E il governo Papademos, con l’acqua alla gola, è ansioso di approvare nuovi pesantissimi tagli imposti da Fmi, Bce e Commissione europea per accedere ai prestiti.

Già è stato annunciato il taglio di 15mila dipendenti pubblici, su un totale di circa 750mila impiegati (il 2 per cento). Ma questo non basta alla troika finanziaria. Già nel 2010, la concessione di un prestito di 110 miliardi all’allora governo Papandreu era stato subordinato ad alcuni tagli (di entità decisamente minore) a spesa pubblica e stato sociale.

Oggi, che in ballo c’è una nuova tranche di aiuti da 130 miliardi di euro, le richieste sono molto più pesanti. Tagli netti alle retribuzioni minime e alle pensioni, cancellazione di tredicesime e quattordicesime, licenziamento in massa di altre migliaia di dipendenti statali.

A mettere pressione al governo Papandreu c’è una data, quella del 20 marzo prossimo, in cui scadranno buoni del tesoro per un valore di 14,5 miliardi. Senza il prestito lo stato greco non avrà modo di restituire quei soldi e sarà costretto a dichiarare bancarotta. E per ottenere un prestito la Grecia dovrà raggiungere un accordo interno entro il 13 febbraio, ormai alle porte.

Papandreu sta quindi cercando di convincere i partiti ad avallare l’ennesima carneficina sociale. Il premier greco ha un tempo molto limitato per fare pressione su George Papandreou, Antonis Samaras e George Karatzaferis, rispettivamente leader del Partito socialista, di Nuova democrazia (destra) e del Laos (estrema destra), perché vincano le obiezioni dei propri partiti. Ma l’accordo non sembra vicino ed il default appare ora dopo ora più probabile.

Oggi la Grecia intera è paralizzata da uno sciopero generale di 24 ore, proclamato dai principali sindacati del Paese, la Gsee (che raggruppa i lavoratori del settore privato), l’Adedy (che rappresenta i dipendenti del settore pubblico), e il Pame (quello vicino al Partito Comunista).

L’Europa intera, terrorizzata dagli effetti di un eventuale default greco, spinge perché vengano accettate le misure di austerità, ma si tratterebbe, a ben vedere, di misure che il popolo greco non sarebbe in grado di sopportare. Ha scritto nei giorni scorsi l’arcivescovo Ieronymos in una lettera indirizzata a Papademos e riportata dal Manifesto: “i senzatetto (aumentati del 25% negli ultimi due anni, ndr) e perfino la fame – che avevamo sperimentato durante la Seconda guerra mondiale – hanno raggiunto livelli da incubo: la pazienza dei greci sta finendo, lasciando spazio a un senso di rabbia: il pericolo di un’esplosione sociale non può essere più ignorato”.

Intanto, temendo il default, anche i creditori privati spingono in queste ore per la ricerca di un accordo con il governo greco che vincoli lo stato al pagamento del debito (attualmente circa il 95 per cento del debito greco è stilato sotto la legge greca, dunque in caso di default sarebbe il parlamento a decidere come trattarlo).

Il governo Papademos si trova schiacciato fra le diverse pressioni della troika finanziaria, dei partiti politici in odore di campagna elettorale, dei creditori privati in cerca di garanzie. L’unica volontà che sembra non essere neppure presa in considerazione è quella di un popolo affamato, stordito, scosso, alla disperata ricerca di sicurezze.

E se in Grecia la situazione sociale è giunta all’estremo, l’Europa ha preparato un pacchetto che rischia di dare il colpo di grazia anche ad altri paesi. È stato approvato pochi giorni fa il Fiscal Compact, il nuovo patto di stabilità finanziaria europea tanto caro alla Germania. A partire dal 2013 gli stati membri dell’unione saranno obbligati al pareggio di bilancio, alla riduzione del debito del 5 per cento annuo, a far lavorare in attivo le proprie aziende pubbliche.

Queste imposizioni, applicate in periodo di recessione economica, significano irrimediabilmente altri tagli, enormi, alla spesa pubblica, ai servizi offerti ai cittadini, all’assistenza sanitaria ed allo stato sociale in generale. Significano un nuovo, consistente, furto di diritti fondamentali. L’ennesimo, probabilmente neanche l’ultimo.