Oggi Michelle Bachelet vincerà in carrozza il ballottaggio contro la mediocre candidata delle destre Evelyn Matthei e presto rientrerà alla Moneda che abitò già dal 2006 al 2010. L’unico dato interessante sarà la partecipazione alle urne che si prevede bassa. Non è un dato trascurabile in un paese che per la prima volta sperimenta il voto non obbligatorio. In un quarto di secolo dalla restaurazione democratica in Cile vige ancora la costituzione scritta da Pinochet e il modello economico instaurato dai Chicago boys. È poco meno che una “democrazia protetta”, la formula che le destre usavano per giustificare la Spagna franchista e un modello economico turbo che come carburante utilizza il sangue di milioni di esclusi, costretti al lavoro informale, malpagati e senza diritti, come la storia dei minatori bloccati per mesi testimoniò al mondo. È questo Cile che Michelle Bachelet dovrebbe cambiare.
La consunzione del modello di centro-sinistra della Concertazione (DC+socialisti riformati) che ha governato 20 anni e ha portato senza scosse al primo mandato della destra con Sebastián Piñera, imponeva una svolta, nella quale Michelle appare il trait d’union tra la continuità del modello e il cambiamento necessario. Come grimaldello ha portato lo scongelamento dei voti comunisti, un partito che ha continuato ad essere forte e presente nelle mille lotte nel paese ma espulso dal palazzo da un sistema elettorale senza dubbio antidemocratico. Ora per Michelle viene il momento di ripagare almeno un po’ quell’apertura di credito su tre fronti e un orizzonte.
Il primo fronte è quello della riforma tributaria. Il Cile è un paese fiscalmente ingiusto, un paradiso per gli investitori e un incubo per equità sociale. I numeri in parlamento ci sono ma bisognerà capire quanto in là il governo potrà e vorrà spingersi. Un primo dato sui margini di manovra lo avremo oggi con l’affluenza alle urne. Sarà magra in un paese depoliticizzato, ma quanto?
Solo se sarà risolto bene il primo nodo ci saranno risorse per spendersi con efficacia sul piano educativo, che è quello sul quale i movimenti studenteschi e una parte del PCCh hanno fatto le maggiori aperture a Bachelet. In particolare, l’università in Cile, quasi tutta privatizzata (e quella pubblica costa come la privata) è un’istituzione rigidamente chiusa a chi non proviene dalla classe dirigente o almeno dalle classi medie benestanti. Le epocali manifestazioni degli anni scorsi hanno portato in parlamento vari leader studenteschi, tra i quali la celebre Camila Vallejo. Si vedrà presto se la loro presenza avrà un senso o avrà solo illusoriamente spaccato il movimento.
Il terzo fronte sarebbe a quel punto quello della riscrittura della Costituzione voluta da Pinochet per perpetuare il proprio lascito di un paese di proprietà di una piccola parte della popolazione. In parlamento i numeri per cambiare la Costituzione non ci sono (a meno di cambiamenti solo cosmetici) e il percorso per arrivare ad un’Assemblea Costituente, già seguito in questi anni da Bolivia, Ecuador e Venezuela, appare avvolto nella nebbia.
Tutto ciò avviene sotto l’orizzonte di un paese dove da 40 anni l’autoritarismo della dittatura prima e della democrazia più o meno protetta poi, hanno messo sotto il tappeto mille contraddizioni. Spezzate le reni ai sindacati con la fine del lavoro formale di massa, i fronti si sono spostati e vanno ben oltre il movimento studentesco. Alla dignità dei mapuche del sud non si potrà continuare a rispondere sempre con la repressione. Ai movimenti ambientalisti, che lottano contro le miniere e le mega dighe che vengono a costruire le multinazionali che distruggono il territorio e avvelenano le acque, si dovrà dare una risposta. Così pure Michelle dovrà avanzare sul piano dei diritti, che tra i tanti è quello che le appare più congeniale. La legge antidiscriminazione (in Italia neanche quello), approvata sotto l’orrore per l’assassinio del giovane omosessuale Daniel Zamudio, non può bastare per una società matura per il matrimonio egualitario come la vicina Argentina e per l’avanzamento di tutti i diritti civili. Tutte queste domande, dai mapuche ai gay, possono essere riassunte in un’enorme richiesta di cittadinanza e partecipazione che solo una nuova Costituzione potrebbe garantire. La foglia di fico del Cile eternamente conservatore non regge più e Michelle Bachelet, tra conservazione e cambiamento, questa volta sarà obbligata a scegliere.