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DW Global Media Forum – Bonn: “Il futuro della crescita – Valori economici e media”
Vorrei commentare argomenti che penso dovrebbero essere regolarmente sulle prime pagine, ma non lo sono e in molti casi cruciali sono scarsamente citati del tutto o sono presentati in modi che mi sembrano ingannevoli perché sono inquadrati, quasi per un riflesso automatico, in termini di dottrine dei potenti.
In questi commenti mi concentrerò principalmente sugli Stati Uniti per molti motivi: Uno, si tratta del paese più importante in termini del suo potere e della sua influenza. In secondo luogo è il paese più avanzato non nel suo carattere intrinseco, bensì che nel senso che a motivo della sua potenza, altre società tendono a muoversi nella sua stessa direzione. Il terzo motivo è semplicemente che è il paese che conosco meglio. Ma penso che quello che dico sia generalizzabile in misura molto più ampia; almeno per quanto ne so, ovviamente ci sono delle variazioni. Perciò mi interesserò alle tendenze della società statunitense e su cosa fanno presagire per il mondo, considerata la potenza statunitense.
La potenza statunitense sta diminuendo, in quanto in realtà ha visto il suo picco nel 1945, ma è ancora incomparabile. Ed è pericolosa. La notevole campagna globale di Obama contro il terrorismo e la limitata, patetica reazione ad essa in occidente è un esempio inquietante. E si tratta di una campagna di terrorismo internazionale, di gran lunga la più estrema al mondo. Quelli che albergano dubbi su ciò dovrebbero leggere il rapporto pubblicato dalla Stanford University e dalla New York University e, in realtà, tornerò a esempi anche più gravi che non il terrorismo internazionale.
La “democrazia capitalista realmente esistente”
In base a una dottrina diffusamente accettata viviamo in democrazie capitaliste che sono il miglior sistema possibile, nonostante alcuni difetti. Negli anni c’è stato un dibattito interessanti sul rapporto tra capitalismo e democrazia; ad esempio, i due sistemi sono compatibili? Non mi occuperò di questo perché vorrei discutere un sistema diverso, quello che potremmo chiamare la “democrazia capitalista realmente esistente” RECD [acronimo inglese] per brevità, pronunciato, per caso, “wrecked” [naufragata, distrutta]. Tanto per cominciare, in che modo la RECD sta alla democrazia? Beh, dipende da cosa intendiamo con “democrazia”. Ce ne sono versioni diverse. Una è una specie di versione largamente condivisa: è l’alta retorica del genere Obama, discorsi patriottici, ciò che è insegnato a scuola ai bambini, e così via. E’ la versione statunitense, è il governo “di, da e per il popolo”. Ed è molto facile paragonarla alla RECD.
Negli Stati Uniti uno degli argomenti principali delle scienze politiche accademiche è lo studio degli atteggiamenti e della politica e della loro correlazione. Lo studio degli atteggiamenti è ragionevolmente facile negli Stati Uniti; una società considerevolmente oggetto di sondaggi, sondaggi piuttosto seri e accurati, e la politica si può constatare e si possono confrontare le due cose. E i risultati sono interessanti. Nel lavoro che costituisce il riferimento aureo del settore, si conclude che circa il 70% della popolazione – il 70% più in basso nella scala di reddito/ricchezza – non ha alcuna influenza sulla politica. E’ in effetti disemancipato. Salendo sulla scala di ricchezza/reddito, si trova un po’ più di influenza sulla politica. Quando si arriva al vertice, che forse è un decimo dell’un percento, le persone essenzialmente ottengono quello che vogliono, cioè decidono della politica. Perciò il termine appropriato per questo non è democrazia; è plutocrazia.
La politica è in generale quasi l’opposto dell’opinione pubblica
Inchieste di questo genere si rivelano roba pericolosa perché possono dire troppo alla gente a proposito della natura della società in cui vive. Perciò, fortunatamente, il Congresso ha messo al bando i relativi finanziamenti, e così non dovremo preoccuparcene in futuro.
Queste caratteristiche dalla RECD emergono in continuazione. Così, il principale problema nazionale negli Stati Uniti è l’occupazione. I sondaggi lo rivelano molto chiaramente. Per i ricchissimi e le istituzioni finanziarie è il deficit. Beh, e la politica? Attualmente è in corso negli Stati Uniti una ‘confisca’, un forte taglio dei fondi. E’ in funzione dell’occupazione o del deficit. Beh, del deficit.
L’Europa, per inciso, sta molto peggio, così fuori di testa che persino il The Wall Street Journal è rimasto inorridito per la scomparsa della democrazia in Europa. Un paio di settimane fa aveva un articolo che concludeva che “i francesi, gli spagnoli, gli irlandesi, gli olandesi, i portoghesi, i greci, gli sloveni, gli slovacchi e i ciprioti hanno tutti, in varia misura, votato contro il modello economico del blocco della moneta unica, da quando è iniziata la crisi tre anni fa. Tuttavia le politiche sono cambiate poco in risposta a una sconfitta elettorale dopo l’altra. La sinistra ha sostituito la destra; la destra ha cacciato la sinistra. Persino il centrodestra ha annientato i comunisti (a Cipro), ma le politiche economiche sono rimaste essenzialmente le stesse: i governi continueranno a tagliare le spese e ad aumentare le tasse.” Non importa ciò che pensa la gente, “i governi nazionali devono seguire le direttive macroeconomiche stabilite dalla Commissione Europea”. Le elezioni sono quasi insignificanti, in larga misura come nei paesi del Terzo Mondo governati dalle istituzioni finanziarie internazionali. E’ questo che l’Europa ha scelto di diventare. Non deve diventarlo.
Ritornando agli Stati Uniti, dove la situazione non è così tanto brutta, c’è la stessa disparità tra l’opinione pubblica e la politica su una vasta gamma di temi. Si prenda, ad esempio, il caso del salario minimo; l’idea è che il salario minimo dovrebbe essere indicizzato al costo della vita e sufficientemente elevato da prevenire la caduta sotto la soglia della povertà. L’ottanta per cento del pubblico è a favore di questo e lo è il quaranta per cento dei ricchi. Qual è il salario minimo? E’ in discesa ben sotto questi livelli. Lo stesso vale per le leggi che agevolano l’attività sindacale; fortemente appoggiate dal pubblico; contrastate dai ricchissimi; svaniscono. Lo stesso vale per l’assistenza sanitaria nazionale. Gli Stati Uniti, come forse sapete, hanno un sistema sanitario che è uno scandalo internazionale; ha un costo pro capite doppio di quello di altri paesi dell’OCSE e risultati relativamente scarsi. Il solo sistema privatizzato, in larga misura non regolato. Al pubblico non piace. La gente chiede un sistema sanitario nazionale, opzioni pubbliche, da anni, ma le istituzioni finanziarie pensano che vada bene così e dunque permane: stasi. In realtà, se gli Stati Uniti avessero un sistema di assistenza sanitaria simile a paesi paragonabili, non ci sarebbe alcun deficit. Il famoso deficit sarebbe cancellato, il che comunque non importa poi tanto.
