Il clima è tragicamente cambiato negli ultimi mesi: le politiche disumane dell’Europa ci costringono a trasferire le nostre missioni nel Mediterraneo Occidentale, ma solo in attesa di tornare il prima possibile a fare il nostro lavoro: salvare vite umane.
La violenta campagna di criminalizzazione contro le ONG impegnate nel soccorso in mare è iniziata due anni fa ed è stata accompagnata negli ultimi mesi da profondi cambiamenti politici in Italia e in Europa.
Oltre ai fermi delle imbarcazioni operative in mare (Sea-Watch è da mesi bloccata a Malta senza una motivazione ufficiale), a diverse inchieste aperte a vario titolo contro le ONG e finite tutte in un nulla di fatto, oltre alle dichiarazioni infamanti di politici che ci hanno definito “taxi del mare”, abbiamo assistito a un evento che sembrava inconcepibile fino a poco tempo fa: la chiusura dei porti italiani e maltesi.
La conseguenza di questa scelta è stata drammatica: le navi delle ONG sono state costrette a rimanere in mare per giorni senza l’indicazione di un porto di sbarco e persino la Guardia Costiera italiana ha dovuto attendere 10 giorni prima di poter sbarcare a Catania le persone salvate a bordo e in gravi condizioni di salute.
Ciò è significato per noi percorrere molte miglia in più durante ciascuna missione, ha costretto uomini e donne già provati fisicamente e psicologicamente ad affrontare lunghe traversate in mare spesso in condizioni meteorologiche avverse, ha messo in pericolo la loro incolumità e quella dei nostri equipaggi.
Le difficoltà logistiche inoltre ci hanno costretto a dover affrontare spese elevatissime e non sostenibili per una piccola ONG come la nostra, che opera esclusivamente grazie alle donazioni di privati cittadini che condividono il nostro impegno. La nostra nave Open Arms è un vecchio rimorchiatore di 40 anni e 36 metri di lunghezza e non è strutturalmente adeguata ad affrontare le nuove condizioni che le politiche italiane ed europee hanno determinato. Non può affrontare periodi di stallo in mare senza un porto sicuro, con i conseguenti rischi per l’incolumità delle persone soccorse e degli equipaggi.
Denunciamo il tentativo evidente di ostacolare in ogni modo le organizzazioni non governative operative nel Mediterraneo Centrale, con lo scopo di impedire alle persone in fuga di raggiungere l’Europa e di eliminare i testimoni scomodi di quei respingimenti di massa. Oggi l’obiettivo è stato definitivamente raggiunto: il Mediterraneo è tragicamente deserto, privo di aiuti umanitari, di imbarcazioni solidali, di mezzi attrezzati per poter salvare vite umane.
La nostra decisione di unirci nelle prossime settimane alle squadre di salvataggio operative nello Stretto di Gibilterra e nel Mare di Alborán sotto il coordinamento di Salvamento Marítimo Spagnolo è dunque obbligata e sofferta e, vogliamo sottolineare, temporanea. Avevamo già offerto al governo spagnolo il nostro aiuto alcuni mesi fa dopo l’aumento esponenziale dell’ultimo periodo dei flussi sulle coste spagnole e dei soccorsi in mare in quella zone. Attualmente la Spagna meridionale rappresenta il più battuto canale di ingresso via mare.
Nonostante le enormi difficoltà che stiamo vivendo, continueremo a batterci contro la violazione dei diritti umani in mare e continueremo a lavorare per far in modo che nessuna vita venga lasciata alla deriva, cercando di trovare una nuova soluzione per tornare il prima possibile ad operare in uno dei tratti di mare più pericolosi e mortali di sempre: il Mediterraneo Centrale.
Per questo motivo, mentre la nave Open Arms opererà nel sud della Spagna, il nostro veliero Astral continuerà il suo lavoro di osservazione e denuncia, con missioni di monitoraggio nel Mar Mediterraneo Centrale.