Profughi maliani nel campo di Goudebou in Burkina Faso. Foto: EC/ECHO/Anouk Delafortrie
La liberazione del Nord del Mali a caro prezzo: estremisti islamici alle porte, popolazione civile insicura, Tuareg sfiduciati
A un anno dall’inizio dell’intervento militare francese in Mali avvenuto l’11 gennaio 2013, molti degli obiettivi posti all’operazione Serval non sono ancora stati raggiunti. L’intervento francese sembra aver spezzato il controllo dei gruppi islamici radicali nel Mali settentrionale e gli estremisti sembravano aver abbandonato le città ma Al Qaeda Maghreb (AQMI) continua a fare attentati ed è più che probabile che tornerà a formarsi nel paese africano una volta che le truppe francesi diminuiranno la loro presenza. Molti profughi provenienti dal Mali settentrionale non credono che l’esercito del Mali da solo possa essere in grado di proteggere la popolazione da possibili aggressioni degli estremisti religiosi e non vogliono tornare a casa. In Mali vi sono tuttora 422.000 profughi e il conflitto Tuareg che aveva scatenato la guerra civile è lungi dall’essere risolto. Altro punto irrisolto riguarda i procedimenti giudiziari a carico degli jihadisti arrestati e per i quali ancora non è stato stabilito dove e quando verranno processati.
Inizialmente la Francia aveva annunciato l’inizio del ritiro delle sue truppe per marzo 2013 ma l’intervento francese si è rivelato più impegnativo di quanto le autorità sembrano aver pensato. Fino a fine novembre 2013 gli aerei da combattimento francesi hanno sganciato più di 200 bombe sul Mali settentrionale. Diverse centinaia di combattenti jihadisti sono morti ma i sistemi di tunnel sotterranei nelle montagne del nordest del paese continuano ad esistere e ad essere usati. Ancora in dicembre 2013 i militari francesi hanno recuperato quasi sei tonnellate di esplosivi e scoperto un centro di addestramento sotterraneo usato fino a pochi giorni prima di essere scoperto. L’intervento armato francese costa alla Francia circa 1,8 milioni di euro al giorno per un costo complessivo che secondo i dati forniti da esperti militari francesi si aggira ormai attorno ai 650 milioni di euro.
Nonostante le ingenti somme il nord del Mali è tutto meno che sicuro e i circa 254.000 profughi interni e i 168.000 profughi rifugiatisi nei paesi vicini si rifiutano di tornare a casa. Nella regione di Kidal ad esempio persistono forti tensioni tra i combattenti tuareg e l’esercito del Mali. Secondo l’opinione diffusa tra la popolazione del Mali, l’esercito francese ha deliberatamente coperto e protetto i combattenti del movimento tuareg MNLA per guadagnarsi il loro appoggio nella lotta contro AQMI. D’altro canto la Francia ha più volte ripetuto che senza una soluzione politica della questione tuareg non vi potrà essere stabilità nel nord del paese. La maggioranza della popolazione del Mali non sembra però disposta a scendere a compromessi con la popolazione tuareg e chiede il disarmo e la generica punizione dei Tuareg. Il presidente del Mali Ibrahim Boubacar Keita si è detto contrario all’autonomia per le regioni tuareg e finora non ha presentato nessuna iniziativa concreta per il superamento del conflitto tuareg. I movimenti tuareg a loro volta minacciano di riprendere le armi se la loro situazione resterà invariata. Il Mali settentrionale è insomma in una situazione non troppo diversa da quella del gennaio 2012 quando appunto scoppiò la rivolta tuareg. La possibilità di un nuovo inizio non è stata colta né nel nord del Mali né nella capitale Bamako dove continuano la corruzione e l’abuso di potere da parte dei maggiori leader politici. La bassissima partecipazione di solo il 38% degli aventi diritto al voto alle elezioni parlamentari è stato un chiaro indicatore del reale stato di salute della democrazia in Mali.