È morto oggi, all’età di 85 anni, l’ex premier israeliano Ariel Sharon nell’ospedale di Tel Ha Shomer, nei pressi di Tel Aviv, dove era ricoverato negli ultimi giorni. Un personaggio controverso ed emblematico, una figura demoniaca per palestinesi ed arabi e un eroe per gli israeliani, un generale di ferro ma anche un uomo che nella sua lunga carriera militare e politica si è reso responsabile di alcune tra le più orribili tragedie dei nostri tempi, come il massacro di Qibya, quello di Sabra e Shatila e di Jenin. La fine di un’era per Israele, un momento storico per la Palestina.
In coma dal 2006 a causa di un ictus, le sue condizioni si erano aggravate sensibilmente negli ultimi dieci giorni, per via di una infezione cronica che aveva fatto cedere gli organi vitali.
Sharon nasce nel 1928 nell’insediamento di Kfar Mala da una famiglia di ebrei lituani immigrati nella Palestina sotto il Mandato britannico (oggi Israele), ed inizia la sua militanza sionista nel movimento Hassadeh a soli 10 anni. A 14 si arruola nel battaglione giovanile paramilitare Gadna e in seguito nell’Haganah, un insieme di brigate clandestine che formeranno successivamente il nucleo del futuro esercito israeliano, Tzahal, l’IDF. A 21 anni era già capitano e a 23 ufficiale dei servizi segreti israeliani.
Combatte come capo plotone nella guerra del 1948 e negli anni ‘50 partecipa alla fondazione – per ordine del primo ministro David Ben Gurion – l’Unità 101, nata con lo scopo di contrastare i Fedayyin arabi che l’IDF non riusciva a fermare, caratterizzata da un modus operandi duro e spietato che attraverso le numerose incursioni contro villaggi arabi portò alla morte di centinaia di civili palestinesi, tra cui donne e bambini. Una delle spedizioni di questa unità speciale è quella conosciuta come Massacro di Qibya (per gli israeliani “incidente di Qibya”), avvenuto nella notte del 14 ottobre del 1953 e chiamato dall’IDF “Operazione Shoshana”. Le forze speciali attaccarono il villaggio di Qibya in Cisgiordania e piazzarono mine su tutte le strade di collegamento al villaggio. Vennero uccisi sessantanove palestinesi, due terzi dei quali erano donne e bambini. Vennero distrutte quarantacinque case, una scuola e una moschea. Una strage che fu condannata dal Dipartimento di Stato USA, dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU e da gran parte della comunità internazionale ebraica. Le forze dell’Unità 101 si giustificarono dichiarando di aver fatto evacuare le case del villaggio prima di operare ma Sharon smentì questa dichiarazione affermando: “gli ordini erano chiari: Qibya sarebbe dovuto essere di esempio per tutti quanti”. Tuttavia Sharon non venne mai processato per questi fatti.
Tra gli anni ‘60 e ’70 combatte nella Guerra dei Sei Giorni e nella Guerra del Yom Kippur, guidando in quest’ultima la marcia sul Cairo, fermata poi dalla tregua. Abbandona la divisa negli anni ‘70 a seguito della tregua, furioso con il suo governo che aveva preferito il negoziato alla vittoria sul campo.
Fa il suo ingresso in politica proprio nel 1973 come deputato all’interno del partito nazionalista liberale di destra Likud, (del quale oggi è presidente Netanyahu), diventando poi Ministro dell’Agricoltura con la vittoria del partito alle elezioni, svolgendo un ruolo di primissimo piano nella politica di colonizzazione israeliana a Gaza e in Cisgiordania.
Nel 1982 viene poi eletto Ministro della Difesa e diventa l’artefice dell’invasione del Libano sporcandosi nuovamente le mani (seppure indirettamente) con un altro tra i più sanguinosi massacri della storia contemporanea: il massacro di Sabra e Shatila. Perpetrata dalle milizie cristiane libanesi tra il 16 e il 18 settembre 1982, la strage riportò un numero imprecisato di palestinesi (stimato tra diverse centinaia e 3.500) uccisi a sangue freddo. Il ruolo di Israele in questa operazione era quello di controllare e supportare l’esercito libanese, stazionando fuori dai campi.
