A Parigi la COP21 (cui il sottoscritto Alfonso Navarra ha partecipato) si era presa un giorno in più per varare l’accordo globale sul clima (il 12 dicembre 2015). Non desti scandalo dunque se alla COP24 di Katowice hanno prolungato i negoziati fino al 15 dicembre (dovevano concludersi il 14) per le regole di attuazione di quello storico accordo.
L’impegno di Parigi è mantenuto nel “Rulebook”, che dovrà essere messo in pratica nel 2020 (forse alla COP26 che terremo in Italia: il ministro Costa ha candidato il nostro Paese ad ospitarla).
Si tratta in particolare dei criteri con cui misurare le emissioni di anidride carbonica (CO2) e valutare le misure per contrastare il cambiamento climatico dei singoli paesi.
Questa uniformità dei criteri di stima è indispensabile per procedere alla revisione degli impegni nazionali “autodeterminati” nel taglio della CO2 che dovrà essere decisa, appunto, nel 2020. Si dovrebbe passare in quella sede dalle quote volontarie alle quote obbligatorie, una volta preso atto che le prime sono insufficienti: vedi ultimo rapporto dell’IPCC citato più avanti.
Alla conferenza hanno partecipato i rappresentanti di 196 paesi, compresi gli Stati Uniti “ufficiali“, nonostante il presidente Donald Trump li abbia ritirati dall’accordo di Parigi: perché la decisione sia effettiva infatti bisognerà aspettare il 2020.
Gli americani erano presenti anche con “We are still in“, il movimento guidato dallo Stato della California: sostiene che la base del Paese è ancora dentro l’accordo e, nelle sue punte più avanzate, mette in relazione il contrasto alla minaccia climatica con quella alla minaccia nucleare, supportando addirittura il Trattato di proibizione delle armi nucleari.
(Per saperne di più: https://sognandocalifornia.webnode.it/ a cura dei Disarmisti esigenti, in collaborazione con WILPF Italia e Accademia Kronos. Seguite in particolare il “Diario di Giovanna Pagani“, che è stata “ambasciatrice” degli eco-antimilitaristi in Polonia. E soprattutto della “Pace femminista in azione!“).
Uno dei punti più controversi che ha ritardato i lavori è stato ovviamente quello dei soldi: come i i paesi più ricchi aiuteranno quelli in via di sviluppo nella transizione energetica (ed anche nelle emergenze climatiche che andranno ad aumentare).
Ma il principale contrasto emerso ha riguardato l’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) delle Nazioni Unite, che si occupa di analizzare scientificamente l’andamento del clima e di produrre modelli sulla sua evoluzione. Nel rapporto l’IPCC ha confermato che un aumento medio della temperatura globale di almeno 1,5°C sui livelli pre-industriali è ormai inevitabile – avverrà nei prossimi 12 anni – e che per tenersi entro i 3°C di aumento complessivo sarà necessario tagliare le emissioni di anidride carbonica del 45 per cento (almeno) entro il 2020. In mancanza di azioni radicali, la temperatura media aumenterà oltre i 2 °C portando a eventi climatici più estremi e cambiando il clima di intere aree geografiche, con conseguenze per milioni di persone.
Nonostante il rapporto dell’IPCC fosse stato commissionato dalla COP21, i delegati alla conferenza di Arabia Saudita, Kuwait, Russia e Stati Uniti (tutti paesi produttori di petrolio) si sono opposti all’adozione delle sue conclusioni da parte della COP24: per questo la conferenza ha ufficialmente riconosciuto il fatto che l’IPCC abbia realizzato un importante studio, senza riconoscerne le conclusioni. Alla squadra dei “boicottatori” possiamo aggiungere anche il Brasile di Bolsonaro.
Del resto il fatto che la COP24 si sia tenuta proprio in Polonia, nella regione carbonifera della Slesia, non era di buon auspicio: il Paese che ricava dal carbone l’80 per cento della sua energia, non vuole abbandonare la peggiore delle fonti fossili; questo è stato affermato esplicitamente in apertura della conferenza dal presidente polacco Andrzei Duda.
