Durante la manifestazione di BookCity a Milano si è tenuto presso la sede di Emergency l’incontro organizzato dal Centro di Nonviolenza Attiva di Milano: ‘Una scuola che si fa amare è possibile: abbiamo bisogno di educarci ed educare alla nonviolenza‘, che ha visto la presentazione di Emanuela Fumagalli, presidente dell’associazione Mondo Senza Guerre e Senza Violenza, l’intervento di Gabriella Falcicchio, scrittrice e docente presso il dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università di Bari e di Annabella Coiro, referente dei progetti educativi del Centro di Nonviolenza Attiva di Milano e studiosa di nonviolenza.
Nell’incontro si è cercato di rispondere ad alcune domande: la scuola può essere altro da ciò che oggi sperimentiamo? Può essere la fucina di una società nonviolenta? Perché dobbiamo cambiare l’educazione?
In un’ottica di coinvolgimento diretto, anche il pubblico è intervenuto con le proprie risposte. stimolato dalle conduttrici dell’incontro.
E’ possibile scaricare qui l’audio completo e due brevi video sui temi trattati.
Abbiamo rivolto alcune domande alle relatrici.
A Gabriella Falcicchio, autrice del libro ‘Profeti scomodi, cattivi maestri’, abbiamo chiesto quale sia la relazione tra la scuola e la nonviolenza.
Ci siamo mai chiesti se i nostri bambini e le nostre bambine amano la scuola? Dico proprio: amare.
Non che facciano i compiti per bene, non che prendano buoni voti, non che ci vadano volentieri (che già sarebbe tanto), ma che la amino, come si amano le cose importanti a cui non si rinuncerebbe mai, quelle che si tengono protette e si difendono se qualcuno le offende, quelle che è una festa starci dentro e un dispiacere uscirne…
Non ce lo chiediamo spesso e ancor meno ci chiediamo se la scuola si fa amare, ovvero se gli adulti – gli agenti educativi e come tale coloro che hanno il dovere di assumersi la responsabilità del processo educativo – siano capaci di rendere gioioso, felice, significativo quel lunghissimo tempo che un ragazzo o una ragazza trascorre a scuola nella vita.
La tradizione pedagogica nonviolenta, in Italia ben rappresentata da Aldo Capitini e Danilo Dolci, offre spunti di riflessione, sollecitando a ripensare in modo radicale il lessico della scuola – orientato in modo implicito verso un vocabolario più bellico di quanto ci sia accorga – gli spazi, i tempi e al loro interno le relazioni tra tutti i soggetti che vivono in questo contesto, che può rappresentare un’oasi educativa capace di emancipare e riscattare, oppure un vero inferno da subire fino a quando non sarà possibile scappare via. Sulla strada però rimarranno morti e dispersi…
Non ci si può interrogare solo sui mutamenti interni alle nuove generazioni, sui cambiamenti in seno alla genitorialità e sulle variabili sociologiche. C’è bisogno che la scuola rifletta su se stessa, sulla propria organizzazione interna, sulla violenza strutturale e culturale (J. Galtung) che produce.
La scuola può essere altro, può assurgere a luogo di costruzione di stili relazionali ed esistenziali aperti al tu di tutti, dei Tutti (A. Capitini), diventando, sì, un luogo che si fa amare. Per incamminarsi verso questa finalità ambiziosa – e per fortuna le energie di tanti/e docenti sono già in campo e vanno incrementate – occorre riabilitare dimensioni ancora residuali nel lavoro educativo, come il piacere. Parola mai del tutto ammessa nel vocabolario pedagogico, certamente imparentata con le più popolari “emozioni” positive, il piacere – insieme alla meraviglia, all’allegria, alla risata – dovrebbe essere la cifra cromatica di ogni apprendimento e di ogni insegnamento
Ad Annabella Coiro, autrice della prefazione del libro ‘Pedagogia dell’intenzionalità’ e referente della rete EDUMANA, abbiamo chiesto come si concretizza il percorso che stanno portando nelle scuole.
ED.UMA.NA (EDucazione UMAnista alla Nonviolenza Attiva) è al tempo stesso una pratica educativa e una rete di associazioni, scuole ed enti territoriali.
I passi che vogliamo intraprendere con EDUMANA si muovono verso una trasformazione educativa che vede finalmente defenestrata l’ educazione tradizionale che concede valore alla violenza, che legittima la prevaricazione tra i diversi attori del sistema educativo, che accetta la violenza come parte di una supposta natura umana; vorremmo che si intraprendesse un passo esplicito a favore di un’educazione con un impegno esplicito verso la cultura della nonviolenza, che rifiuta la violenza apertamente; che applica la “regola d’oro” (tratta gli altri come vorresti essere trattato) e la nonviolenza come passo fondamentale dell’evoluzione umana.
La pratica educativa è stata progettata per due anni nell’ambito del Centro di Nonviolenza Attiva e del Tavolo cittadino di Educazione alla Nonviolenza a Milano con il supporto dell’assessorato del Comune di Milano, ed è promossa dalle associazioni Mondo Senza Guerre e Senza Violenza e La Comunità per lo Sviluppo Umano.
La rete è stata costituita formalmente, siglata da istituti scolastici, associazioni no profit e Enti territoriali di Milano; l’ente capofila è l’Istituto Massaua – Cardarelli di Milano. Le classi pilota sono partite nel settembre del 2017. La valutazione è curata dal Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca.
Per ED.UMA.NA l’essere umano è il valore centrale e l’educazione alla nonviolenza attiva serve a riconoscere e superare le differenti forme di violenza quotidiana, implicite ed esplicite, personali e sociali. È un’educazione volta a una cultura ‘umanocentrica’, cioè un’educazione che contribuisce a cambiare il mondo nella direzione evolutiva dell’essere umano verso il superamento della sofferenza. È un tentativo pionieristico per la costruzione di un nuovo paradigma culturale.
La Pratica prevede un insieme di azioni pedagogiche da applicare trasversalmente all’interno di proposte didattiche e formative. Queste azioni sono volte a modificare spazi, tempi e relazioni al fine di creare un clima adeguato allo sviluppo di personalità nonviolente.
Uscendo dalla logica della gestione dell’emergenza o di un ulteriore progetto di contrasto alla violenza, la Pratica si prefigge di fornire una risposta unitaria e propositiva ai bisogni scaturiti dal disagio relazionale quotidiano. Per fare ciò, coniuga il pensiero di alcuni pedagogisti contemporanei con quello di vari studiosi che hanno promosso la nonviolenza come metodo di azione e stile di vita, tra cui Aguilar e Bize che si rifanno al Nuovo Umanesimo del pensatore argentino Silo.
La Pratica agisce su una comunità educativa più ampia di quella prettamente scolastica, coinvolgendo anche le famiglie e il territorio: la scuola diventa punto di riferimento e centro di promozione della nonviolenza e della non discriminazione.
Per dare una risposta unitaria è necessario uno sforzo di tutti i soggetti che contribuiscono all’educazione: il ruolo dei genitori, dei docenti, di tutta la comunità educante è sempre più rilevante nei tempi a venire. Il compito è far sì che l’essere umano abiliti tutte le capacità che lo definiscono umano e nonviolento e che superi la dicotomia tra interiorità e esteriorità, per porre fine all’attuale paradigma culturale patriarcale, prevaricatore e violento.
Audio degli interventi:
Video degli interventi