Uno dei casi più interessanti ha a che fare con le tasse. Per 35 anni ci sono stati sondaggi su “quali pensa dovrebbero essere le tasse?” Vaste maggioranze hanno affermato che le imprese e i ricchi dovrebbero pagare tasse più elevate. Stanno costantemente calando in questo periodo.
E via di seguito, la politica in generale è l’opposto dell’opinione pubblica, il che è una proprietà tipica della RECD.
Gli USA, paese a partito unico
In passato gli Stati Uniti sono stati descritti, piuttosto sardonicamente, come un paese a partito unico: il partito degli affari, con due fazioni chiamate Democratici e Repubblicani. Non è più così. E’ ancora un paese a partito unico, il partito degli affari. Ma ha solo una fazione. La fazione è quella dei Repubblicani moderati, che sono oggi chiamati Democratici. Nel Partito Repubblicano non esistono virtualmente repubblicani democratici e virtualmente non esistono democratici liberali in quello che è chiamato il Partito Democratico [sic]. Si tratta fondamentalmente di un partito di quelli che sarebbero Repubblicani moderati e, analogamente, Richard Nixon sarebbe ben a sinistra dello spettro politico oggi. Eisenhower sarebbe nello spazio cosmico.
C’è ancora qualcosa chiamato Partito Repubblicano, ma ha da molto tempo abbandonato ogni pretesa di essere un normale partito parlamentare. E’ a ranghi compatti al servizio dei ricchissimi e del settore delle imprese e ha un catechismo che prevede che tutti debbano cantare all’unisono, qualcosa di simile al vecchio Partito Comunista. L’illustre commentatore politico conservatore, uno dei più rispettati, Norman Ornstein, descrive oggi il Partito Repubblicano, sono parole sue, come “un’insurrezione radicale, ideologicamente estrema, sdegnosa dei fatti e dei compromessi, sprezzante dei suoi avversari politici”; un serio pericolo per la società, come egli segnala.
In poche parole, la Democrazia Capitalista Realmente Esistente è molto lontana dalla retorica elevato a proposito della democrazia. Ma c’è un’altra versione della democrazia. In effetti è la dottrina standard della teoria democratica progressista contemporanea. Offrirò dunque alcune citazioni illustrative di figure eminenti; per inciso, non figure della destra. Sono tutti liberali alla Woodrow Wilson – Franklin Delano Roosevelt – Kennedy; di fatto personaggi della tradizione. Dunque, secondo questa versione della democrazia “il pubblico è costituito da estranei ignoranti e invadenti. Devono essere messi al loro posto. Le decisioni devono essere nelle mani di una minoranza intelligente di uomini responsabili, che deve essere protetta dagli zoccoli e dai muggiti della mandria confusa”. La mandria ha una funzione, quando è convocata. Deve prestare il suo peso ogni pochi anni a una scelta tra gli uomini responsabili. Ma a parte ciò la sua funzione è di essere “spettatori, non partecipanti all’azione”, e questo è per il suo bene. Poiché, come ha segnalato il fondatore delle scienze politiche liberali, non dovremmo soccombere al “dogmatismo democratico a proposito del fatto che il popolo è il giudice migliore del suo proprio interesse”. Non lo è. I giudici migliori siamo noi; dunque sarebbe irresponsabile consentire al popolo di operare le scelte, proprio come sarebbe irresponsabile lasciare che un bambino di tre anni scorrazzi per la strada. Atteggiamenti e opinioni devono perciò essere controllati a beneficio dei controllati. E’ necessario “irreggimentare le loro menti”. E’ necessario anche disciplinare le istituzioni responsabili dell’”indottrinamento dei giovani”. Tutte citazioni, per inciso. E se saremo in grado di fare questo potremo essere in grado di tornare ai buoni vecchi tempi in cui “Truman era stato in grado di governare il paese con la collaborazione di un numero relativamente contenuto di avvocati e banchieri di Wall Street”. Tutto questo proviene da icone della dirigenza liberale, da teorici democratici progressisti di spicco. Alcuni di voi avranno riconosciuto alcune delle citazioni.
La “marmaglia” va terrorizzando da secoli
Le radici di questi atteggiamenti risalgono molto indietro nel passato. Risalgono ai primi fermenti della democrazia moderna. I primi ebbero luogo in Inghilterra nel diciassettesimo secolo. Come sapete, poi seguirono negli Stati Uniti. E permangono in modi fondamentali. La prima rivoluzione democratica ebbe luogo in Inghilterra negli anni intorno al 1640. Ci fu una guerra civile tra re e parlamento. Ma la piccola aristocrazia terriera, quelli che si definivano “gli uomini di migliore qualità” era inorridita dalle crescenti forze popolari che stavano cominciando a fare l’apparizione nella pubblica arena. Non volevano appoggiare né il re né il parlamento. Citando dai loro opuscoli: non volevano essere governate da “cavalieri e signori, che non fanno che opprimerci, ma vogliamo essere governati da contadini come noi, che conoscono le sofferenze del popolo.” E’ una visione parecchio terrificante. Ora, la marmaglia da allora è rimasta costantemente una visione terrificante. In realtà lo era da molto prima. E’ rimasta tale un secolo dopo la rivoluzione democratica britannica. I fondatori della repubblica statunitense avevano in larga misura la stessa visione della marmaglia. Così decisero che “il potere deve essere nelle mani della ricchezza della nazione, del gruppo di uomini più responsabili. Quelli che hanno simpatia per i proprietari e per i loro diritti”, e naturalmente per i proprietari di schiavi dell’epoca. In generale persone che capiscono che compito fondamentale del governo è “proteggere la minoranza degli opulenti dalla maggioranza”. Sono citazioni di James Madison, il formulatore principale … è stato nell’Assemblea Costituzionale, che è molto più rivelatrice dei Quaderni Federalisti che la gente leggeva. I Quaderni Federalisti erano fondamentalmente uno sforzo di propaganda per cercare di far aderire il pubblico al sistema. Ma i dibattiti nell’Assemblea Costituzionale sono molto più rivelatori. E in realtà il sistema costituzionale è stato creato su tale base. Non ho tempo per entrare nei dettagli, ma fondamentalmente aderì al principio che fu enunciato con semplicità da John Jay, il presidente del Congresso Continentale e primo Giudice Capo della Corte Suprema e cioè, nelle sue parole, che “quelli che sono proprietari del paese dovrebbero governarlo”. Questa è la dottrina principale della RECD sino ai giorni nostri.
Ci sono state molte lotte popolari da allora, e hanno conquistato molte vittorie. I padroni, tuttavia, non cedono. Quanta più libertà è conquistata, tanto più intensi sono gli sforzi per riportare la società nel suo giusto corso. E la teoria democratica progressista del ventesimo secolo di cui ho appena fornito alcuni esempi non è diversa dalla RECD che è stata realizzata, salvo che per la domanda: quali uomini responsabili dovrebbero governare? I banchieri o le élite intellettuali? O, quanto a questo, dovrebbe essere il Comitato Centrale in una versione diversa di dottrine simili?