Alla conclusione dei lavori lo stesso soggetto si è lasciato fotografare mentre balla allegro sui tavoli dell’assemblea: cosa avrà mai da festeggiare in modo così entusiastico?
Il Rulebook è stato redatto in modo da garantire maggiore flessibilità nella messa in pratica delle regole in modo da poterle rispettare più facilmente. Il Brasile aveva bloccato il processo decisionale su questo tema proponendo un sistema di mercato delle emissioni (cioè di scambio tra paesi delle proprie quote di emissioni) che secondo alcuni avrebbe permesso a certi paesi di “barare”. La decisione sul tema è stata rimandata al 2019 e così i lavori sono potuti proseguire.
Rispetto a Parigi, il ruolo dell’Europa si è fatto meno deciso e trainante e forse riflette anche la necessità di maturare approfondimenti sul tema della “giusta transizione”, come sta drammaticamente ponendo in rilievo la rivolta contro le eco-tasse dei Gilet gialli in Francia.
Il problema, in sintesi, è come gestire la conversione energetica verso le rinnovabili non penalizzando in modo eccessivo i lavoratori dei settori fossili che dovranno essere chiusi ed i consumatori poveri di benzina: tutela ambientale e giustizia sociale devono andare di pari passo, altrimenti non otterremo né l’una né l’altra.
L’Italia, rappresentata dal ministro Sergio Costa, si è schierata in campo internazionale con i più “ambiziosi” ma si deve osservare che questo non corrisponde ad un impegno vero nel cambiamento interno.
Costa ha promesso che consulterà la Coalizione Clima quando varerà il Piano Clima Energia (ero nella delegazione che lo ha incontrato il 27 novembre scorso) ma quanto ha già prodotto, ad esempio il decreto sulle rinnovabili, ricalca quella strategia della “centralità del gas” che proponevano i predecessori. Il sottosegretario Crippa ha annunciato che l’Italia rivedrà al ribasso gli impegni europei al 2030.
Dobbiamo anche citare in modo negativo le scelte sulla TAP e sulle trivellazioni, che non possono essere compensate dal rinvio della decisione sulla TAV: possiamo già affermare che la sostanza delle promesse fatte in campagna elettorale dal M5S è stata tradita e non è il caso di chiedere nelle manifestazioni il futuro rispetto degli impegni quando questi per la parte preminente in termini di significato sociale e simbolico sono già stati violati.
Un bilancio finale? E’ stata una conferenza poco ambiziosa e di compromesso. Ma, con i tempi che corrono (e la presidenza Trump a giudizio di chi scrive rappresenta un sintomo grave) ci si può forse accontentare di conclusioni sicuramente insufficienti, ma nella cornice delle possibilità realistiche. Ovviamente chi scrive abita in Italia e non è il presidente delle Maldive, Hilda Heine, che ha commentato, giustamente dal suo punto di vista: “Voi ci avete condannato all’estinzione“.
Mi riferisco ai “tempi che corrono” perché, con Luigi Mosca, con cui ho scritto insieme “La follia del nucleare” (Mimesis edizioni 2018, altro coautore è Mario Agostinelli, mentre la prefazione è di Alex Zanotelli), sono sempre più convinto che, ad esempio, il pericolo della guerra nucleare sia in aumento. Non va sottovalutato il fatto che il Trattato sugli euromissili (quello stipulato nel 1987 grazie anche alle lotte di Comiso) stia saltando e che da parte russa si risponda facendo intendere che si stanno mobilitando Cruise in Venezuela…
La sfida climatica è vitale per la sopravvivenza dell’umanità ed è intrecciata con la sfida nucleare (anche se gli ambientalisti ne sono poco consapevoli). Per risolvere il nodo serve uno spirito di cooperazione globale nel portare avanti le conquiste “sulla carta” del diritto internazionale: anche per questo la lotta climatica deve proporsi come lotta per il disarmo e la pace e la lotta per la pace non può fare a meno della conversione ecologica.
Per approfondire le informazioni sulla COP24, si consigliano il sito dell’UNFCCC (https://unfccc.int/) e quello ufficiale dell’evento: https://unfccc.int/katowice.
Nota della redazione: questa la versione definitiva dell’articolo già pubblicato da Pressenza a caldo.