Sono ormai più di 70 giorni che la deputata del Partito Democratico Popolare (HDP), Leyla Guven, attualmente in carcere, è in sciopero della fame per chiedere libertà e giustizia in Kurdistan e per denunciare le condizioni disumane delle carceri turche. Lo sciopero si è allargato a 226 detenuti in Turchia e a decine di solidali e parlamentari a Strasburgo e in Inghilterra, arrivando a più di un mese. Fra le richieste della protesta c’è la fine del regime di isolamento carcerario imposto dallo Stato turco ad Abdullah Ocalan, incarcerato da quasi 20 anni sull’isola di Imrali. Dal 2011 gli è negato ogni tipo di contatto con i suoi legali, e dal 2015 gli è impedito ogni contatto con l’esterno e con i familiari.
La mobilitazione di questi mesi ha permesso di rompere questo totale isolamento in cui si trova da ormai più di due anni, ottenendo una visita del fratello di Ocalan nel carcere di Imrali.
La stessa Turchia, in forte crisi economica, ha annunciato di voler invadere la Siria del nord, mettendo fine all’esperienza confederalista della regione del Rojava e venendo in aiuto ancora una volta allo Stato Islamico, che continua con difficoltà a restare in alcune zone della regione. Nella Siria del Nord si è sviluppata l’esperienza di un sistema democratico multietnico basato sulla parità di genere, dove le curde e i curdi insieme agli altri popoli della regione non solo hanno combattuto, pagandone un prezzo elevato in termini di vite umane, la minaccia globale dello Stato Islamico portandolo alla sconfitta, ma hanno favorito nei territori liberati la diffusione di un modello amministrativo laico, democratico ed egalitario. Ciò rappresenta una speranza di cambiamento ed emancipazione per tutti i popoli della regione e per l’intero Medio Oriente.
In queste settimane la situazione si fa più critica a causa dell’annuncio del ritiro delle truppe statunitensi e dell’attacco turco a questa esperienza confederalista, in nome di una lotta al “terrorismo” curdo senza confini che vede il presidente Erdogan protagonista. L’obiettivo è quello di colpire il movimento di liberazione e resistenza curdo guidato dal PKK (Partito dei lavoratori curdi), “colpevole” non solo di non essersi arreso di fronte alla feroce repressione militare, ma di rappresentare per l’intera regione mediorientale un progetto politico alternativo fondato sulla convivenza fra i popoli, sull’emancipazione della donna e sulla gestione del potere e del territorio sottratte a logiche di profitto e sfruttamento. Ad espressione dell’evidente avversione riservata a questo partito, il PKK continua ad essere inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche dell’Unione Europea, alimentando in questo modo la criminalizzazione e lo stigma rispetto a coloro che sacrificano la loro stessa vita per combattere il fascismo islamico dell’ISIS e sanzionando chiunque si esponga a fianco di questa lotta, come ad esempio, i cinque solidali torinesi che sono andati in Rojava in solidarietà alla lotta curda per i quali la procura ha richiesto la misura della sorveglianza speciale, (o i numerosi processi aperti in Germania e Italia)
Il nostro paese, come del resto tutta l’Unione Europea, decide di non vedere le politiche repressive dello stato turco, continuando a fare affari con il sultano Erdogan in numerosi campi. L’Italia è uno dei primi paesi ad intrattenere rapporti con la Turchia tramite aziende come Leonardo-Finmeccanica, che vende elicotteri e attrezzature militari, o la Menarini. Ricordiamo inoltre il criminale accordo sull’immigrazione tra UE e Turchia, con il quale sono stati regalati al sultano Erdogan miliardi di euro per chiudere le frontiere davanti a chi stava scappando dalla guerra siriana, per essere poi molto spesso imprigionati in carceri speciali. L’Università di Firenze non si dimostra da meno: esistono infatti accordi di collaborazione con università turche, quelle stesse che hanno licenziato i professori “sgraditi”, incarcerati insieme alle migliaia di dipendenti pubblici contrari al regime di Erdogan. Inoltre, Unicredit, banca sponsor dell’UNIFI, è tra i principali finanziatori delle politiche assassine dello stato turco, intrattenendo proficui scambi e possedendo numerose azioni di banche turche (circa il 10% del fatturato viene dal ramo turco).
Per tutti questi motivi, come studenti e studentesse pensiamo che l’unica arma che abbiamo sia quella di mobilitarsi in solidarietà alla lotta curda e all’esperienza della Siria del Nord, prendere parola contro gli interessi italo turchi e contro le politiche di aggressione che la Turchia continua a portare avanti.
Vi chiediamo dunque di non voltarvi dall’altra parte mentre lo stato turco continua a commettere i suoi crimini e di appoggiare la resistenza curda e la loro attuale protesta.
Vi invitiamo perciò alla partecipazione delle iniziative organizzate in città:
– mercoledì 23 gennaio h19.30 presidio in Prefettura
– nella Biblioteca Umanistica in Piazza Brunelleschi alle h21:00 si terrà un dibattito sulla mobilitazione dei prigionieri politici kurdi, con la partecipazione di un rappresentante kurdo e delle delegazioni internazionali a cui è stato negato l’incontro con la deputata Leyla Guven;
-giovedì 24 gennaio dalle h21.00 proiezione del film sulla vita di Sakine Cansiz, esponente storica del PKK assassinata a Parigi dai servizi segreti turchi 5 anni fa.