A maggio si terranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. La prima domanda che si pone è se l’odierna Unione Europea si possa considerare all’altezza degli ideali e delle aspettative dei fondatori. Per cercare una risposta occorre anzitutto riandare alle fonti, per recuperare lo spirito federalista di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni, antifascisti confinati nell’isola di Ventotene, che nell’agosto del 1941 hanno predisposto il “manifesto per un’Europa libera e unità”.
È incredibile come all’inizio della seconda guerra mondiale questi giovani abbiano avuto la lungimiranza di sognare e di disegnare un profilo del futuro continente europeo, che andasse oltre il nazionalismo foriero della tragedia che era in atto. Pensando già al dopoguerra hanno inserito questa esortazione: “sarà l’ora di opere nuove, sarà anche l’ora di uomini nuovi”.
Tra questi possiamo sicuramente inserire Alex Langer, il quale in un articolo nel 1964 (aveva soltanto 18 anni!) profeticamente ha scritto: “La gioventù europea è l’unica che possa realizzare l’obiettivo dell’Unione, perché dopotutto rappresenta la popolazione dell’Europa futura. Fino a che la gioventù non penserà in modo europeo, l’Europa rimarrà un’illusione.
Il nostro atteggiamento nei confronti dell’Europa è spesso influenzato da posizioni ormai superate: dal nazionalismo, dal disinteresse, dalla chiusura (il nostro scarso interesse a conoscere i giovani di altri popoli), dal pessimismo e dal rifiuto. Dobbiamo superare queste barriere e aprirci in modo nuovo all’Europa, la nostra vera patria”.
Le nuove generazioni, simboleggiate dai progetti Erasmus, stanno dando un contributo nella costruzione di una comunità di giovani che si vivono come identità in relazione, che si sentono come appartenenza comune.
Eletto parlamentare europeo dal 1989 al 1995, Alex Langer in una conferenza tenuta nel giugno del 1990, ha detto: “Occorre procedere ad una limitazione e ad una diluizione, vorrei dire volontarie, delle sovranità. In questo senso, dopo averci riflettuto molto, da ormai diversi anni mi vado sempre più convincendo della necessità di muoversi verso forme istituzionali e di aggregazione che per l’appunto diluiscano, svuotino, diffondano quella che viene ancora tramandata come sovranità statale”.
Alex Langer durante tutta la sua vita si è impegnato per una convivenza pacifica tra i popoli attraverso il dialogo e il riconoscimento reciproco delle diversità e per una conversione ecologica necessaria per contrastare gli squilibri climatici. La visione di Alex Langer del rapporto tra umanità e natura ha trovato riscontro in alcune recenti encicliche papali: “il degrado della natura è strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana” (Caritas in veritate – 2009) e “se la tendenza attuale continua, questo secolo potrebbe essere testimone di cambiamenti climatici inauditi e di una distruzione senza precedenti degli ecosistemi, con gravi conseguenze per tutti noi” (Laudato si’ – 2015).
Nel dicembre del 2018 alcuni economisti, tra i quali Thomas Piketty, hanno presentato un “manifesto per la democratizzazione dell’Europa” nel quale si afferma: “L’Europa deve costruire un modello originale per garantire uno sviluppo sociale equo e duraturo dei propri cittadini. L’unico modo per convincerli è quello di abbandonare promesse vaghe e teoriche. Se l’Europa vuole riconquistare la solidarietà dei propri cittadini, potrà farlo solo dimostrando concretamente di essere in grado di stabilire una cooperazione tra europei e facendo in modo che coloro che hanno tratto vantaggio dalla globalizzazione contribuiscano al finanziamento dei beni pubblici che oggi in Europa sono gravemente carenti. Ciò significa far sì che le grandi imprese contribuiscano in misura maggiore delle piccole e medie imprese e che i contribuenti più abbienti paghino in misura maggiore dei contribuenti più poveri. Oggi non è così”.
Certamente, l’Europa finora non ha dato grande prova di sé stessa, né è riuscita a mantenere le promesse e le aspettative dei popoli che la costituiscono. In parte ciò è dovuto all’affievolirsi dello spirito europeo, poiché l’Europa di fatto non è ancora sentita come la propria patria. Evidentemente si sono fatti molti passi avanti, a cominciare dal fatto che si è passati da 6 a 28 Stati membri, ma è anche vero che per la prima volta uno Stato (la Gran Bretagna) sta procedendo – seppure in modo controverso – nell’uscita dal contesto europeo. Non solo: in molti Stati dell’Unione da parecchi anni soffia un vento antieuropeista, con il riaffermarsi di concezioni nazionalistiche e/o etniche contrapposte, da cui purtroppo sono scaturite tragedie anche recenti (vedi ad esempio il conflitto nella ex Jugoslavia).
Siamo in un periodo di transizione e di incertezza sulle sorti dell’Europa. Occorre scegliere se avviarsi verso un progressivo sgretolamento, abbandonando il sogno dei fondatori, oppure se ridare linfa al progetto europeo, proseguendo con maggior decisione e convinzione nel processo di integrazione, di una nuova propulsione di natura culturale e politica che rilanci e rafforzi la componente sovranazionale dell’Unione Europea. Una simile evoluzione rappresenta peraltro la possibilità di costruire un’identità europea, non in termini difensivi, ma in proiezione di apertura, in coerenza con il tratto progettuale che segna, fin dall’origine, la storia europea. Come ha scritto il filosofo Theodor Adorno: “Non si tratta di conservare il passato, ma di realizzarne le speranze”.
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Segnaliamo sulla stessa linea l’art. dell’ottobre 2018 “Elezioni 2019, Europa al bivio: Più Europa o più nazionalismo?” di Natale Salvo