Il Bangladesh è in subbuglio. Il 2013 è stato caratterizzato da proteste e violenze che l’hanno reso uno degli anni più sanguinosi dall’indipendenza. Con le elezioni oggetto di aspre critiche, l’arresto di membri dei partiti d’opposizione e molti feriti, nemmeno il 2014 è cominciato bene. La comunità internazionale, in particolare gli Stati Uniti, l’Unione Europea e l’ONU, ha in genere condannato le recenti elezioni e chiesto riforme politiche. Nessuno però ha osato dire ciò che va espresso con urgenza: a meno che l’attuale primo ministro, Sheikh Hasina dell’Awami League e il leader dell’opposizione, Khaleda Zia del Bangladesh National Party (BNP) non si ritirino, il Bangladesh continuerà ad essere preda di una spirale di conflitti che diventerà sempre più violenta.
Il paese è stato governato da Hasina e Zia fin dall’inizio degli anni Novanta. Nel 1990 hanno lavorato insieme per abbattere il regime militare, ma da allora sono diventate acerrime rivali, che ormai antepongono i loro contrasti alla necessità di servire il loro popolo.
Solo un cambiamento radicale della leaderships permetterà al Bangladesh di uscire dal circolo vizioso in cui è bloccato. Tenere nuove elezioni non basterà a risolvere il conflitto fondamentale che sta affliggendo il paese. Ormai la rivalità tra Hasina e Zia è diventata una questione personale. Il risentimento reciproco va al di là di semplici differenze di ideologia politica. A parte i sospetti di coinvolgimento nell’assassinio di familiari, gli anni di contrasti hanno avuto il loro peso. Il loro ascendente sui rispettivi partiti è tale che, anche se non sono in prima fila, il potere decisionale è in mano loro. Ci sarà una possibilità di cambiamento solo se si ritireranno dalla politica.
Sia Hasina che Zia dovrebbero mostrarsi all’altezza del loro impegno per il paese e uscire di scena senza troppi drammi. Questo permetterebbe la creazione di un governo a interim e consentirebbe di avere più tempo per effettuare i cambiamenti necessari prima di indire nuove elezioni. Tale governo dovrebbe essere composto dai rappresentanti di tutti i maggiori partiti, ma avere una natura tecnica. Questo periodo dovrebbe anche concentrarsi sulla riforma del processo elettorale, comprese una revisione della Costituzione, una correzione del Representation of the People Order (RPO) e una rivalutazione del personale della Commissione Elettorale, permettendo allo stesso tempo all’Awami League e al BNP di avviare un esame auto-critico. Questi cambiamenti dovrebbero infine assicurare che l’eventuale vuoto di potere non apra la porta a un colpo di stato militare, ma anzi creare un contesto politicamente sano per le nuove elezioni generali.
Proprio perché queste non sono richieste da poco, attori influenti come gli Stati Uniti, la Cina, l’India, l’Unione Europea e l’ONU dovrebbero farsi avanti e parlare chiaro. Limitarsi a qualche commento critico dall’esterno non basta più. La comunità internazionale dovrebbe farsi sentire e invitare i potenti leaders del Bangladesh a lasciare la scena politica, a beneficio di un paese che merita qualcosa di meglio di ciò che ha avuto fin dall’indipendenza.
Traduzione dall’inglese di Anna Polo