Nella notte fra il 31 agosto e sabato 1 settembre (ora italiana), la candidatura di Lula da Silva è stata contestata dalla TSE (Corte superiore elettorale). Sei componenti hanno votato contro la registrazione della candidatura, decisione arrivata dopo una plenaria durata più di 10 ore, come riporta «Brasil de Fato». I voti favorevoli sono stati di tutti i componenti effettivi (Luis Roberto Barroso, Jorge Mussi, Og Fernandes, l’ammiraglio Gonzaga, Vieira de Carvalho Neto, Rosa Weber), meno che uno, quello di Edson Fachin, il quale ha affermato come il Brasile debba seguire la decisione del Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite e garantire i diritti politici di Lula in quanto candidato. Il vice candidato designato, Fernando Haddad, è stato invece accettato dalla corte elettorale: al momento, infatti, risulta lui, già sindaco di Sao Paulo e ministro dell’Istruzione, il candidato presidente alle elezioni presidenziali della coalizione.
«La decisione [riguardo la presunta incandidabilità ndr] della corte è arrivata con una rapidità insolita», commentano i vertici del PT ironizzando sulla tempistica della risoluzione riguardo la candidatura di Lula, ma il partito è compatto: «presenteremo ricorsi a tutti i tribunali per far sì che vengano riconosciuti i diritti politici di Lula, previsti dalla legge e dai trattati internazionali ratificati dal Brasile».
Il fronte pro-Lula aumenta
Il PT, in una nota diffusa alla stampa, ha dichiarato di voler andare fino in fondo e di ritenere (politicamente) valida la candidatura di Lula: «si tratta di una violenza nei confronti del popolo e nei confronti di milioni di elettori».
Alle parole dei dirigenti del PT fanno eco quelle del PCdoB (Partito Comunista del Brasile), del sindacato CUT e del Movimento dei lavoratori rurali SemTerra (MST): l’MST, infatti, ha annunciato una nuova marcia pacifica su Brasilia che si terrà dal 10 al 15 settembre «per il diritto di votare Lula presidente alle presidenziali del 7 ottobre», ha dichiarato l’ufficio politico dell’organizzazione.
La presidente del PcdoB, Luciana Santos, ha dichiarato come la decisione della commissione elettorale abbia rappresentato: «una violenza nei confronti della sovranità del voto popolare: un’oltraggio alla democrazia che squalifica, senza ragione, la decisione della Commissione dei DDUU delle Nazioni Unite». Dal sindacato, infine, arriva uno degli affondi più duri: «la decisione rappresenta un atto unilaterale del potere giudiziario, parziale e irrispettoso di salvaguardare i diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione brasiliana».