Il 14 settembre del 2017, col ritorno al Cairo dell’ambasciatore italiano, si normalizzavano le relazioni diplomatiche tra Italia ed Egitto.
Si disse allora che la “pacificazione” avrebbe accelerato la ricerca della verità sul sequestro, la sparizione forzata, la tortura e l’assassinio di Giulio Regeni.
Quando manca poco più di un mese al terzo anniversario della scomparsa di Giulio e dopo 15 mesi dal rientro dell’ambasciatore al Cairo, possiamo concludere che ciò non è successo.
L’accelerazione l’hanno piuttosto data la decisione della Procura di Roma, che all’inizio del mese ha iscritto nel registro degli indagati un gruppo di funzionari egiziani sospettati del pedinamento e del sequestro di Giulio Regeni (e chissà se anche delle torture e dell’omicidio) e dei successivi depistaggi; e quella del presidente della Camera Roberto Fico di interrompere le relazioni col Parlamento egiziano.
Nell’immediato hanno pronunciato parole dure anche autorevoli rappresentanti del governo italiano. Poi, alla reazione delle autorità egiziane (che hanno respinto al mittente il passo della Procura di Roma e minacciato ripercussioni), sono seguiti giorni di silenzio.
Solo due giorni fa il Garante per i diritti delle persone detenute o private della libertà personale ha segnalato con preoccupazione l’impennata, nelle ultime settimane, dei voli di rimpatrio forzato verso l’Egitto. Ecco le parole del Garante, Mauro Palma: “Proprio nel momento in cui, dopo la conferma della mancata collaborazione delle autorità egiziane nelle indagini sui responsabili della tortura e dell’assassinio di Giulio Regeni, forme di cooperazione istituzionali con l’Egitto vengono sospese, si ha la sensazione che, viceversa, la collaborazione fra i due paesi in tema di rimpatri forzati sia entrata in una fase di rilancio”.