In una terrazza sul lungomare di Livorno è nata l’idea di mettere in rete i quartieri cittadini per farli divenire laboratori di socialità, integrazione e sostenibilità. L’esperienza dei Quartieri Uniti Ecosolidali è oggi un altro esempio di cambiamento dal basso ed un modello virtuoso da replicare in altre città.
“A Livorno ci sono 32 quartieri, ma nessuno aveva la consapevolezza né di questo né dell’appartenenza perché negli anni si era persa”. Sono queste le prime parole che condivide con noi Irene Genovese, dell’associazione Quartieri Uniti Ecosolidali di Livorno.
Se togliessimo il nome della città e il numero di quartieri, questa frase potrebbe descrivere la percezione di molti altri cittadini della penisola. Il senso della comunità sembra vacillare sotto il peso delle nostre vite, sempre più veloci, sempre più dense di impegni. Ma intuirete già che questa constatazione, in questo caso, non si è cristallizzata diventando un’altra freccia nella faretra delle lamentele, bensì è divenuta spunto per un cambiamento reale. D’altronde è proprio questo che raccontiamo: le storie di persone che di fronte ad un problema, o all’individuazione di fragilità e vuoti, si pongono domande, sperimentano, e trovano soluzioni, meglio ancora se replicabili.
Ecco perché è così importante leggere questa storia, perché non c’è terreno più fertile per operare il cambiamento che quello del proprio ambiente, del luogo in cui viviamo e perché, ci dicono i cittadini livornesi, si può fare!
A Livorno i primi a dare il via al processo che ha portato alla nascita del progetto Quartieri Uniti Ecosolidali, è stata l’associazione Vivi San Jacopo. Ed è nel loro quartiere, e precisamente nella bellissima Terrazza Mascagni sul lungomare, che incontriamo una numerosa, ma piccolissima parte delle persone coinvolte nel progetto.
“Il progetto nasce proprio con l’intento di ricreare comunità e creare quartieri solidali e ecosostenibili – ci racconta Irene come portavoce dell’associazione, in questa occasione e come Agente del Cambiamento – Nasce con il nome ‘Creiamo Condomini per quartieri eco solidali’, progetto che decidemmo di presentare alla Regione Toscana nel 2016, ottenendo un finanziamento nell’ambito della legge regionale sulla partecipazione. Anche la richiesta del progetto è stata partecipata, abbiamo deciso di partecipare al bando coinvolgendo i cittadini. Per questo dovevano raggiungere 600 firme, ma ne abbiamo raccolte 1000, attraverso l’incontro, il contatto con le persone. Un intenso lavoro durato due mesi”.
Da qui l’idea di creare una rete, di coinvolgere “altri concittadini che come noi potessero scoprire la bellezza di diventare cittadini attivi, che ci tengono a migliorare la qualità della vita, in un’ottica sia di sviluppo della solidarietà, sia di rispetto ambientale, quindi secondo norme di eco sostenibilità, mantenendo una metodica di partecipazione attiva dei cittadini”.
Una rete di quartieri, cittadini, persone, relazioni, curata attraverso l’incontro e una chat su whatsapp che è servita e serve, “a stabilire un primo rapporto di conoscenza e di fiducia per poi passare all’incontro” in cui interrogarsi insieme su cosa poter fare fattivamente. “Nel gruppo ci sono centinaia di persone che riescono, nonostante gli impegni, a seguire la chat che è un flusso continuo di comunicazioni, di idee, di aiuti”. Ogni problema condiviso nella chat trova sempre una risoluzione.
Questi nuclei di cittadinanza attiva sono quindi espressione di ogni quartiere, che, in modalità libera e diversa, in base alle persone che lo vivono e che partecipano, propone attività differenti. “C’è chi è più attivo e sensibile all’ecosostenibilità, chi alla solidarietà, chi alla cultura, chi propone eventi mettendo insieme più elementi. È come se avessimo diciassette – sono questi i quartieri già coinvolti (ndr) – laboratori attivi di sperimentazione, dai quali apprendere reciprocamente. Questa è la ricchezza, la bellezza, cioè anche il non entrare in competizione ma entrare in solidarietà, aiutando chi sta per nascere, perché ci sono ancora altrettanti quartieri da attivare. È anche un modo per valorizzare la creatività, l’inventiva, i talenti, delle persone e del quartiere. Diviene risorsa della comunità”.
L’incontro permette di ampliare il raggio delle possibilità e ibrida gli interessi delle persone, aprendo importanti spazi di confronto. “Sono nate cene in piazza di quartiere, con anche 250 persone, abbiamo portato la filosofia in piazza, i giochi antichi”, sono state rianimate le piazze anche creando integrazione con i nuovi cittadini, visite guidate dalla cittadinanza alla scoperta dei quartieri, interventi di arredo urbano, riportando al centro la socialità.
E fa emergere nuove esigenze, di strumenti essenziali, ma che spesso necessitano di una spinta, di una motivazione sperimentata per essere integrati. Così questo processo ha portato la rete ad interrogarsi sui metodi di lavoro in gruppo: “Abbiamo scoperto la bellezza di sviluppare la democrazia partecipata, molti hanno iniziato a leggere libri, a ritrovarsi per approfondire questo aspetto”.
“Non siamo soli, siamo tanti, basta emergere, svegliarci. Noi abbiamo scoperto cosa vuol dire essere attivi. Abbiamo sperimentato la differenza tra assistere, anche a cose bellissime, ed essere protagonisti, che ha un potenziale di cambiamento enorme, e ci fa stare bene”, conclude Irene.