Nell’Europa del 17mo e 18mo secolo, il concetto di terra nullius indicava un territorio non popolato e quindi pronto ad essere legittimamente conquistato dal primo Paese che ci piantasse la bandiera. Passato di bocca in bocca nelle corti europee dopo la scoperta dell’America, è stato una delle principali leve per l’intera espansione coloniale in giro per il globo, nonché l’appiglio legale alla predazione delle ricchezze scoperte. Presentava il pregio di essere molto elegante nella formulazione e perfettamente in linea con i comodi delle potenze coloniali. L’utile e il dilettevole.

La base filosofica del concetto di terra nullius risaliva a Cicerone, Seneca, Ovidio, Virgilio, tutti concordi nel dire che la proprietà della terra spetta a chi la coltiva. Era l’agricoltura, il prendersi cura della terra, a legittimarne il possesso. Il concetto aveva attraversato il medioevo ed era giunto fino all’epoca moderna, con filosofi come Locke e Adam Smith. Una terra non coltivata da nessuno era a disposizione del primo arrivato.

Purtroppo per gli inglesi, messa alla prova dei fatti, tale dottrina funzionò solo in parte. Quando sbarcarono nell’America del Nord e provarono a definirla terra nullius, si ritrovarono invischiati in una guerra Pellerossa che li condusse rapidamente a trattare con coloro che insistevano a definirsi i legittimi proprietari. Gli Indiani d’America erano non solo agricoltori, ma anche formidabili guerrieri.

Quando, 250 anni dopo, gli inglesi sbarcarono in Nuova Zelanda e non trovarono quasi nessuno nemmeno lì, i Maori opposero una resistenza tale da convincerli che anche quella terra era meglio comprarla, piuttosto che cercare di conquistarla. Il prezzo richiesto dai proprietari indigeni era in fondo più economico del prezzo del sangue dei soldati inglesi. Perché, prima e dopo queste prudenti valutazioni, l’Australia fu trattata diversamente?

Al momento della partenza dell’Endeavour, nel 1768, la Royal Society e il Governo Inglese diedero a Cook istruzioni chiare: se avesse trovato nuove terre abitate da indigeni, “avrebbe dovuto agire in modo da coltivare amicizia e alleanza”. In particolare avrebbe dovuto evitare di cercare di conquistare le loro terre, perché questo sarebbe stato illegale. La dottrina della terra nullius era ancora malconcia dopo lo scontro coi Pellerossa…

Ma l’occasione fa l’uomo ladro e tutto cambiò con i rapporti alla madrepatria di Cook e dei primi esploratori. Nella nuova Terra Australis c’erano sì degli indigeni, ma diversi da ogni altra popolazione incontrata finora nel resto del mondo. Erano pochi, pochissimi rispetto all’estensione enorme della loro terra: se ne stimavano 1.5 milioni in tutto il Continente. Vivevano come nomadi, spostandosi ogni pochi giorni. Non sembravano riconoscere confini tra regioni o province. Formavano piccoli gruppi familiari e non avevano grandi città o villaggi. Non avevano nemmeno case, capanne o nemmeno tende: dormivano per terra, sotto gli alberi, nei cespugli o nelle grotte. Erano tecnicamente molto arretrati, apparentemente fermi allo stato di cacciatori e raccoglitori. Non usavano indumenti e, agli occhi degli occidentali, non avevano nessuna forma di igiene. Sembravano non conoscere il commercio e non erano interessati a nulla di ciò che i nuovi arrivati offrivano loro in cambio della terra. Cosa più importante di tutte, quella terra, non la coltivavano.

Vent’anni dopo l’arrivo di Cook, le istruzioni del Re al primo Governatore della colonia del New South Wales, Arthur Philip, erano molto diverse: “immediatamente dopo lo sbarco, metti in sicurezza l’area e procedi alla coltivazione della terra”. Il Governo inglese si era persuaso che, l’Australia, non era necessario acquistarla.

Col passare del tempo e l’intensificarsi della conoscenza reciproca, la considerazione inglese sugli aborigeni australiani non migliorò affatto. Agli occhi occidentali gli aborigeni apparivano brutti nell’aspetto, carenti di intelligenza, sporchi e primitivi, indolenti e miserabili. In Inghilterra si diffuse rapidamente l’idea che si trattasse del popolo più primitivo della Terra, di gran lunga più arretrato di ogni altro mai scoperto, scarsamente più civilizzato degli animali. Perfettamente in linea con “L’Origine delle Specie”, che Darwin pubblicava proprio in quegli anni, gli aborigeni d’Australia sembravano incarnare l’anello mancante tra l’uomo e la scimmia, un po’ più vicini alla seconda che al primo. Quegli uomini e quelle donne erano “allo stato di natura”. Quella in cui vivevano era, finalmente, una “terra nullius” da manuale.

