L’attivista Israa Al-Ghomgham è stata condannata a morte in Arabia Saudita, a causa delle sue attività pacifiste a favore dei diritti umani. Al-Ghomgham è stata arrestata nel 2015 insieme al marito, l’attivista Mousa Al-Hashim, entrambi figure di spicco nella rivolta contro il governo avvenuta nel 2011 a Al-Qatif, in un periodo in cui le proteste a favore della democrazia si sono diffuse in tutto il Medio Oriente e Nord Africa.
Al-Qatif si trova nella provincia più a est, nella quale si concentra la minoranza sciita, che costituisce il 15% della popolazione. I musulmani sciiti, sottomessi al regno sunnita subiscono una ”discriminazione dilagante”, che include maltrattamenti da parte del sistema giudiziario, intromissione del governo nelle questioni religiose, esclusione da alcuni posti di lavoro, stigmatizzazione e pregiudizio, secondo quanto riportato da Human Right Watch.
Insieme a molti altri sciiti sauditi, Al-Ghomgham e suo marito stavano protestando contro queste ingiustizie, chiedendo al governo di riconoscere i loro diritti.
Al-Ghomgham ha ricevuto ben otto accuse tra le quali” preparazione e diffusione di materiali contro l’ordine pubblico, secondo il Cybercrime Act (Legge sui reati digitali) del 2007. E’ stata anche accusata di aver “incitato la rivolta e i giovani contro le forze dell’ordine sui social”, postando le foto e i video delle proteste sul web. La donna è stata condannata alla pena capitale.
Nell’agosto 2018 è stata processata dalla Corte Criminale Specializzata, la corte antiterrorismo. Una seconda udienza si è tenuta il 28 ottobre scorso, ma né lei né i suoi difensori si sono presentati davanti alla corte, come ha dichiarato il Gulf Center for Human Rights. La prossima udienza è fissata per il 21 novembre.
Oltre a Al-Ghomgham, questa settimana vi sono altri cinque attivisti processati di fronte alla SCC, anch’essi accusati di aver protestato in modo pacifico per la libertà di espressione, associazione e assemblea, secondo Amnesty International. L’organizzazione per i diritti umani ha documentato altri otto casi di attivisti condannati a morte.
Tra i processati durante questa settimana, ritroviamo il sacerdote Salman al-Awda. Le forze dell’ordine lo hanno arrestato nel settembre 2017, con l’accusa di aver offeso il governo, richiedendo nuove riforme e il cambio di regime in Arabia Saudita. Anche lui è stato condannato a morte.
Nel frattempo, il procuratore saudita Saud al-Mujib è giunto in Turchia il 29 ottobre scorso, per condurre un’indagine sull’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi nel consolato arabo a Istambul. Al-Mujib interviene spesso contro i rivali politici della monarchia e contro coloro che sfidano il sovrano di fatto, il principe Mohammed Bin Salman. I leader politici di tutto il mondo hanno accusato Bin Salman di aver preso parte all’assassinio del giornalista. Molti si chiedono come Bin Salaman possa rendere giustizia a Jamal se allo stesso tempo condanna a morte coloro che cercano di preservare il diritto alla libertà di espressione.