Beh, un’altra importante caratteristica della RECD è che la gente va tenuta all’oscuro di ciò che le accade. La “mandria” deve restare “confusa”. I motivi sono stati spiegati lucidamente dal professore di scienze del governo di Harvard – è quella la denominazione ufficiale – un’altra rispettata figura liberale, Samuel Huntington. Come egli segnala: “Il potere resta forte quando resta nel buio. Esposto alla luce del sole, comincia a svaporare.” Bradley Manning rischia una vita in carcere per non aver compreso questo principio scientifico. Ora anche Edward Snowden. E funziona parecchio bene. Se date un’occhiata ai sondaggi, essi rivelano quanto bene funzioni. Così, ad esempio, sondaggi recenti rivelano parecchio coerentemente che i Repubblicani sono preferiti ai Democratici su molti temi e, crucialmente, sui problemi in cui il pubblico si oppone alle politiche dei Repubblicani e favorisce le politiche dei Democratici. Un esempio impressionante di ciò è che la maggioranza afferma di preferire i Repubblicani riguardo alla politica fiscale, mentre la stessa maggioranza si oppone a tali politiche. Il fenomeno è generale. Vale anche per l’estrema destra, quelli tipo Tea Party. Si accompagna a un livello stupefacente di disprezzo per il governo. Opinioni a favore del Congresso si contano in percentuali a una cifra sola. Anche a favore del resto del governo. Il favore scende in picchiata.
Risultati come questi, che sono parecchio costanti, illustrano una demoralizzazione del pubblico di tipo insolito, anche se ci sono degli esempi che vengono alla mente, la vecchia Repubblica di Weimar. Il compito di assicurare che la marmaglia si attenga alla propria funzione di spettatrice confusa, assume molte forme. La forma più semplice consiste nel limitare l’ingresso nel sistema politico. In Iran ci sono appena state elezioni, come sapete. E giustamente sono state criticate perché, anche solo per partecipare, occorreva essere approvati dal consiglio guardiano dei chierici. Negli Stati Uniti non si deve essere approvati dal consiglio dei chierici, ma si deve essere approvati dalle concentrazioni del capitale privato. Se non si supera quel filtro, non si entra nel sistema politico, con eccezioni molto rare.
Illudere le masse
Ci sono molti meccanismi, troppo familiari per doverli passare in rassegna, ma neppure questo è sufficientemente sicuro. Ci sono grandi istituzioni che si dedicano specificamente a minare la democrazia autentica. Una di esse è chiamata l’industria delle pubbliche relazioni. Un’industria enorme; in realtà è stata sviluppata sul principio che è necessario irreggimentare le mendi delle persone, in larga misura allo stesso modo in cui l’esercito irreggimenta i soldati; in precedenza ho in effetti citato una delle sue figure di spicco.
Il ruolo dell’industria delle PR nelle elezioni consiste esplicitamente nel minare la versione della democrazia che si insegna a scuola ai bambini. Tutto quello che occorre fare è dare un’occhiata a una campagna elettorale gestita dall’industria delle PR e vedere se lo scopo consiste nel creare elettori disinformati che adotteranno decisioni irrazionali. Per l’industria delle PR si tratta di una transizione molto agevole dalla loro funzione principale. La loro funzione principale è la pubblicità commerciale. La pubblicità commerciale è mirata a minare i mercati. Se avete frequentato un corso di economia avete appreso che i mercati si basano su consumatori informati che fanno scelte razionali. Se accendete un televisore constatate che gli annunci pubblicitari sono mirati a creare consumatori irrazionali, disinformati, che fanno scelte irrazionali. L’intero scopo consiste nel minare i mercati in senso tecnico.
Per inciso, ne sono ben consapevoli. Così, per esempio, dopo l’elezione di Obama nel 2008, un paio di mesi dopo, l’industria della pubblicità ha tenuto il suo congresso annuale. Ogni anno assegnano un premio alla campagna pubblicitaria migliore dell’anno. Quell’anno è stato assegnato a Obama. Ha battuto la Apple, ha fatto un lavoro migliore nell’illudere il pubblico; o lo hanno fatto i suoi esperti di pubbliche relazioni. Se volete saperne qualcosa, accendete oggi la televisione e ascoltate la reboante retorica del vertice del G-8 a Belfast. E’ lo standard.
Ci sono stati commenti interessanti al riguardo sulla stampa finanziaria, principalmente sul The London Financial Times, che ha pubblicato un lungo articolo intervistando dirigenti a proposito di ciò che pensavano di quelle elezioni. E loro sono stati molto euforici al riguardo. Hanno detto che ciò offre loro un modello su come illudere il pubblico. Il modello Obama potrebbe sostituire il modello Reagan, che ha funzionato parecchio bene per un po’.
Tornando all’economia, il cuore dell’economia oggi è costituito dalle istituzioni finanziarie. Si sono vastamente ingrandite dagli anni ’70, assieme a uno sviluppo parallelo: l’accelerato trasferimento della produzione all’estero. Ci sono stati anche cambiamenti critici nel carattere delle istituzioni finanziarie.
Se si risale agli anni ’60, le banche erano banche. Se avevate dei soldi li depositavate nella banca perché li prestasse a qualcuno per comprare una casa, o avviare un’attività, o cose del genere. Ora quello è un aspetto molto marginale delle istituzioni finanziarie di oggi. Sono prevalentemente dedite a intricate, esotiche manipolazioni dei mercati. E sono enormi. Negli Stati Uniti le istituzioni finanziarie, prevalentemente le grandi banche, avevano il 40% dei profitti dell’industria nel 2007. Ciò alla vigilia della crisi finanziaria della quale sono state largamente responsabili. Dopo la crisi numerosi economisti professionisti – il premio Nobel Robert Solow, Benjamin Friedman di Harvard – hanno scritto articoli in cui hanno segnalato che gli economisti non hanno compiuto molti studi sull’impatto delle istituzioni finanziarie sull’economia. Il che è a suo modo notevole, considerandone la portata. Ma dopo la crisi hanno dato un’occhiata e entrambi hanno concluso che probabilmente l’impatto delle istituzioni finanziarie sull’economia è negativo. In realtà ci sono alcuni che sono molto più franchi di così. Il corrispondente finanziario più rispettato del mondo di lingua inglese è Martin Wolf, del Financial Times. Egli scrive che “il settore finanziario fuori controllo si sta mangiando la moderna economia di mercato dall’interno, proprio come la larva della vespa pompilide si mangia l’ospite in cui è stata deposta”. Per “economia di mercato” egli intende l’economia produttiva.
C’è un numero recente del principale settimanale finanziario, Bloomberg Business Week, che ha pubblicato uno studio del FMI che ha rilevato che le maggiori banche non realizzano alcun utile. Quello che guadagnano, secondo gli analisti del FMI, deriva dalla politica assicurativa del governo, la cosiddetta politica del “troppo grandi per fallire”. C’è un salvataggio ampiamente pubblicizzato, ma quello è il meno. C’è un’intera serie di altri meccanismi attraverso i quali la politica di assicurazione governativa aiuta le grandi banche: credito a basso costo e molte altre cose. E, almeno secondo il FMI, sta lì la totalità dei loro profitti. I redattori della rivista affermano che ciò è cruciale per capire perché le grandi banche costituiscono una minaccia per l’economia globale e, ovviamente, per il popolo del paese.
