Il movimento di protesta dei 2000 impiegati birmani della ditta transfrontaliera era cominciato lo scorso 6 febbraio, determinata dal rifiuto dei responsabili aziendali di pagare le ferie. Già da tempo gli operai chiedevano un aumento di stipendio, di poco superiore ai 50 centesimi di euro per un’intera giornata lavorativa di 12 ore.
Il diritto allo sciopero fa parte di un’ampia serie di riforme avviate dal nuovo governo di Naypyidaw in cerca di riconoscimento da parte della comunità internazionale, dopo decenni di rigida dittatura militare. Dallo scorso ottobre, i cittadini hanno acquisito il diritto di scioperare, di affiliarsi a sindacati, ma anche di manifestare, cosa impensabile fino a un anno fa.
Il paese è inoltre in fermento per la campagna elettorale che coinvolge, per la prima volta da oltre 20 anni, la Lega nazionale per la democrazia (Nld), il partito della Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, icona della dissidenza contro il regime militare birmano. Le elezioni suppletive per l’Assemblea nazionale che si terranno ad aprile sono seguite con attenzione da parte della comunità internazionale, che potrebbe decidere di rimuovere le sanzioni economiche imposte finora all’ex Birmania.
Nonostante un avvio di campagna incoraggiante, oggi un portavoce della Nld, Nyan Win, ha denunciato alcune restrizioni, come in divieto di utilizzare gli stadi di calcio per tenere comizi o l’annullamento di appuntamenti di campagna nello Stato settentrionale Kachin – storicamente antigovernativo – per “motivi di sicurezza”.