Nata 10 anni fa a Milano, la Mazurka Klandestina è una sorta di rave di ballo folk non autorizzato convocato via Facebook in piazze, cortili, portici, parcheggi e altri siti urbani normalmente destinati ad altro. La fotocamera di Diego Cantore, danzatore e fotografo dilettante, è stata testimone della nascita e della diffusione di un movimento in grado di rompere le tradizionali barriere fra la cultura popolare e quella underground; di cementare il senso di comunità di migliaia di connazionali; di stimolare la riappropriazione di spazi normalmente riservati al traffico cittadino, allo shopping compulsivo e al turismo di massa.
Ci incontriamo a Piazza Affari, a Milano, dove tutto è cominciato esattamente 10 anni fa. Lui è Diego Cantore, tecnico di laboratorio con la passione per la fotografia di umani danzanti. Quello che è cominciato nell’autunno 2008 davanti ai suoi occhi è un movimento che in poco tempo ha sbriciolato la tradizionale barriera fra la cultura popolare e quella underground; un fenomeno che ha portato, a riflettori spenti, migliaia di persone di tutte le età, provenienti da ogni dove, a percorrere in lungo e in largo, nel senso letterale della frase, le piazze dell’intera Penisola.
Stiamo parlando della “Mazurka Klandestina” (si scrive così, con la “k” di mazurka), una sorta di rave di ballo non autorizzato convocato via Facebook in piazze, cortili, portici, parcheggi e altri siti urbani normalmente destinati ad altro. Una definizione che ha bisogno di un paio di precisazioni. La prima riguarda la mazurka, che – so che lo state pensando – non c’entra granché col liscio. La mazurka di cui si parla è quella francese, ossia la versione moderna e sensuale della danza di origine polacca che ballavano i nostri nonni nelle balere. Per l’intensità malinconica della musica e per lo stile di ballo assai intimo, la mazurka francese può essere descritta come una specie di tango a tre tempi.
La seconda precisazione riguarda il termine “rave”, che non descrive con esattezza il fenomeno. La parola inglese, che letteralmente significa “entusiasmarsi”, è difatti spesso associata al consumo di droga. Ora, a meno di non considerare droghe le leccornie conviviali e le bottiglie di rosso che ciascuno porta da casa e mette a disposizione dei partecipanti su improvvisati buffet di strada, in una klandestina la testa può certamente girare dall’entusiasmo, ma più che altro a chi è alle prime armi sul valzer; o a chi non si abituerà mai troppo a tutti quegli abbracci.
Mentre mi mostra il pavimento di marmo levigato sotto i portici di Piazza Affari, perfetto per ballare, Diego mi racconta di un mitico concerto folk a Paderno Dugnano (MI) nel settembre 2008. Alla fine di quel concerto, la fame di mazurka era ancora alta visto che la band ne aveva suonate solo due e così qualcuno dei presenti ebbe l’idea di inserire un CD in un’autoradio, aprire gli sportelli della macchina, alzare il volume e… ballare. Nacque così, in quell’anonimo parcheggio dell’hinterland milanese, la prima skeggia (sì, con la “k” di mazurka), termine ora usato per descrivere un evento con le stesse caratteristiche di una klandestina, ma di dimensioni ridotte e organizzato con pochissimo preavviso.
Qualche settimana dopo, continua a spiegarmi Diego, sull’onda dell’entusiasmo per l’esperienza del parcheggio, alcuni fra gli stessi partecipanti a quella skeggia convocarono via email (allora i social network non erano ancora popolari) la prima Mazurka Klandestina. Lo fecero in un luogo assai simbolico in quel periodo di crisi finanziaria globale: Piazza Affari, appunto. La mail recitava “Balliamo sotto i portici della banca finché siamo in tempo, prima che si vendano il bellissimo pavimento in marmo levigato… visto che le banche stanno andando in fallimento coi nostri soldi!”. Fu il primo atto di quello che è poi diventato un movimento popolare in grado di cementare il senso di comunità di tanti italiani di città e regioni diverse e di stimolare, nei fatti più che negli intenti, la riappropriazione e la rivitalizzazione di spazi comuni generalmente riservati al rumoroso traffico cittadino, allo scarico di merci, allo shopping compulsivo, al turismo di massa.
Da allora, con la diffusione dei social network e la creazione di gruppi ad hoc su Facebook, la mazurka klandestina è arrivata anche in altre città attirando decine di musicisti disposti a suonare gratuitamente per strada, e centinaia fra ballerini esperti (pochi) e principianti (molti). Nel giro di un paio d’anni, tutti i maggiori centri urbani d’Italia avevano ospitato almeno una klandestina. La cosa diventò motivo di vanto per i gruppi di ballerini locali a tal punto che si iniziò a celebrare – una volta all’anno in ogni città – il cosiddetto “kompleanno” (sempre con la “k” di… vabbè, ormai l’avete capito), ossia l’anniversario della prima klandestina organizzata in quel luogo. Diego si ricorda a memoria tutti i kompleanni: “Milano a fine settembre, Torino a ottobre, Palermo a marzo, Bologna ad aprile, Firenze a luglio e così via”. Come si festeggia? Che domande. Ballando, no?
