Risulta ancora più difficile accettare che qualcuno si scandalizzi o si sorprenda di fronte alle disuguaglianze, dato che è risaputo che rappresentano premessa fondamentale del sistema capitalistico stesso. Anche Von Hayek, filosofo neoliberista, difende le iniquità ed è convinto che lo Stato non debba intervenire per porvi rimedio, al contrario per il paradigma neoliberale la disuguaglianza è il motore, o forse meglio detto, la benzina, del progresso economico che sarebbe impossibile altrimenti. Nell’istinto animale, elogiato dal capitalismo, sono proprio le differenze che configurano i desideri della gente e la dispongono alla competizione, spesso selvaggia, per realizzarli. Tutto ciò è stato a suo tempo formulato esplicitamente e poi applicato alla realtà in modo tale che non costituisse novità alcuna.
Anche se potessimo concordare con un po’ di spirito competitivo come incentivo, trasformare la società in un ecosistema selvaggio, nel quale tutti lottano contro tutti per la sopravvivenza, è semplicemente aberrante. Concepire il mercato come una “forza naturale” che funziona in modo autonomo e non ha bisogno di nessuna regola – la famosa “mano invisibile”- fa parte delle argomentazioni distorte e piene di mala fede dei proseliti di questo sistema. Ebbene, oggi ci siamo resi conto in modo doloroso fin dove poteva portarci l’ideologia capitalista che pretendeva di non esserlo: alla costituzione di un macropotere globale in mano ad una banda di speculatori senza scrupoli. Che bel futuro ci attende. La libertà, giustificazione usata come baluardo di questa follia, è oggi più scarsa che mai.
Se le utopie totalitarie del XX secolo finirono col soccombere schiacciate dalla loro mostruosa pesantezza, l’attuale anti-utopia si sgretola inesorabilmente nel disordine provocato dallo stupido pragmatismo a breve termine. L’eccesso di pianificazione e di ingegneria sociale di quei progetti su scala monumentale ha finito col danneggiare gravemente la libertà individuale ma la pretesa di una loro totale mancanza ha causato un dirigismo celato ancora peggiore con gravi conseguenze di ingiustizia sociale che oggi possiamo constatare. “La virtù è il punto intermedio tra due vizi opposti, il vizio dell’eccesso e quello del difetto”, diceva Aristotele e l’umanesimo formula una versione dinamica dello stesso concetto: “quando forza una cosa verso un fine, produci il contrario”. Saremo in grado di trovare l’equilibrio o continueremo a muoverci da un estremo all’altro?
Una delle conseguenze più nefaste di questo esperimento sociale fallito è la conformazione di una società di caste, dove l’istruzione di base e media hanno un’incidenza cruciale. Come in Cile, dove il modello è stato applicato con un’ortodossia estrema e i suoi effetti si possono verificare con maggiore chiarezza. Per mercificare completamente l’istruzione, trasformandola in un affare appetitoso per gli investitori, è stato necessario eliminare lo Stato come fornitore dell’offerta educativa. Così si è rotta una lunga tradizione storica vincolata alla creazione di scuole pubbliche passando a sussidiare la domanda attraverso il famoso sistema dei “vouchers” e generando parallelamente condizioni avverse che hanno forzato la privatizzazione degli istituti pubblici esistenti.
Ma dato che il mercato si muove in base a incentivi e il contributo statale per alunno è unico, i sostenitori dei licei hanno teso a dare priorità al reclutamento di alunni con un capitale culturale maggiore e quindi meno onerosi da istruire. Questo fenomeno ha fomentato la segmentazione sociale generando un’istruzione per ricchi, una per la classe media e una per i più poveri. Anche se qualcuno argomenta che questo sia un problema di forma e non di fondo, essendo sufficiente al limite aumentare il sussidio agli alunni con capitale culturale più basso per risolverlo, già il fatto che non si sia previsto un effetto così dannoso e tanto ovvio indica palesemente che la segregazione in caste sia stata voluta e considerata funzionale per il sistema vigente, come illustra anche Huxley nel suo racconto “Un mondo felice”). C’è anche la questione riguardante il controllo dell’uso corretto delle risorse pubbliche da parte dei sostenitori. Si sono già visti casi di falsificazione delle matricole oppure di mancati investimenti per il miglioramento dell’offerta educativa.
Ciò che realmente accade è che il problema è più radicato perché le ideologie producono cecità. La domanda di fondo dovrebbe essere come garantire nel modo migliore l’uguaglianza delle opportunità e una volta fissata tale priorità, scegliere il sistema che sia capace di raggiungere il massimo rendimento. Una società che dà valore alla mobilità sociale si preoccuperà di stabilire condizioni rigorose di uguaglianza, situazione molto distante dall’attuale realtà cilena, dove si è andati verso la frammentazione sociale. Alla luce dei fatti, sembra quasi impossibile controllare la tendenza endemica al profitto smisurato, in modo che – per il momento – solo lo Stato è in condizione di garantire questo terreno comune che possa offrire un’istruzione di base e media egualitaria e di buona qualità. Ma parallelamente si dovrebbero cercare altre possibilità come l’apertura alla piattaforma digitale.
Tradotto da Eleonora Albini