La politica estera dell’Azerbaigian è un continuo camminare su un filo di lana in un di complesso gioco di equilibrio tra le potenze vicine – Russia, Turchia e Iran – e gli incombenti Stati Uniti.
Il rapporto con la Russia ha molte e contraddittorie facce: la stragrande maggioranza della popolazione parla il russo, ma oggi nelle scuole s’insegna l’inglese fin dalle scuole primarie, il russo è facoltativo e gli stage all’estero dei giovani avvengono nei paesi dell’Unione Europea. Nel museo di storia di Baku il racconto si ferma al 1918 con ampia documentazione del conflitto tra le armate “armeno-bolsceviche” e quelle “turco-azere”, mentre i busti di un generale azero dell’Armata Rossa e di un partigiano morto nella lotta al nazismo sono relegati in un anonimo corridoio; nel museo storico di Saki si possono osservare invece fotografie dei dirigenti sovietici e documenti dell’Azerbaigian dell’epoca. L’influenza russa è ancora ampia nella cultura e nella comunicazione. Ogni edicola vende diversi quotidiani russi.
Sul piano politico i rapporti tra i due paesi sono fortemente segnati dalla vicenda del Nagorno-Karabakh, le regioni a maggioranza azere occupate dall’Armenia e tutt’ora rivendicate con forza dall’Azerbaigian, che ospitano basi militari russe. D’altra parte chi pensa ad un progressivo allontanamento dalla Russia in direzione statunitense non dimentica il promesso e mancato aiuto occidentale alla Georgia, quando nel 2008 questa diede avvio alla guerra bombardando la capitale dell’Ossezia del Sud, una delle regioni separatiste che la Georgia voleva riconquistare e che ebbe come conseguenza l’avanzata russa fino a 45 km da Tbilisi.
La Russia non è certo disponibile a restare spettatore passivo all’avvicinamento del governo di Baku alla Nato e agli USA, che già ora hanno un’influenza tutt’altro che insignificante sul paese. Inutile dire che l’oleodotto che attraversa l’Azerbaigian e la Georgia per arrivare in Turchia e i percorsi degli ulteriori progetti per trasportare petrolio e gas in Occidente sono una delle cause fondamentali delle attuali tensioni.
L’influenza turca è anch’essa facilmente percepibile nelle varie iniziative culturali in atto in questo momento in tutto il paese e nelle celebrazioni del 95° anniversario dell’alleanza turco-azera, contrapposta agli armeno-bolscevichi; queste celebrazioni sono funzionali al rafforzamento di un’alleanza che ha nel percorso del citato oleodotto una delle ragioni fondamentali e corrispondono anche ad una scelta della Turchia di puntare la propria bussola commerciale decisamente ad est, soprattutto di fronte allo svanire della possibilità per Ankara di entrare nell’Unione Europea.
Va comunque segnalato, per evitare semplificazioni, che se ambedue i paesi, Turchia e Azerbaigian, sono mussulmani, il primo è sunnita e il secondo sciita e in generale, ma soprattutto in presenza dei vari conflitti esistenti nella regione, questo non è un fatto secondario.
L’Iran, nazione confinante con l’Azerbaigian, condivide con questo la fede sciita; nel prossimo futuro tale elemento potrebbe spingere a rapporti più stretti tra i due paesi, rapporti dei quali oggi a Baku nessuno parla volentieri per evitare complicazioni con l’Occidente.
Anche la situazione siriana è un argomento tabù, almeno negli incontri pubblici; il paese mantiene formalmente una posizione neutrale, stretto com’è tra le differenti posizioni di Russia, Turchia, Iran e Stati Uniti.
In questa situazione è più che mia attuale una lezione che viene dall’Africa: anziché produrre ricchezza per il paese che le possiede, la scoperta di ingenti risorse energetiche finisce per procurare grande diseguaglianza sociale e conflitti interni alimentati dalle potenze mondiali e regionali e sostenuti dalle multinazionali del petrolio; questa storia si ripete periodicamente e la Nigeria ne è l’esempio più evidente.
Il futuro dell’Azerbaigian è anche legato alla capacità di evitare un simile destino; ecco perché alcuni dei nostri interlocutori hanno paragonato il paese ad un acrobata che cammina su un filo a venti metri d’altezza.