Una grande manifestazione nazionale contro le politiche del Governo gialloverde è stata convocata dal PD per la fine di questo caldo settembre. In altri tempi non avrei dubitato: le battaglie di civiltà sono battaglie di civiltà, non importa chi le convoca! Ma questa volta suppongo che molti altri, come me, sentano una sottile contraddizione all’idea di scendere per strada a questo richiamo.
Il dubbio non sorge solo per l’infinita coerenza più volte dimostrata dal partito convocante, ma anche riguardo al mezzo usato, la piazza, per far sentire la voce della gente che non è d’accordo. E per l’uso mediatico che, dopo la manifestazione, ne faranno i politici, che siano gli uni o gli altri poco importa.
Primo punto: la coerenza del partito convocante. Molti fiorentini come me, avevano già visto in anticipo la fine che avrebbe fatto il “grande partito della sinistra”, perché avevano conosciuto Il Rottamatore prima del suo debutto sul palcoscenico nazionale. La modernizzazione delle forme della politica, voluta certamente da tutti, non doveva coincidere necessariamente con la trasformazione del concetto di società moderna in società neoliberista e competitiva, dove gli ultimi sono dimenticati o eliminati. Quello era il modello di società moderna di Forza Italia, se non sbaglio. Quindi c’è stata una deriva inaspettata per molti elettori e, gradualmente i voti, che sono sempre in prestito, sono stati prestati a delle altre forze politiche o sono rimasti in tasca agli aventi diritto al voto che, il giorno delle elezioni, hanno preferito fare una gita.
Secondo punto: la piazza come forma di espressione. E’ un po’ come la Messa per i Cristiani. Sembra che non ci sia altro modo per manifestare un dissenso o un’appartenenza. E così, come molti credenti dalla fede superficiale vanno a Messa tutte le domeniche, per poi spergiurare e agire nella vita quotidiana senza il minimo rispetto dei loro precetti religiosi, anche molti militanti di sinistra, urlano forte per i diritti degli ultimi, per poi discriminare senza ritegno i poveri, gli immigrati, i deboli nella vita di tutti i giorni. Ma sarà proprio vero che non ci sia un’altra forma per dare un segnale forte di dissenso alle politiche razziste di questo Governo?
Terzo punto: l’uso mediatico di queste azioni. Già li vedo i leaders del PD esaltare la rinascita della sinistra sotto il loro “cappello”, nel caso in cui la convocazione risulti moltitudinaria. Già li vedo i leaders dei partiti di Governo inneggiare a se stessi come gli unici interpreti del volere degli Italiani, nel caso opposto. Con un flop della manifestazione quei signori si sentirebbero certamente legittimati a inasprire le loro proposte già deliranti.
Come sempre tutto finisce in uno sgradevolissimo derby calcistico. Anche quando la posta in gioco è molto alta, quando ci sono in ballo veramente delle vite di persone. A questa visione lo squallore mi invade.
Allora penso anche al giorno in cui Idy Diene è stato ucciso a Firenze. Qualche giorno dopo c’è stata una manifestazione fiume, una convocazione di piazza che è risultata moltitudinaria e che, al solo vederla in streaming, dato che non avevo potuto parteciparvi, mi ha profondamente commosso. E credo che anche a molti immigrati abbia dato una sensazione di conforto e di speranza. Non c’erano partiti, la convocazione proveniva dalla comunità senegalese, vittima di quell’orrendo omicidio, c’era la gente, di tutti i colori, che faceva sentire la sua presenza. Una presenza fisica che non si può sentire allo stesso modo sui social, spesso pieni di gente pagata per mettere zizzania o di persone che sfogano i loro sentimenti peggiori. Là, invece, si respirava la forza dell’unione.
Che fare? L’enigma non si è risolto. Mi auguro soltanto che ogni militante sensibile al richiamo della piazza, possa riflettere con profondità e decidere con libertà se partecipare e come farlo, cosa che a volte è molto più importante. La riflessione e la consapevolezza rendono ogni atto un fine in sé stesso.