Dopo il crollo, si è avuta la prima seria attenzione degli economisti professionisti a quello che è chiamato rischio sistemico. Sapevano che esisteva ma non era granché oggetto di indagine. “Rischio sistemico” significa il rischio che se una transazione fallisce, può collassare l’intero sistema. E’ quella che, nella teoria economica, è chiamata una esternalità. E’ una nota a piè di pagina. Ed è uno dei difetti fondamentali dei sistemi di mercato; un difetto ben noto, intrinseco, sono le esternalità. Ogni transazione ha impatti su altri di cui semplicemente non si tiene conto in un’operazione di mercato. Il rischio sistemico è un rischio grosso. E ci sono esempi più gravi di ciò. Ci ritornerò.
Che dire dell’economia produttiva in una RECD? Anche qui abbiamo un mantra. Il mantra è basato sull’iniziativa imprenditoriale e la scelta dei consumatori in un mercato libero. Sono stati creati accordi chiamati accordi di libero scambio, che sono basati su questo mantra. E’ tutta mitologia.
La realtà è che c’è un massiccio intervento statale nell’economia produttiva e che gli accordi di libero scambio non sono altro che accordi di libero scambio. Dovrebbe essere ovvio. Prendiamo un solo esempio: la rivoluzione della tecnologia informatica (IT) che sta spingendo l’economia e che è stata basata su decenni di lavoro in effetti nel settore statale; lavoro duro, costoso, creativo sostanzialmente nel settore statale, assolutamente nessuna scelta dei consumatori; c’è stata dell’iniziativa imprenditoriale ma largamente limitata a ottenere finanziamenti, salvataggi o contratti governativi. Eccetto che da pochi economisti, ciò è sottostimato, ma è un fattore molto significativo del profitto industriale. Se non riesci a vendere qualcosa, proponilo al governo. Lo comprerà.
Dopo un lungo periodo – decenni, in realtà – di lavoro duro e creativo, di ricerca e sviluppo fondamentale, il risultato è stato consegnato alle imprese private per la commercializzazione e il profitto. Steve Jobs e Bill Gates e via di seguito. Naturalmente non è così semplice. Ma quella è la parte centrale del quadro. Il sistema risale alle origini delle economie industriali, ma è terribilmente vero che dalla seconda guerra mondiale questo dovrebbe essere il centro dello studio dell’economia produttiva.
Un altro aspetto centrale della RECD è la concentrazione del capitale. Nei soli ultimi vent’anni negli Stati Uniti la quota dei profitti delle duecento imprese più grandi è cresciuto molto decisamente, probabilmente per l’impatto di Internet, pare. Queste tendenze all’oligopolio minano anch’esse il mantra, naturalmente. Argomenti interessanti ma non mi spingerò oltre al riguardo.
Prospettive parecchio fosche nella RECD
Vorrei invece passare a un’altra questione. Quali sono le prospettive per il futuro in una RECD? Esiste una risposta. Sono parecchio fosche. Non è un segreto che ci siano numerose ombre sinistre che incombono su ogni tema che dibattiamo e ce ne sono due che sono particolarmente infauste, perciò mi atterrò ad esse, anche se ce ne sono altre. Una è la catastrofe ambientale. L’altra è la guerra nucleare. Entrambe naturalmente minacciano le prospettive di un futuro decente, e non in un futuro remoto.
Non dirò molto riguardo alla prima, la catastrofe ambientale. Dovrebbe essere evidente. Certamente la portata del pericolo dovrebbe essere evidente a chiunque abbia gli occhi aperti, a chiunque sia istruito, particolarmente a quelle che leggono le riviste scientifiche. Ogni numero di una rivista tecnica contiene avvertimenti più sinistri del precedente.
Ci sono varie reazioni a questo in giro per il mondo. Ci sono alcuni che cercano di agire con decisione per prevenire la possibile catastrofe. All’altro estremo sono in atto grandi tentativi di accelerare il pericolo. Alla guida dello sforzo per intensificare il probabile disastro vi è il paese più ricco e più potente della storia mondiale, con vantaggi incomparabili e l’esempio più eclatante di RECD; quello che gli altri si sforzano di imitare.
Alla guida degli sforzi per preservare condizioni in cui i nostri discendenti immediati possano avere una vita decente, ci sono le cosiddette società “primitive”: le Prime Nazioni, in Canada, le società aborigene, in Australia, le società tribali e altre simili a esse. I paesi che hanno vaste e influenti popolazioni indigene sono bene alla guida del tentativo di “difendere la Terra”. Quella è la loro espressione. I paesi che hanno spinto all’estinzione o all’emarginazione estrema le popolazioni indigene stanno correndo entusiasticamente verso la distruzione. Questa è una delle principali caratteristiche della storia contemporanea. Una di quelle cose che dovrebbero essere sulle prime pagine. Prendiamo, così, l’Ecuador, che ha una vasta popolazione indigena. Sta cercando aiuto dai paesi ricchi perché gli consentano di tenere importanti riserve di idrocarburi nel sottosuolo, dove dovrebbero stare. Oggi, nel frattempo, gli Stati Uniti e il Canada stanno entusiasticamente cercando di bruciare ogni goccia di combustibile fossile, compresi quelli del tipo più pericoloso – le sabbie bituminose del Canada – e di farlo quanto più rapidamente e completamente possibile, senza un’occhiata di sguincio a come potrà essere il mondo dopo questo bizzarro impegno all’autodistruzione. In realtà ogni argomento dei quotidiani è sufficiente a illustrare questa follia. E follia è il termine giusto per questo. E’ esattamente l’opposto di ciò che la razionalità esigerebbe, salvo la razionalità distorta della RECD.
Bene, ci sono state massicce campagne delle imprese per impiantare e salvaguardare questa follia. Ma nonostante esse c’è ancora un problema reale nella società statunitense. Il pubblico è troppo devoto alla razionalità scientifica. Una delle molte divergenze tra politica e opinione è che il pubblico statunitense è vicino alla norma globale per quanto riguarda la preoccupazione per l’ambiente e l’appello ad azioni per prevenire la catastrofe, e si tratta di un livello parecchio alto. Contemporaneamente la politica di entrambi i partiti e devota al “diamoci dentro!”, per dirlo con una frase che George W. Bush rese famosa nel caso dell’Iraq. Fortunatamente il settore industriale sta correndo al soccorso per gestire questo problema. C’è un’organizzazione finanziata dalle imprese – il Consiglio Statunitense di Scambio Legislativo (ALEC). Prepara leggi per gli stati. Non occorre commentare che tipo di leggi. Ha un mucchio di prestigio e di soldi alle spalle. Perciò i programmi tendono a essere istituiti. Oggi sta istituendo un nuovo programma per cercare di superare l’eccessiva razionalità del pubblico. E’ un programma di istruzione per K-12 (dall’asilo [kindergarten] alla dodicesima classe nelle scuole [grosso modo la nostra quarta delle superiori – n.d.t.]. La pubblicità dice che l’idea è di migliorare le facoltà critiche – e io sarei certamente favorevole a ciò – mediante un insegnamento bilanciato. “Insegnamento bilanciato” significa che se un ragazzo di prima media ha imparato qualcosa a proposito di quello che sta succedendo al clima, deve essergli presentato materiale sulla negazione del cambiamento climatico, in modo che riceva un insegnamento bilanciato e possa sviluppare le proprie facoltà critiche. Forse riusciranno a superare l’incapacità delle massicce campagne di propaganda delle imprese per rendere la popolazione ignorante e irrazionale quanto basa per salvaguardare i profitti a breve termine dei ricchi. L’obiettivo è apertamente quello e molti stati lo hanno già accettato.
