanno dichiarato l’emergenza climatica, senza però prendere per ora misure concrete che possano essere di esempio e di traino per il resto del mondo. E’ la strada giusta anche per noi. A ogni collettivo, associazione, movimento o lotta, spetta il compito di individuare – nel contesto di un’azienda, una scuola, un dipartimento, un quartiere, una città – i nessi che collegano le misure concrete in cui va articolata la lotta per il clima alla formulazione di politiche generali che non inseguano più “crescita” e consumo, ma una convivenza diversa, entro cui ripartire tra tutti oneri e benefici di una svolta radicale ma irrinunciabile.