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha condannato il massacro con la risoluzione 37/123 del 16 dicembre 1982. L’8 febbraio 1983, la Commissione chiamata a indagare sui fatti dalle autorità israeliane, presieduta dal magistrato della Corte Suprema, Yitzhak Kahan, ammette la responsabilità indiretta di Israele nel massacro, per non averlo prevenuto né stroncato mentre era ancora in atto. Sharon viene rimosso dal suo incarico di ministro della Difesa israeliana ma non fu emessa alcuna condanna concreta a suo carico. Tuttavia, a seguito delle sue dimissioni venne eletto ministero senza portafoglio nel 1983-1984, per poi passare al Commercio e Industria tra 1984 e 1990 e all’Edilizia tra 1990 e 1992. Di nuovo ministro delle Infrastrutture tra 1996 e 1998 e degli Esteri tra 1998 e 1999 con Benjamin Netanyahu premier, nuovo leader del Likud.
Il 28 settembre 2000 Sharon (all’epoca capo dell’opposizione in Parlamento) compie un clamoroso gesto dimostrativo e provocatorio: accompagnato da una scorta armata di circa mille uomini, fa il suo ingresso in modo plateale nella Spianata delle moschee a Gerusalemme (nella quale si erge la Cupola della Roccia e luogo sacro ai musulmani che vi indicano il luogo in cui Maometto compì il suo miracoloso “viaggio notturno”) lanciando un segnale ai palestinesi per far capire che quell’area era sotto il controllo israeliano. La “passeggiata di Sharon” scatenò com’era prevedibile reazioni da parte dei palestinesi dando inizio alla Seconda Intifada. Questo episodio, seppur condannato dalla controparte palestinese e da parte della comunità ebraica, fece guadagnare a Sharon il consenso necessario per vincere le elezioni successive, nel 2001.
Nel 2002 fa partire la costruzione della “Barriera di separazione israeliana”, un muro che si erige lungo il confine con la Cisgiordania fino a Gerusalemme Est, con lo scopo di ridurre l’intrusione di “terroristi” all’interno di Israele, ma che è un vero e proprio muro dell’apartheid perché rappresenta una violazione del diritto internazionale, in quanto separa i palestinesi dalle loro terre agricole. Sempre nel 2002, Sharon rischia di dover subire un processo all’Aja presso il Tribunale per i Crimini di Guerra, per i fatti di Sabra e Shatila, tuttavia tale processo non ebbe mai luogo a causa della morte del principale accusatore di Sharon, Elie Hobeika, che, responsabile diretto di quei massacri, aveva annunciato di voler fare piena luce sui fatti. Elie Hobeika fu ucciso da un’autobomba pochi giorni prima del processo e le accuse nei confronti di Sharon caddero. Nell’aprile dello stesso anno, inoltre, sempre sotto il mandato di Sharon, l’esercito israeliano occupa il campo profughi di Jenin, in Cisgiordania, distruggendolo. Centinaia furono le vittime ritrovate in una fossa comune e metà di esse, secondo l’allora ministro dell’informazione palestinese, Ahed Rabbo (che denunciò l’accaduto in una lettera a vari capi di Stato e parlamentari di diversi Paesi), erano donne e bambini.
Nel 2005, Sharon decide che è arrivato il momento per Israele di abbandonare definitivamente la Striscia di Gaza non solo con il disimpegno militare ma anche con l’abbandono del territorio da parte dei coloni israeliani. Un ritiro unilaterale che da molti è stato visto come un gesto indirizzato alla pace, ma per altri non è altro che un piano strategico finalizzato alla realizzazione di quello che è il Progetto E1 (che prevede la creazione di un blocco di colonie che unirà Gerusalemme all’insediamento di Ma’ale Adumim, fino alla Valle del Giordano e la ghettizzazione della popolazione palestinese in spazi minimi, in enclavi o bantustan senza alcun collegamento tra loro). Gaza diventa una prigione a cielo aperto, sotto assedio e sotto blocco militare da parte di Israele ed Egitto.
Il 20 novembre 2005 Sharon uscì dal Likud, e fondò un nuovo partito, il Kadima, (che in ebraico significa “avanti!”). Poche settimane dopo Sharon ebbe però un improvviso e grave ictus che ne provocò l’uscita dalla vita politica attiva.
I funerali dell’ex premier israeliano si svolgeranno in due fasi: prima alla Knesset di Gerusalemme e poi in una seconda fase nel suo ranch nel Negev, dove sarà sepolto accanto alla tomba della moglie. Non è ancora noto tuttavia se le esequie potranno avere luogo già domani, come vorrebbe la tradizione ebraica, si attende di sapere se dall’estero arriveranno personalità che vorranno partecipare.