Bene, val la pena di ricordare, senza approfondire, che queste sono proprietà istituzionali profondamente radicate nella RECD. Non sono facili da sradicare. E tutto questo è in aggiunta alla necessità istituzionale di massimizzare i profitti a breve termine, ignorando un’esternalità che è di gran lunga più grave anche del rischio sistemico. Nel caso del rischio sistemico, del fallimento del mercato i colpevoli possono correre col cappello in mano dal potente stato badante che promuovono e saranno salvati, come abbiamo visto di nuovo e vedremo in futuro. Nel caso della distruzione dell’ambiente, delle condizioni per un’esistenza decente, non c’è alcun angelo custode in circolazione, nessuno dal quale correre con il cappello in mano. Per tale ragione soltanto, le prospettive di una sopravvivenza decente in una RECD sono fosche.
La sicurezza non ha una priorità elevata
Passiamo all’altra ombra: la guerra nucleare. E’ una minaccia che ci ha accompagnato per settant’anni. E’ tuttora presente. Per certi versi sta aggravandosi. Uno dei motivi di ciò è che in una RECD i diritti e i bisogni della popolazione generale sono una faccenda minore. Ciò comprende la sicurezza. C’è un altro mantra prevalente, particolarmente nelle professioni accademiche, che afferma che i governi cercano di proteggere la sicurezza nazionale. Chiunque abbia studiato teoria delle relazioni internazionali lo ha sentito affermare. E’ prevalentemente un mito. I governi cercando di ampliare il potere e il dominio e di beneficare il loro principale elettorato nazionale; nel caso degli USA il settore delle imprese. La conseguenza è che la sicurezza non ha una priorità elevata. Lo vediamo in continuazione. Proprio oggi, in realtà. Prendiamo, per dire, l’operazione di Obama per uccidere Osama bin Laden, il principale sospetto dell’attacco dell’11 settembre. Obama ha tenuto un discorso importante sulla sicurezza nazionale lo scorso 23 maggio. Ha ricevuto vasta copertura mediatica. Nel discorso c’era un passaggio cruciale che è stato ignorato dai media. Obama l’ha celebrata, se ne è detto orgoglioso: un’operazione che, per inciso, è un altro passo dello smantellamento del fondamento della legge anglo-statunitense, che risale alla Magna Carta, precisamente la presunzione d’innocenza. Ma a questo punto ciò è famigliare; non è nemmeno necessario parlarne. Ma c’è di più. Obama ha celebrato l’operazione ma ha aggiunto che “non può essere la norma”. Il motivo è che “i rischi sono stati immensi”. I Navy Seals che hanno eseguito l’omicidio avrebbero potuto finire coinvolti in un esteso scontro a fuoco, ma anche se per fortuna ciò non fosse successo, “il costo per le nostre relazioni con il Pakistan, e il contraccolpo sul pubblico pakistano per l’invasione del suo territorio”, in altre parole l’aggressione “è stato così grave che solo oggi stiamo cominciando a ricostruire quell’importante relazione”.
C’è ancora altro. Aggiungiamo un paio di dettagli. I SEAL avevano ordini di aprirsi una via di fuga combattendo se fossero stati catturati. Non sarebbero stati lasciati al loro destino se, nelle parole di Obama, fosse stati “coinvolti in un esteso scontro a fuoco”. L’intera forza dell’esercito statunitense sarebbe stata impiegata per liberarli. Il Pakistan ha un esercito potente. E’ ben addestrato e fortemente protettivo della sovranità statale. Naturalmente ha armi nucleari. Ed eminenti specialisti pachistani di politica e problemi nucleari sono molto preoccupati per l’esposizione del sistema degli armamenti nucleari a elementi jihadisti. Sarebbe potuta scoppiare una guerra nucleare. Mentre i SEAL erano all’interno della residenza di Bin Laden, il capo di stato maggiore pachistano, generale Kayani, era stato informato dell’invasione e aveva ordinato ai suoi collaboratori, parole sue, di “attaccare qualsiasi velivolo non identificato”. Presumeva che potessero arrivare dall’India. Nel frattempo a Kabul il generale David Petraeus, capo del Comando Centrale, ordinava agli “aerei da guerra statunitensi di reagire se i pachistani avessero fatto decollare i loro caccia”. Ci siamo arrivati così vicino. Tornando a Obama, “per fortuna” non è successo. Ma il rischio è stato affrontato senza una visibile preoccupazione, senza nemmeno riferire il fatto.
Ogni innocente ucciso crea dieci nuovi nemici
C’è molto altro da dire a proposito di tale operazione e del suo immenso costo per il Pakistan, ma guardiamo invece più da vicino alla preoccupazione per la sicurezza più in generale. Cominciando con la sicurezza dal terrorismo e passando poi alla questione molto più importante della distruzione istantanea mediante armi nucleari.
Come ho citato, Obama sta oggi conducendo la più grande campagna antiterroristica internazionale del mondo: la campagna dei droni e delle forze speciali. E’ anche una campagna che genera terrore. L’idea comune ai massimi livelli è che queste azioni generano potenziali terroristi. Citerò il generale Stanley McChrystal, predecessore di Petraeus. Egli afferma che “per ogni innocente che si uccide”, e ce n’è un numero enorme, “si creano dieci nuovi nemici”.
Prendiamo l’attentato alla maratona di Boston di un paio di mesi fa, di cui avete tutti letto. Probabilmente non avete letto del fatto che due giorni dopo l’attentato alla maratona c’è stato un bombardamento di droni in Yemen. Di solito non ci capita di sapere granché dei bombardamenti dei droni. Vanno semplicemente avanti; semplicemente operazioni antiterroristiche dirette cui i media non sono interessati perché non ci interessa molto del terrorismo internazionale quando le vittime sono qualcun altro. Ma questa volta ci è capitato di sapere, per caso. C’è stato un giovane del villaggio attaccato che si è trovato negli Stati Uniti e che è capitato abbia testimoniato davanti al Congresso. Ha testimoniato al riguardo. Ha detto che da molti anni elementi jihadisti in Yemen avevano cercato di rivoltare il villaggio contro gli statunitensi, di far loro odiare gli statunitensi. Ma gli abitanti del villaggio non avevano accettato perché l’unica cosa che sapevano degli Stati Uniti era quello che lui raccontava loro. E lui amava gli Stati Uniti. Raccontava loro che gran posto fossero. Così gli sforzi dei jihadisti non avevano funzionato. Poi ha detto che un unico attacco dei droni ha trasformato l’intero villaggio in persone che odiavano gli Stati Uniti e volevano distruggerli. Avevano ucciso un uomo che tutti conoscevano e che avrebbero potuto arrestare facilmente se avessero voluto. Ma nelle nostre campagne terroristiche internazionali non ci preoccupiamo di ciò e non ci preoccupiamo della sicurezza.
