Crisi ambientali e migrazioni sono entrambe, in questa epoca storica, tematiche di grande rilevanza in rapporto di paradosso tra loro.
Alle prime, le crisi ambientali, al cui campo è ascrivibile anche la minaccia rappresentata dai cambiamenti climatici, si dedica attenzione minima. Relegate nelle pagine di cronaca solo in occasione di eventi calamitosi, le condizioni ambientali che incidono in maniera drammatica sulla qualità della vita di cittadini e comunità sono assenti dallʼagenda politica e mediatica.
Dallʼaltro lato, ai migranti è invece riservato un posto di rilievo nelle preoccupazioni della classe politica e nelle narrazioni giornalistiche, con un approccio che è però miope e criminalizzante. Ad interessare sono soltanto le politiche migratorie, basate non su numeri e dati verificabili ma sul “rischio percepito” dalla popolazione, creato ad arte dai partiti nazionalisti che ormai ovunque fanno incetta di voti giocando sulla paura. Mai, però, ci si sforza di ragionare sulle cause delle ondate migratorie della nostra epoca. Guerre, certo. Povertà economica. Ma alla base della necessità di abbandonare le proprie terre ci sono sempre più spesso il degrado dellʼambiente e la distruzione delle economie locali dovuti allʼestrazione delle risorse, alla contaminazione, agli effetti devastanti del riscaldamento globale. Non solo. Spesso i Paesi di arrivo che negano con le proprie politiche di accoglienza i diritti dei migranti sono gli stessi Paesi in cui hanno sede grandi imprese coinvolte in progetti estrattivi, produttivi o infrastrutturali che contribuiscono alla distruzione dei territori da cui la popolazione è forzata a fuggire. Questo cortocircuito tra responsabilità delle imprese per gli impatti prodotti nei Paesi di provenienza dei migranti – responsabilità che restano invariabilmente impunite – e risposta repressiva nei confronti dei flussi migratori è un altro lampante esempio del paradosso citato allʼinizio.
Un lungo report da leggere, scaricare e condividere.