“Se gli europei la smettessero di appoggiare i nostri dittatori, di accettare i loro soldi nelle banche e di vendergli armi, non vedremmo più nessuno morire in mare” dice Soumalia Diawara, attivista e poeta originario del Mali, che pure quel mare l’ha conosciuto. Nato a Bamako 31 anni fa, già militante del partito di opposizione Solidarité Africaine pour la Democratie et l’Independance (Sadi), con i suoi versi parla di diritti negati e voglia di riscatto.
Nell’intervista con l’agenzia ‘Dire’ tornano più volte i ‘Sogni di un uomo’, che danno il titolo all’ultima raccolta di poesie. Versi scritti e pubblicati in Italia, dopo la partenza su un gommone dalla Libia, il salvataggio della Marina militare e il riconoscimento dello status di rifugiato politico. Una storia personale maturata con il Forum du Re’seau de la Gauche Africaine (Alnef) e che riporta a un tema profondo: quello dell’impegno per l’indipendenza, ben al di là delle dichiarazioni dei ministri italiani Luigi Di Maio e Matteo Salvini sullo “sfruttamento” del continente da parte di Parigi.
Diawara era fuggito dal Mali nel 2012, dopo essere stato accusato di aver aggredito il presidente del parlamento del suo Paese. Ricostruzioni infondate, frutto velenoso dello scontro tra un governo legato a doppio filo alla Francia e chi a Bamako non ci stava.
Ma oggi che senso hanno le accuse rivolte a Parigi di sfruttare l’Africa? “Tirare fuori l’argomento del franco Cfa alla vigilia delle elezioni europee è propaganda politica sulla nostra pelle” risponde Diawara. Convinto che la moneta garantita dalla Francia, in circolazione in 14 Paesi, perlopiù ex colonie dell’Africa occidentale, costituisca si’ “un problema”, ma solo uno tra tanti.
“Penso alle multinazionali, a cominciare da quelle del petrolio” dice Diawara: “La Shell, la Total o anche l’italiana Eni in Nigeria sfruttano i popoli e le loro risorse“. Quei contratti sarebbero conseguenza di condizionamenti e ingerenze politiche, denuncia l’attivista: “Dittatori appoggiati dalle potenze occidentali hanno miliardi nelle banche europee e comprano armi per opprimere i popoli africani senza che nessuno poi ne parli”.
E pochi governi, almeno in Europa, avrebbero denunciato gli assassinii di Sylvanus Olympio e Thomas Sankara, presidenti di Togo e Burkina Faso uccisi nel 1963 e nel 1987, o la destituzione di Modibo Keita, omologo maliano rovesciato da un putsch nel 1968. “Furono fatti fuori da golpisti al soldo di Parigi perché avevano denunciato il franco Cfa” dice Diawara. Convinto che in questa scia si inseriscano pure i bombardamenti della Nato in Libia, ispirati da Nicolas Sarkozy per chiudere i conti con il “panafricanismo anche monetario” di Muammar Gheddafi. Quello dell’ex “franc des colonies francaises d’Afrique“, insomma, resterebbe un ostacolo sulla via dell’indipendenza sostanziale dei Paesi subsahariani. “Sta danneggiando la nostra economia e ostacolando lo sviluppo” sottolinea l’attivista: “Ancora oggi il 65 per cento delle nostre risorse va non si sa dove, perché il CFA e la sua convertibilità con l’euro sono garantiti dalla Banca centrale di Parigi“. Un riferimento, questo, all’obbligo dei Paesi africani di depositare presso il Tesoro francese almeno la metà delle proprie riserve di cambio, in un “conto operazioni” che nel 2015 ammontava a 14 miliardi di euro.