Uno degli esempi impressionanti è stato l’invasione dell’Iraq. I servizi segreti inglesi e britannici hanno informato i propri governi che l’invasione dell’Iraq avrebbe probabilmente causato un aumento del terrorismo. Non se ne sono curati. In realtà è andata proprio così. Il terrorismo è aumentato di un fattore di sette nel primo anno dell’invasione dell’Iraq, secondo statistiche governative. Oggi il governo sta difendendo la massiccia operazione di sorveglianza. E’ sulle prime pagine. La difesa è basata sul fatto che dobbiamo condurla per arrestare terroristi.
Se esistesse una stampa libera – una vera stampa libera – i titoli ridicolizzerebbero questa pretesa, sostenendo che quella politica è progettata in modo tale da amplificare il rischio terrorista. Ma non si trova questo, il che è una delle innumerevoli indicazioni di quanto siamo distanti da qualsiasi cosa possa essere chiamata stampa libera.
Respinte le offerte di disarmo russe
Passiamo al problema più grave: la distruzione istantanea mediante armi nucleari. Non è mai stata una grande preoccupazione per le autorità statali. Ci sono molti esempi impressionanti. In realtà ne sappiamo molto perché gli Stati Uniti sono una società insolitamente libera e aperta ed esiste una grande quantità di documenti interni che sono diffusi. Così possiamo scoprire le cose, se vogliamo.
Risaliamo al 1950. Nel 1950 la sicurezza statunitense era semplicemente immensa. Non c’era mai stato nulla di simile nella storia umana. C’era un unico pericolo potenziale: i missili balistici intercontinentali (ICBM) con testate all’idrogeno. Non esistevano, ma avrebbero finito per esistere prima o poi. I russi sapevano di essere molto indietro nella tecnologia militare. Offrirono agli Stati Uniti un trattato per mettere al bando lo sviluppo di ICBM con testate all’idrogeno. Sarebbe stato un contributo enorme alla sicurezza statunitense. C’è un importante storia della politica delle armi nucleari, scritta dal McGeorge Bundy, Consigliere per la Sicurezza Nazionale di Kennedy e Johnson. Nel suo studio ha un paio di frasi casuali a questo proposito. Ha detto di non essere stato in grado di trovare nemmeno un documento dei collaboratori che ne trattasse. Ecco una possibilità di salvare il paese dal disastro totale e non c’è nemmeno un documento che ne tratta. Nessuno se n’è curato. Dimenticatelo, passiamo alle cose importanti.
Un paio di anni dopo, nel 1952, Stalin fece un’offerta pubblica, che fu parecchio rimarchevole, di consentire l’unificazione della Germania con elezioni libere sotto supervisione internazionale, in cui i comunisti avrebbero certamente perso, a una condizione: che la Germania fosse smilitarizzata. Difficile considerarlo un problema minore per i Russi. La Germania da sola l’aveva praticamente distrutta molte volte nel secolo. La Germania militarizzata e appartenente a un’alleanza occidentale ostile è una grossa minaccia. L’offerta era quella.
L’offerta era pubblica. Avrebbe portato naturalmente anche alla fine del motivo ufficiale dell’esistenza della NATO. Fu scartata come ridicola. Non poteva essere vera. Ci furono alcune persone che la presero sul serio, James Warburg, un rispettato commentatore internazionale, ma fu semplicemente scartato ridicolizzandolo. Oggi gli studiosi stanno riconsiderando la cosa, specialmente con gli archivi russi che diventano consultabili. E stanno scoprendo che in realtà era apparentemente una cosa seria. Ma nessuno poteva prestarvi attenzione perché non si accordava con gli imperativi politici, una vasta produzione di minacce di guerra.
Andiamo avanti di un paio d’anni alla fine degli anni ’50, quando salì al potere Kruscev. Si rese conto che la Russia era economicamente indietro e che non poteva competere con gli Stati Uniti nella tecnologia militare e sperare di attuare lo sviluppo economica, cosa che sperava di realizzare. Così offrì un mutuo forte taglio alle armi offensive. L’amministrazione Eisenhower più o meno scartò l’offerta. L’amministrazione Kennedy vi prestò ascolto. Valutò la possibilità e respinse l’offerta. Kruscev proseguì introducendo una forte riduzione unilaterale delle armi offensive. L’amministrazione Kennedy osservò la cosa e decise di ampliare il potenziale militare offensivo; non solo scartarlo, bensì accrescerlo. Era già parecchio avanti.
Quello fu uno dei motivi per cui Kruscev piazzò missili a Cuba nel 1962, per cercare di raddrizzare un po’ l’equilibrio. Ciò condusse a quello che lo storico Arthur Schlesinger – consigliere di Kissinger – chiamò “il momento più pericoloso della storia mondiale”: la crisi dei missili di Cuba. In realtà ci fu un altro motivo per esso: l’amministrazione Kennedy stava attuando una grande operazione terroristica contro Cuba. Grande terrorismo. Il genere di terrorismo di cui l’occidente non si cura se vittima ne è qualcun altro. Così non fece notizia, ma fu su larga scala. Inoltre l’operazione terroristica – era chiamata Operazione Mangusta – aveva un piano. Doveva culminare nell’invasione statunitense nell’ottobre del 1962. I russi e i cubani potevano non conoscerne i dettagli, ma è probabile che almeno questo lo sapessero. Questa fu un’altra ragione per piazzare missili difensivi a Cuba.
Poi vennero settimane molto tese, come sapete. Culminarono nel 26 ottobre. All’epoca bombardieri B-52 con a bordo armi nucleari erano pronti ad attaccare Mosca. Le istruzioni militari permettevano agli equipaggi di scatenare una guerra nucleare senza controllo centrale. Era un comando decentrato. Lo stesso Kennedy era incline all’azione militare per eliminare i missili da Cuba. La sua personale stima soggettiva delle probabilità di una guerra nucleare era tra un terzo e il cinquanta per cento. Avrebbe sostanzialmente cancellato l’emisfero settentrionale, secondo il presidente Eisenhower.
