Il discorso vomitato in Parlamento con tutti i crismi del Potere non diceva nulla di nuovo, una sterile ripetizione di quanto dichiarato mille volte in campagna elettorale. Pochi minuti dopo, dal palco antistante il palazzo presidenziale, l’orrore verborragico esordiva con un emblematico “Vamos libertar o pais do socialismo” libereremo il paese dal socialismo. Ecco il nemico di sempre, un socialismo che non è mai esistito, un fantomatico marxismo culturale che ha dominato e minato il tessuto sociale. Le parole usate come cortina di fumo per mascherare il progetto economico messo in atto in appena ventiquattro ore. Diminuzione del salario minimo; estinzione della segreteria speciale per le minoranze etniche; proibizione alla FUNAI (l’organo istituzionale di tutela della popolazione indigena) di demarcare nuovi territori per gli indios, affidando la funzione al ministero dell’agricoltura (in mano alle grande compagnie dell’agro-businnes); preparazione del decreto per facilitare il possesso di armi da fuoco; conferma delle condanne in appello senza aspettare la sentenza di cassazione (una decisione contraria alle norme costituzionali); estinzione del Ministero del Lavoro, del Ministero dello Sport e Integrazione Razziale, del Ministero della Cultura; conferma del trasferimento dell’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme; dimissione sommaria dei dipendenti pubblici che nelle loro pagine private di facebook si sono dimostrati ostili alla politica presidenziale: 320 funzionari ministeriali esonerati in tronco; estinzione del Consiglio di Sicurezza Alimentare, l’organo che studia e definisce la priorità di intervento contro la fame e che orienta l’azione del famoso e premiato programma Bolsa Família.
Sono bastate ventiquattro ore per sentire i primi colpi di frusta. Ventiquattro ore. Lo sapevamo, ce lo aspettavamo, ma fanno male lo stesso. La tecnica è quella di sempre: annunciare per immediatamente smentire e accusare l’opposizione di aver fabbricato la notizia. Una tecnica salviniana elevata all’ennesima potenza. Alcuni posti chiave della Stato sono letteralmente nelle mani di fanatici religiosi o nostalgici di un passato oscuro: il ministro degli esteri nel suo primo discorso ufficiale saluta i presenti, tra i quali sua altezza imperiale… sì, l’erede al trono! Il super ministro Moro saluta ringrazia l’esercito come “garante della stabilità”. I fondamentalisti delle sette evangeliche dichiarano che Darwin ha contaminato le scuole e d’ora in poi i maschietti vestiranno di azzurro e le femminucce di rosa perché il marxismo culturale aveva preparato una strategia di iniziazione dei bambini al culto satanico, grazie a Dio interrotto dal nuovo presidente.
Qualche anno fa il primo astronauta brasiliano partecipò ad una missione della Nasa. Il suo compito nella stazione spaziale fu quello di piantare fagioli ed osservarne la crescita a gravità zero. Piantare fagioli. Niente da eccepire. Per diventare astronauta ce ne vuole: laureato in fisica, pilota di caccia militari, trafila di allenamenti in America, preparazione tecnica e psicologica, insomma, il primo astronauta brasiliano va a piantare fagioli nello spazio. Al suo ritorno, festa in pompa magna, premi e commende varie. Oggi nel suo nuovo ruolo di ministro della “Scienza, Tecnologia, Innovazioni Comunicazioni”, convoca la comunità scientifica e proferisce un discorso di psicologia motivazionale: non desistite mai dai vostri sogni, bisogna guardare avanti con ottimismo. I professori convocati comprendono attoniti che d’ora in poi sarà durissima. Un giornalista domanda se la terra è rotonda. Il ministro conferma. Sì, conferma. Infatti è necessario confermare: la terra è rotonda. Altri ministri ne dubitano. Altri ancora dichiarano che l’insegnamento della chiesa di Dio purtroppo è stato soppiantato dalla scienza. La terra è rotonda, va bene. Ma d’ora in poi Darwin non si studierà più. E neanche la teoria di Einstein che, come quella di Darwin rimane pur sempre una teoria, mentre invece la bibbia è la parola di Dio e su quella non si discute: il marxismo culturale è finito. Così come è finita la pacchia per i migranti. Non mi riferisco ai quelli lasciati alla deriva da un flaccido ministro degli interni, ma a quei pochi haitiani che ogni tanto si presentano alle nostre frontiere, o ai venezuelani morti di fame che attraversano il confine in cerca di un pezzo di pane. Il presidente ha ritirato la sua adesione dal Global Compact for Migration. Si è dimenticato che la nostra storia è di un paese costituito da popoli originari e da milioni di uomini venuti da altre parti, chi volontariamente dall’Europa, chi trascinato a forza dall’Africa, un paese le cui radici sono sparse per il mondo e meta di giganteschi flussi migratori che ne hanno formato l’essenza. Il presidente spaventato da quelli che ha definito “la scoria dell’umanità” si è dimenticato che in questo momento ci sono migliaia di brasiliani che vivono all’estero per non desistere dal loro sogno, come direbbe il ministro astronauta.
La continua umiliazione e lo stato di minaccia permanente a cui siamo sottoposti trova il suo coronamento nelle parole del generale Heleno, capo gabinetto dei servizi segreti. Nel suo discorso di insediamento accusa la ex presidente Dilma di non avere mai creduto nella capacità dei servizi e di averli osteggiati con tutte le sue forze. La risposta della ex presidente non lascia alcun dubbio su chi fu il responsabile diretto dello spionaggio del suo telefono in favore del dipartimento di stato americano, come rivelato da Edward Snowden. Era l’epoca in cui si decideva l’uso dei pozzi di petrolio appena scoperti, tanto petrolio da rendere il Brasile totalmente indipendente dal punto di vista energetico. Il telefono presidenziale sotto controllo, le decisioni strategiche spiate, un processo di impeachment con l’accusa di aver violato una norma contabile che il giorno successivo alla deposizione venne abrogata definitivamente. L’accesso al petrolio nazionale da parte delle grandi imprese internazionali conseguito attraverso la distruzione sistematica della Petrobras, l’impeachment di Dilma e l’arresto di Lula. La ex presidente risponde al generale che non si fidava dei servizi e continua a non fidarsi. Davanti alla sede delle Polizia Federale dove Lula è tenuto prigioniero, centinaia di persone si stringono in un abbraccio simbolico al presidente.
Tra generali e banchieri, fanatici religiosi, nostalgici e affaristi senza scrupoli, il Brasile comincia l’anno in ginocchio, prostrato e coi nervi tesi. La moglie, nonché portavoce, del super ministro Moro, attraverso la sua pagina facebook, chiede ai brasiliani che smettano di criticare il governo e che per il bene comune si stringano intorno al nostro amato presidente. Il giorno dopo, la signora Moro cancella il post. La tecnica del mordi e fuggi, del fare e disfare, dire e non dire, continua. Basta.