Il sito d’informazione ‘Jeune Afrique’ sottolinea che “è con armi francesi nuove di zecca che i sostenitori di Muammar Gheddafi hanno combattuto l’insurrezione”. Con 88,4 milioni di euro di materiale militare consegnato l’anno scorso alle autorità di Tripoli, Parigi ha realizzato un ‘record’ delle vendite in Libia negli ultimi cinque anni. Un dato che alimenta un certo imbarazzo politico ma che il portavoce del ministero della Difesa, il generale Philippe Pontiès, ha tentato di smussare quando ha precisato che “tutte le autorizzazioni di vendita sono state bloccate sin dall’inizio delle rivolte nei paesi arabi”.
Globalmente, con 5,12 miliardi di euro di vendite, un fatturato ridotto del 37% rispetto all’anno precedente, nel 2010 la Francia è rimasta il quarto esportatore mondiale. Primo cliente della Francia in Africa è il Marocco con 354 milioni di euro di armi comprate nel 2010. Parigi ha fatto anche buoni affari con Tunisia (55 milioni), Sudafrica (50 milioni), Egitto (40 milioni), Angola (25 milioni) e Mauritania.
Una rete di organizzazioni non governative tra cui Ccfd-Terre Solidaire, Oxfam France e Amnesty International denunciano la mancata trasparenza e l’incompletezza dei dati contenuti nel rapporto che “ledono il controllo democratico sui trasferimenti di armi”. Secondo queste fonti il rapporto rappresenta la “punta dell’iceberg” del commercio di armi con destinazione l’Africa visto che registra soltanto i contratti autorizzati. Il documento non precisa quali sono stati i 10 contratti siglati con altrettanti paesi africani in seguito respinti dal governo francese così come la quantità e il tipo di armi vendute a Centrafrica, Gabon, Mali e Niger.
“Non sappiamo neanche quali garanzie le autorità francesi ottengono dai clienti africani sull’uso delle armi comprate così come le conseguenze del loro impiego sulle popolazioni locali” si legge in un comunicato a firma delle organizzazioni di difesa dei diritti umani. Che inoltre criticano “il silenzio colpevole del parlamento, perfino la sua sottomissione alle posizioni del governo e dell’industria degli armamenti” e “l’assenza di un vero dibattito democratico e sistematico” sul problematico commercio delle armi. Osservatori e ong sottolineano i paradossi della politica commerciale e estera della Francia, sempre più interventista, che ufficialmente si pone come priorità la firma di contratti milionari nel “rispetto dell’etica”, in modo “responsabile” e “trasparente” ma nei fatti si sottrae alle procedure di controllo sulle vendite di armi già applicate, ad esempio, in Gran Bretagna e Olanda.
“La primavera araba implica che la nostra politica di esportazione di materiale di guerra venga chiarita nei confronti dei paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, nostri clienti tradizionali. Non si può vendere materiale militare senza avere la consapevolezza che verrà utilizzato in operazioni repressive” insiste ‘Oxfam France’. “Solo nel 2012 si saprà se e quante armi la Francia ha venduto a Tunisia, Libia e Bahrain durante i mesi della rivolta” fa notare il ‘Ccfd-Terre Solidaire’, facendo anche riferimento a quelle vendute negli ultimi cinque anni a Colombia, Pakistan, Israele e Ciad e utilizzate per “commettere crimini di guerra e gravi violazioni dei diritti umani”.