A quel punto, il 26 ottobre, arrivò la lettera di Kruscev a Kennedy che offriva la fine della crisi. Come? Ritirando i missili russi da Cuba in cambio del ritiro dei missili statunitensi dalla Turchia. Kennedy, in realtà, neppure sapeva che c’erano missili in Turchia. Ma ne fu informato dai suoi consiglieri. Uno dei motivi per cui non lo sapeva era che erano obsoleti e sarebbero stati ritirati comunque. Dovevano essere sostituiti dai di gran lunga più letali sottomarini invulnerabili Polaris. Dunque quella fu l’offerta: i russi ritiravano i missili da Cuba; gli Stati Uniti ritiravano pubblicamente i missili obsoleti che stavano già ritirando dalla Turchia, che ovviamente erano una minaccia maggiore per la Russia di quanto lo fossero i missili a Cuba.
Kennedy rifiutò. Quella fu probabilmente la decisione più orrenda della storia umana, secondo me. Stava assumendo un enorme rischio di distruggere il mondo al fine di stabilire un principio: il principio era che noi abbiamo il diritto di minacciare di distruzione chiunque, in qualsiasi modo ci piaccia, ma è un diritto unilaterale. E nessuno può minacciare noi, nemmeno per cercare di prevenire un’invasione pianificata. Molto peggiore di questo è la lezione che è stata ricavata, che Kennedy è stato elogiato per il suo freddo coraggio sotto pressione. Quella è oggi la versione standard.
Le minacce continuarono. Dieci anni dopo Henry Kissinger proclamò un allarme nucleare. Nel 1973. Lo scopo era di ammonire i russi a non intervenire nel conflitto arabo-israeliano. Ciò che era successo era che la Russia e gli Stati Uniti avevano concordato di istituire un cessate il fuoco. Ma Kissinger aveva informato privatamente Israele di non prestarvi attenzione; poteva continuare le sue azioni. Kissinger non voleva che i russi interferissero, così proclamò l’allarme nucleare.
Andiamo avanti di dieci anni, Ronald Reagan in carica. La sua amministrazione decise di mettere alla prova le difese russe simulando attacchi aerei e navali: attacchi aerei sulla Russia e attacchi navali ai suoi confini. Naturalmente ciò causò considerevole allarme in Russia che, diversamente dagli Stati Uniti, è molto vulnerabile ed era stata invasa e virtualmente distrutta più volte. Ciò portò a un grande panico bellico nel 1983. Disponiamo di archivi di nuova diffusione che ci raccontano quanto sia stato pericoloso, molto più pericoloso di quanto gli storici avessero ritenuto. C’è uno studio attuale della CIA appena uscito. E’ intitolato “Il panico bellico era vero”. Fummo vicini alla guerra nucleare. Conclude che gli Stati Uniti sottovalutarono la minaccia di un attacco preventivo dei russi, un attacco nucleare, nel timore che gli Stati Uniti li stessero attaccando. Il numero più recente del Journal of Strategic Studies – una delle riviste principali – scrive che quello divenne quasi un preludio a un attacco nucleare preventivo. E prosegue. Non entrerò in dettagli, ma l’assassinio di bin Laden è un esempio recente.
Esultarono alla vista grandiosa delle enormi inondazioni
Ci sono oggi tre nuove minacce. Cercherò di essere breve ma consentitemi di citare tre casi che sono oggi sulle prime pagine: Corea del Nord, Iran, Cina. Meritano esame. La Corea del Nord è andata formulando minacce feroci, pericolose. Ciò è attribuito alla follia dei suoi leader. Si potrebbe sostenere che si tratta del governo più pericoloso, più folle del mondo, e del governo peggiore. E’ probabilmente vero. Ma se vogliamo ridurre le minacce, invece di marciare ciecamente all’unisono, ci sono alcune cose da prendere in considerazione. Una di esse è che la crisi attuale è iniziata con le esercitazioni belliche USA-Corea del Sud, che hanno compreso per la prima volta in assoluto una simulazione di un attacco preventivo in uno scenario a tutto campo contro la Corea del Nord. Parte di tali esercitazioni è consistita in bombardamenti nucleari simulati ai confini della Corea del Nord. Ciò evoca certi ricordi nella dirigenza nordcoreana. Ad esempio, può ricordare che sessant’anni fa c’è stata una superpotenza che ha virtualmente raso al suolo l’intero paese e che, quando non era rimasto nulla da bombardare, gli Stati Uniti si erano rivolti a bombardare le dighe. Alcuni di voi possono ricordare che per questo si poteva essere condannati a morte a Norimberga. Si tratta di un crimine. Anche se gli intellettuali e i media occidentali hanno scelto di ignorare i documenti, la dirigenza nordcoreana può leggere documenti pubblici, i rapporti dell’aviazione del tempo, che meritano di essere letti. Vi incoraggio a leggerli. Esultarono alla vista grandiosa delle enormi inondazioni che “spazzarono via 27 miglia della valle sottostante”, devastarono il 75% della fornitura idrica controllata per la produzione nordcoreana di riso, spedirono i commissari a rotta di collo nei centri stampa e radio a strombazzare al mondo le arringhe più pesanti, cariche d’odio mai formulate dalla fabbrica della propaganda comunista nei tre anni di guerra. Per i comunisti la distruzione delle dighe si traduceva principalmente nella distruzione del loro maggiore mezzo di sussistenza: il riso. Gli occidentali possono a malapena concepire il significato terribile che la perdita di questa materia prima alimentare di base ha per gli asiatici: fame e morte lenta. Di qui la manifestazione di rabbia, il divampare d’ira violenta e le minacce di rappresaglie quando le bombe caddero su cinque dighe d’irrigazione. Prevalentemente citazioni. Come altri bersagli potenziali, i folli leader nordcoreani possono anche leggere documenti di alto livello che sono pubblici, desegretati e che delineano la dottrina strategica statunitense. Uno dei più importanti è uno studio del comando strategico di Clinton, lo STRATCOM. Tratta del ruolo delle armi nucleari nell’era post guerra fredda. Le sue conclusioni centrali sono: gli Stati Uniti devono conservare il diritto ad attaccare per primi, anche contro stati non nucleari; inoltre le armi nucleari devono essere sempre disponibili, pronte all’uso, perché “gettano un’ombra su ogni crisi o conflitto”. Intimoriscono gli avversari. Perciò sono utilizzate costantemente, proprio con se si usasse un’arma andando in un negozio e puntando l’arma contro il proprietario. Non si spara, ma si utilizza l’arma. STRATCOM prosegue affermando che i pianificatori non dovrebbero essere troppo razionali nel decidere a cosa l’avversario attribuisce un valore maggiore. Tutto deve essere messo nel mirino. “Danneggia rappresentarsi come troppo pienamente razionali e freddi. Che gli Stati Uniti possano diventare irrazionali e vendicativi se sono attaccati i loro interessi vitali, dovrebbe essere parte dell’immagine che proiettiamo”. E’ di vantaggio per la nostra posizione strategica “se alcuni elementi appaiono essere potenzialmente fuori controllo”. Non si tratta di Richard Nixon o di George W. Bush: si tratta di Bill Clinton.
