È un’iniziativa importante, quella realizzata dal Centro Gandhi di Pisa, con la pubblicazione, nel dicembre 2017, del volume di Johan Galtung, a partire da un dialogo con Erika Degortes, dal titolo «Alla scoperta di Galtung. J. Galtung illustra i fondamenti della sua opera di mediatore dei conflitti in un dialogo con E. Degortes», volume, peraltro, arricchito da una bella presentazione a cura di Rocco Altieri e, tra gli ulteriori contributi, da due appendici, la prima con la ripubblicazione dell’articolo di Galtung del 26 maggio 2014 sugli “Studi per la Pace: dieci punti fondamentali”, e la seconda con un’intensa “Conversazione con Antonino Drago in otto domande”. Si diceva dell’importanza e del merito di questa pubblicazione; ma si potrebbe dire ancora di più e meglio: si tratta di un volume di una forza indiscutibile, oltre che di una utilità spiccata.
Anzitutto, anche grazie ai contenuti di queste presentazioni e di queste appendici, vi è una partecipazione attiva ed una ricapitolazione interessante delle idee e del lavoro di alcuni tra i grandi maestri della ricerca per la pace in Italia, non solo, come detto più sopra, Rocco Altieri e Tonino Drago, ma anche Nanni Salio e Alberto L’Abate, ai quali, scomparsi rispettivamente nel febbraio 2016 e nell’ottobre 2017, è dedicato un bel contributo, anche questo redatto da Rocco Altieri, “In memoria di Nanni Salio e Alberto L’Abate”. E poi, tratto decisivo della pubblicazione, vi si svolgono, attraverso il dialogo con Erika Degortes, una poderosa ricapitolazione dell’intero approccio galtunghiano alla ricerca-azione per la pace (e, in particolare, agli studi sulla pace e i conflitti, all’analisi della violenza e alle proposte per la mediazione) ed una formidabile sintesi degli aspetti fondamentali del suo pensiero (operazione davvero meritoria, se solo si pensa che si tratta di un pensiero che, spaziando dalla logica all’epistemologia e dalle relazioni internazionali agli studi per la pace, si dipana in una produzione monumentale, fatta di oltre cento volumi e di oltre mille tra articoli, editoriali e saggi brevi). Il libro ha quindi il grande merito di compendiare e sintetizzare, in forma di dialogo e con un’articolazione efficacemente razionale, questo pensiero, e l’altrettanto grande utilità di porsi come manuale, una guida agile per ricapitolare idee, concetti e strumenti di base della mediazione dei conflitti.
E dunque: quali sono queste idee e queste proposte fondamentali? Nel dialogo, articolato in tre sezioni, ne vengono esposte venti, corrispondenti ai paragrafi che compongono i capitoli. Di questi venti concetti, per il modo come vengono affrontati dallo stesso Galtung e per il carattere di connettori che hanno nello svolgimento del dialogo, risaltano, senza dubbio, tre. Il primo è la «dimensione epistemologica» della ricerca-azione per la pace. Lo riferisce lo stesso autore: «l’episteme è la porta di ingresso per comprendere Galtung» (p. 32). Il nesso fondamentale sul quale si basa gran parte della riflessione e della pratica di Galtung, che, poco oltre, si definisce, al tempo stesso, «ricercatore per la pace» e «operatore di pace» (p. 42), è rappresentato dal carattere relazionale della dinamica del conflitto e della trasformazione e, quindi, dal rilievo delle relazioni umane e delle contraddizioni fondamentali sia nell’innesco dei conflitti, come incompatibilità tra bisogni, interessi e obiettivi delle parti, sia nella costruzione della pace, come contesto della cooperazione basata su equità ed empatia: «ciò che esiste sono tutte le relazioni, compresi i rapporti yin/yang al loro interno, tutti da esplorare, per comprendere la realtà» (p. 34). La dimensione epistemologica (nella quale forte si avverte l’influenza del pensiero orientale e, in particolare, del taoismo), risalta tanto nell’approccio «sia-sia», volto ad individuare i sanogeni e i patogeni in ogni aspetto della realtà e in ogni dimensione della relazione, quanto nella dinamica «positivo-negativo» che connota gli attributi della nonviolenza e della pace (p. 65). È qui il secondo concetto fondamentale della ricerca-azione di Galtung: «pace negativa e pace positiva», che l’autore, riprendendo Gandhi, efficacemente spiega nel suo dialogo: «la nonviolenza negativa era azione per ridurre la violenza con mezzi nonviolenti, … la nonviolenza positiva era azione per promuovere cooperazione e armonia attraverso mezzi pacifici» (p. 66).
Il che è anche presupposto del Metodo Transcend, l’orientamento alla definizione di una realtà nuova nella dinamica di relazione tra le parti, per consentire il superamento, o trascendimento, del conflitto, che è il grande apporto metodologico di Galtung alla «teoria-prassi per la risoluzione dei conflitti»: mappare il conflitto, individuare gli obiettivi legittimi, sulla base dei bisogni fondamentali e dei diritti umani, e costruire ponti tra le incompatibilità per giungere a soluzioni condivise di mutuo beneficio. Ci porta così al terzo punto-chiave: l’articolazione di un «pensiero pratico orientato alla azione». È una lezione importante di Galtung, «qualcosa che fosse teoreticamente semplice e che orientasse la pratica» (p. 78), come, appunto, la sua famosa formula della pace: equità empatia trauma conflitto. Lo si diceva all’inizio: un libro prezioso, che ci consente di avviarci al galtunghismo e, prima ancora, di ampliare la nostra visuale e la nostra consapevolezza, in una prospettiva di abolizione della guerra e costruzione, sempre più, di pace con giustizia.