Gli inglesi potevano legalmente e filosoficamente considerare l’Australia come una terra deserta, tutta istantaneamente passata sotto il possesso della Corona da quando Cook ci aveva posato piede. Era a disposizione del Governo di Sua Maestà per essere assegnata ai coloni. Gli aborigeni non avevano diritti su quella terra più di quanti non ne avessero i canguri, che erano oltretutto maggiori in numero. E come i coloni potevano legittimamente sparare ai canguri per difendere il raccolto, così potevano sparare agli aborigeni per difendere la terra assegnata.

I primi coloni capirono presto che la situazione era più complessa di come veniva descritta. Gli aborigeni avevano in effetti dei territori di residenza, che davano il nome alla tribù. Si spostavano spesso, ma tornavano ciclicamente nei propri luoghi di origine. Riconoscevano le terre come proprie e le tramandavano dall’uno all’altro. Alcuni aree, con le loro rocce, fiumi, cascate e alberi particolari, erano profondamente legate all’identità sociale e religiosa dei gruppi che le abitavano. In fin dei conti, seppur in modo diverso da come lo intendevano le leggi occidentali, quella terra apparteneva chiaramente a quei popoli.

Fin dal 1802, appena 32 anni dopo lo sbarco di Cook, sorsero sia in Australia che in Inghilterra vari movimenti sui diritti degli aborigeni, opere missionarie, enti di assistenza benefica. Ci furono perfino cause in tribunale a seguito di omicidi di coloni da parte di nativi, con agguerriti difensori d’ufficio che impostarono i casi come legittima difesa degli aborigeni di fronte all’invasione di occupanti invasori. Ancora una volta sembrava manifestarsi la doppia anima britannica: da un lato pii garanti dei diritti legali di tutti, dall’altro rigidamente attenti ai propri interessi. Il potentissimo Ufficio delle Colonie affrontò più volte la questione aborigena e fu istituita una Commissione sulla Colonizzazione del Sud Australia col compito di migliorare l’integrazione tra coloni e aborigeni. Il Governo del Sud Australia nominò perfino la figura di un Protettore degli Aborigeni. Ma i risultati furono quasi nulli. Anche perché, decenni dopo l’arrivo degli inglesi, gli aborigeni ancora non coltivavano la terra.

Seguendo il loro tipico pragmatismo, gli inglesi avevano provato ad insegnare l’agricoltura agli aborigeni: sarebbe stato uno spettacolare salvataggio di capra e cavoli. Ma gli aborigeni erano troppo attaccati ai propri usi tradizionali, sembravano incapaci di imparare, cambiare, evolversi, completamente disinteressati ad avvicinarsi allo stile di vita dei nuovi arrivati. Anche i meglio disposti tra gli inglesi non capivano come gli aborigeni preferissero morire nudi e pagani piuttosto che civilizzati e britannici. Ogni sforzo di convivenza veniva frustrato e alla fine sostanzialmente abbandonato. I problemi di coscienza legati al concetto di terra nullius passarono sotto traccia: togliere la terra agli aborigeni sembrava forse ingiusto ma semplicemente inevitabile.

Il principio era affermato, il danno era fatto e tornare indietro era impossibile. Il concetto di terra nullius era una strada a senso unico: aveva forse illegittimamente sottratto terra agli aborigeni, ma iniziare ora a ragionare di indennizzi avrebbe creato un danno enorme alla Corona e aperto decine di migliaia di contenziosi legali con i coloni che avevano comprato la terra dai Governatori locali. E gli inglesi avevano già sperimentato tale caos un secolo prima, in America del Nord: non erano intenzionati a ripeterlo. Era problematico sia riconoscere la proprietà della terra agli aborigeni sia arrogarla alla Corona. Tanto valeva lasciare che la tenessero per sé i coloni.

Il risultato di tutto ciò è un tipico paradosso all’australiana. Cook sbarcò nel 1768.  Nel 1835 il Governo imperiale britannico riconobbe per la prima volta la proprietà della terra agli aborigeni. Ma la dottrina della terra nullius fu ufficialmente abolita solo nel 1992.

 

Amadeus Leaflets, Melbourne, 27/11/2018