Di nuovo gli intellettuali e i media occidentali scelsero di non vedere, ma i potenziali bersagli non possono concedersi quel lusso. C’è anche una storia recente che i dirigenti nordcoreani conoscono molto bene. Non la esaminerò, per mancanza di tempo. Ma è molto rivelatrice. Citerò soltanto gli studi convenzionali statunitensi. La Corea del Nord ha giocato al quid pro quo: ricambiando quando Washington collabora, rendendo pan per focaccia quando Washington si tira indietro. Indubbiamente è un paese orribile. Ma la storia realmente suggerisce che ridurrebbe la minaccia di guerra se quella fosse l’intenzione, certamente non di fronte a manovre militari e a bombardamenti nucleari simulati.
Consentitemi di passare alla “più grave minaccia alla pace mondiale”, sono parole di Obama, diligentemente ripetute dalla stampa: il programma militare iraniano. Solleva un paio di domande. Chi ritiene che sia la minaccia più grave? In cosa consiste la minaccia? Come può essere gestita, di qualsiasi cosa si tratti?
A ‘chi ritiene sia una minaccia?’ è facile rispondere. E’ un’ossessione occidentale. Sono gli Stati Uniti e i loro alleati ad affermare che è la minaccia più grave, non il resto del mondo, non i paesi non allineati, non gli stati arabi. Le popolazioni arabe non amano l’Iran ma non lo considerano una grande minaccia. Considerano una minaccia gli Stati Uniti. In Iraq e in Egitto, ad esempio, gli Stati Uniti sono considerati la minaccia maggiore. Non è difficile comprendere il perché.
In cosa consiste la minaccia? Conosciamo la risposta dal livello più elevato: i servizi segreti statunitensi e il Pentagono preparano ogni anno stime per il Congresso. Si possono leggere. L’Analisi della Sicurezza Globale; ovviamente esaminano questo. E affermano che la principale minaccia di un programma nucleare iraniano … se stia sviluppando armi non lo sanno … ma dicono che se stanno sviluppando armi, ciò farebbe parte della strategia di deterrenza del paese. Gli Stati Uniti non possono accettarlo. Uno stato che reclama il diritto di usare la forza e la violenza dovunque e ogniqualvolta lo voglia, non può accettare un deterrente. Perciò [l’Iran] è una minaccia. La minaccia è quella.
Dunque come si gestisce la minaccia, quale che essa sia? In realtà esistono dei modi. Sto finendo il tempo e perciò non entrerò nei dettagli, ma c’è un modo molto notevole: abbiamo appena perso un’occasione lo scorso dicembre. Doveva esserci un congresso internazionale sotto gli auspici del trattato di non proliferazione, auspici dell’ONU, a Helsinki, per occuparsi delle mosse per creare una zona libera da armi nucleari in Medio Oriente. Ciò ha un enorme sostegno nei paesi non allineati; è promosso dagli stati arabi, in particolare dall’Egitto, da decenni. Un sostegno enorme. Se potesse essere fatto avanzare certamente mitigherebbe la minaccia. Potrebbe eliminarla. Tutti aspettavano di vedere se l’Iran avrebbe accettato di presenziare.
Agli inizi di novembre l’Iran ha accettato di presenziare. Un paio di giorni dopo Obama ha cancellato il congresso. Niente congresso. Il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione che chiedeva si procedesse. Gli stati arabi hanno affermato che sarebbero andati avanti comunque, ma non si può fare. Perciò dobbiamo convivere con la più grave minaccia alla pace mondiale. E probabilmente dovremo marciare in guerra, cosa che in realtà è prevista.
La popolazione potrebbe fare qualcosa al riguardo se ne sapesse qualcosa. Ma qui entra in gioco la stampa libera. Negli Stati Uniti non c’è stata letteralmente una sola parola riguardo a questo in nessun luogo nell’ambito dei media convenzionali. Circa l’Europa, potete dirmelo voi.
L’ultima minaccia potenziale è la Cina. E’ un caso interessante, ma ho così poco tempo che non proseguirò.
La privatizzazione sta distruggendo i beni comuni
L’ultimo commento che vorrei proporre va in una direzione in qualche modo diversa. Ho citato la Magna Carta. E’ il fondamento della legge moderna. Presto ne celebreremo l’ottocentesimo anniversario. Non lo festeggeremo; più probabilmente seppelliremo il poco che è rimasto delle sue ossa dopo che la carne è stata spogliata da Bush e Obama e dai loro colleghi in Europa. E l’Europa è chiaramente coinvolta.
Ma c’è un’altra parte della Magna Carta che è finita nel dimenticatoio. Aveva due sezioni. Una è la Carta delle Libertà, che è in corso di smantellamento. L’altra era chiamata la Carta delle Foreste. Prevedeva la protezione dei beni comuni dall’essere depredati dall’autorità. Parliamo dell’Inghilterra, ovviamente. I beni comuni erano la fonte tradizionale di sussistenza, di cibo e combustibile e anche benessere. Sono stati curati e sostenuti collettivamente per secoli dalle società tradizionali. Sono stati costantemente smantellati sotto il principio capitalista che tutto deve essere di proprietà privata, il che ha portato con sé la dottrina perversa di … quella che è chiamata la tragedia dei beni comuni; una dottrina che afferma che i possedimenti collettivi finiranno per essere saccheggiati e che perciò tutto deve essere di proprietà privata. Un’occhiata meramente di sfuggita al mondo dimostra che è vero il contrario. E’ la privatizzazione che sta distruggendo i beni comuni. E’ per questo che le popolazioni indigene del mondo sono in prima linea nel tentativo di salvare la Magna Carta dalla distruzione finale da parte dei suoi eredi. E a loro si uniscono altri. Prendiamo, ad esempio, i dimostranti del Parco Gezi nel loro tentativo di bloccare il bulldozer a Piazza Taksim. Stanno cercando di salvare l’ultima parte dei beni comuni di Istanbul dalla palla demolitrice della distruzione commerciale. E una specie di microcosmo di difesa generale dei beni comuni. Fa parte di una rivolta globale contro la violenta aggressione neoliberale contro la popolazione del mondo. Oggi l’Europa ne sta soffrendo gravemente. Le rivolte hanno registrato alcuni grossi successi. I più spettacolari sono in America Latina. In questo millennio si è liberata in larga misura, per la prima volta in cinquecento anni, dalla presa letale del dominio di Washington. Stanno succedendo anche altre cose. Il quadro generale è parecchio tetro, penso. Ma ci sono raggi di luce. Come sempre nella storia, ci sono due traiettorie. Una porta all’oppressione e alla distruzione. L’altra porta alla libertà e alla giustizia. E come sempre, per adattare la famosa frase di Martin Luther King, ci sono modi per tendere l’arco dell’universo morale in direzione della giustizia e della libertà, e a questo punto anche in direzione della sopravvivenza.
[Fine della conferenza]
Domanda del moderatore: Lei è stato molto critico nei confronti della stampa. Cosa vorrebbe che la stampa facesse?
Chomsky: E’ molto semplice. Vorrei che la stampa dicesse la verità sulle cose importanti.
Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: Deutsche Welle
Traduzione di Giuseppe Volpe
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