“Siano le strade un trionfo dell’arte per tutti”. Resto imbambolata di fronte a queste parole di Majakovskij, stampate in una delle prime sale della mostra. Stridono con la sporcizia, il grigiore e la decadenza dei panorami che ho attraversato per arrivare qui. Ma siamo in piena sintonia con lo spirito della mostra: sorprendere con una nota incongrua e spiazzante, valorizzare l’attitudine alla sperimentazione, fare attenzione alle realtà urbane. Détournement è la parola chiave: il plagio in cui sia la fonte sia il significato dell’opera originale vengono sovvertiti per creare un lavoro nuovo che, con un urlo o un sussurro, ti dice “ehi, fermati a riflettere, dove credi di andare”.
Guardo le sue opere e mi portano altrove. A volte vorrei essere così, una vita con il mistero addosso, avere la creatività di rendere bellissime cose anche molto brutte, avere coraggio. È strano vedere qui, chiuse dentro un museo, opere nate per la strada perché il vento e la polvere possano accarezzarle, consumarle, completarle. Ma è anche un’occasione straordinaria di avvicinarsi un po’ di più a quella genialità che l’artista e writeringlese più nascosto e più conosciuto al mondo porta con sé. Satirico, universale, etico: la sua protesta visiva lo rende icona amata da un pubblico vasto ed eterogeneo per provenienza, età, cultura. Cifra stilistica di molti suoi lavori è la tecnica dello stencil, affinata con il duplice scopo di poter eseguire i lavori illegali con una notevole velocità e allo stesso tempo di renderli più elaborati.
Incontro così, virtualmente, Banksy, uno dei maggiori esponenti della street artcontemporanea, attraverso le opere in cui la sua potenza si muove e si impone. Sono opere controverse, che provocano e scuotono: spesso intervenendo su copie di opere esistenti e universalmente conosciute, con l’inserimento di alcuni elementi stranianti Banksy ne modifica il significato e denuncia con mordace inventiva l’arroganza dell’establishment e del potere, del conformismo, della guerra, del consumismo. Quella al MUDEC – Museo delle Culture di Milano non è la prima mostra su Banksy, ma è la prima monografia proposta sul territorio nazionale che raccoglie opere di collezionisti privati di provenienza certificata: una retrospettiva, come tutte le altre ad oggi organizzate, non autorizzata dall’artista, che continua a difendere la sua indipendenza e il suo anonimato per scelta e per necessità, costruendo sull’invisibilità anche la sua popolarità.
Promossa dal Comune di Milano-Cultura e da 24 ORE Cultura-Gruppo 24 ORE, ideata da Madeinart e aperta dal 21 novembre 2018 al 14 aprile 2019,“A Visual Protest. The Art of Banksy” è un progetto espositivo curato da Gianni Mercurio che raccoglie circa 80 lavori tra dipinti, printsnumerati (edizioni limitate a opera dell’artista), fotografie e video, copertine di vinili e cd musicali da lui disegnati e una quarantina di memorabilia (litografie, adesivi, stampe, magazine, flyer promozionali) che ne raccontano opere e pensieri.
Forse un po’ troppo impostata come soluzione, ma coerente con lo scopo di rendere il percorso, reale e figurato, accessibile attraverso chiavi di lettura diversificate, la mostra si fa visitare con piacere. E poi rientra in un progetto scientifico più ampio, “Geografie del futuro”: un racconto sul “sapere geografico”inteso come rilevamento di territori e di culture e superamento dei confini.Quali tipi di “geografie” definiranno i confini della nostra conoscenza del mondo nel futuro? A fronte di una tecnologia che fa spazi e distanze sempre più piccoli, esplorando la complessità di luoghi e non-luoghi, con Bansky la relazione con la geografia e il paesaggio si connota di sfumature ben definite, sociali. Nelle sue opere, che spesso appaiono in zone di conflitto, si incarna una relazione fondamentale con il paesaggio umano: non conta tanto la forma ma il messaggio, in ogni caso diffuso con un linguaggio personale che diventa immediatamente riconoscibile e multiculturale. Ed esprime un interesse profondo verso il territorio (psicogeografia): la sezione video della mostra mette in luce proprio queste connessioni: i murales che Banksy ha realizzato in diversi luoghi del mondo, tuttora esistenti o scomparsi, evidenziano in maniera inappellabile il Genius loci quale aspetto fondamentale dei suoi lavori, che nascono spesso semplicemente in funzione dei luoghi in cui sono realizzati.
Si illustrano i “movimenti” che hanno utilizzato una forma di protesta visiva attraverso la fusione di parole e immagini e con un’attitudine all’azione, a cui Banksy fa riferimento per le modalità espressive: dal movimento situazionistadegli anni ’50 e ’60, con il quale condivide l’attenzione alle realtà urbane, alle forme di comunicazione ideate e praticate dall’Atelier Populaire, il collettivo di studenti che nel maggio del 1968 diffuse attraverso centinaia di manifesti i temi della protesta sui muri di Parigi; fino ad arrivare ai lavori dei writers e dei graffitisti di New York degli anni ’70 e ’80, illegali per vocazione e dal forte senso di appartenenza comunitaria. Come gli street artists della sua generazione Banksy accentua il contenuto dei messaggi politici e sociali in maniera esplicita… ironizzando pesantemente sulla stessa validità dell’opera d’arte quando è slegata dal contesto. Viene in mente la sua famosa opera “La ragazza col palloncino” autodistruttasi all’asta dello scorso ottobre, e non si può che portarsi via un sorriso denso di riflessioni ripensando a una delle opere più graffianti apparse in questa carrellata che mi lascio alle spalle: un’asta in cui l’opera battuta incornicia l’ennesima provocazione. “Non posso credere che voi imbecilli davvero compriate questo schifo”.
Articolo di Anna Molinari