Se il primo evento a Piazza Affari era stato dedicato esclusivamente alle note della mazurka francese, man mano che il fenomeno si diffondeva lungo lo stivale venivano introdotte all’interno delle klandestine altre danze neo-trad. Diego puntualizza: “Per neo-trad si intende la rivisitazione in chiave moderna di balli tradizionali provenienti da varie parti d’Europa, prima fra tutti la Francia, dove questo nutrito gruppo di danze – ballate essenzialmente nei festival folk e nei concerti a ballo – ha preso il nome di balfolk.” L’introduzione di altri balli di coppia (scottish pari e impari, bourrée a 2 e 3 tempi, polka, valzer a vari tempi), di cerchio (circolo circassiano, chapelloise, sbrando, polska, ecc.) o di catena (gavotte, an dro, hanter dro, rondeau, ecc.) non ha tuttavia intaccato il primato della mazurka, considerata tuttora la danza principale delle klandestine.
Diego continua a parlare mentre scorre il suo smartphone aperto sul più diffuso tra i social. Funziona così. Il gruppo locale di ballerini crea l’evento su Facebook qualche settimana prima della sera X (o qualche mese prima nel caso di una klandestina di kompleanno) specificando il luogo prescelto: una piazza del centro storico, il parcheggio di un centro commerciale, il cortile dell’università, un’isola pedonale, i portici di un edificio storico e così via. L’evento viene postato sul gruppo locale della città ospitante, sui gruppi locali più vicini e sul gruppo nazionale Mazurka Klandestina, dove potranno vederlo tutti i suoi attuali 11mila membri.
Essendo un evento gratuito e inclusivo, chiunque, da invitato o semplice passante, può partecipare da solo o portare altre persone. La sera X si arriva sul posto dopo le 22 con un amplificatore a batterie ricaricabili, strumenti musicali, cibo e bevande da condividere. A quel punto si dà il via alle danze e, in estate come in inverno, si va avanti fino a notte fonda, spesso fino all’alba o anche oltre. Fino a quando, cioè, lo scatto di una foto di gruppo illuminata dalle prime luci del giorno immortalerà i ballerini e i musicisti superstiti, consegnandoli ai posteri. “Io c’ero!”.
Di queste foto albeggianti Diego ne ha scattate parecchie. E sì, perché non essendo mai stato – per sua stessa ammissione – un grande ballerino, ha deciso ben presto di unire la sua passione per la danza con quella, allora nascente, per la fotografia, tralasciando un po’ la prima e affinando la seconda. Con il segreto intento, forse, di dare un riconoscimento simultaneo, in una frazione di secondo, del significato profondo di ciascun evento. “La mia scelta, però, non deve trarre in inganno”, continua. “Quelle danze non sono affatto complicate. E poi, in ogni klandestina che si rispetti, i ballerini più esperti mostrano sempre i passi a chi è alla sua prima esperienza.” In una sorta di osmosi equa e solidale, potremmo dire, tra portatori di esperienza e portatori di nuovo entusiasmo; ossia tra generazioni di vecchi e nuovi… klandestini. “Senza contare che, in questo micro-mondo così informale, qualche passo un po’ goffo o fuori tempo non è mai motivo di esclusione. Anzi.”
Da quel lontano venerdì d’autunno del 2008, di tempo ne è passato parecchio. E anche di kilometri. Quelli percorsi da ballerini e musicisti di ogni età che, chi più chi meno, da allora hanno iniziato a spostarsi vorticosamente lungo le autostrade e le ferrovie del Belpaese e non solo, visto che la formula è stata poi esportata in diverse città europee – per trascorrere una notte o un intero weekend di musica, abbracci, colori, condivisione; inclusa l’ospitalità (il cosiddetto “folkouch surfing”) nelle case dei membri dei gruppi locali per coloro che arrivano da fuori. “Momenti che rimangono nel cuore”, aggiunge Diego con un pizzico di commozione. Insomma, un vero e proprio vortice, così travolgente che il gruppo locale di Bari ha deciso di chiamarsi Virus M (o Virus Emme) proprio per rimarcare quanto alta fosse la possibilità di contagio della mazurka. Antidoti al virus? Ah, non chiedete al vostro articolista: dopo 6 anni dal suo personale contagio, nemmeno lui ne ha ancora trovato uno…
A proposito di contagio, se non siete abbastanza duri di cuore vi raccomando di non mandare in play il video con l’intervista e le foto di Diego Cantore che trovate all’inizio dell’articolo. Altrimenti potreste ritrovarvi nottetempo a volteggiare sotto i portici di Piazza della Repubblica a Roma il 10 novembre o a quelli di Piazza del Plebiscito a Napoli il 7 dicembre per le prossime klandestine di kompleanno in kalendario.