Cos’è successo in Italia in questi ultimi giorni, nel periodo intercorso tra l’annuncio della malattia di Sergio Marchionne a quello della sua morte? E’ successo di tutto!
Oggi, però, vorrei soffermarmi sui temi legati alle reazioni che questo accadimento ha e sta producendo in vaste aree del popolo italiano. Mi interessa capire quali sono i meccanismi che spingono i tanti verso le lande oscure dell’odio. Odio, sì, perché contro la figura di Marchionne è stata, sin da subito, versata una quantità di odio e disprezzo, che ha pochi precedenti in Italia, nei confronti di un malato terminale.
Sergio Marchionne è stato l’amministratore delegato dell’azienda, da sempre, più potente d’Italia e, ora, anche fra le più potenti del mondo. Non si trattava di un benefattore o di una persona votata all’incondizionato aiuto verso il prossimo. Era il rappresentante di un capitalismo selvaggio che ha mietuto e miete vittime; un capitalismo che nulla ha a che vedere con un sano proposito di fare impresa per contribuire alla crescita del paese. La F.I.A.T., qui a Torino, la conosciamo bene! Il sottoscritto, ad esempio, può vantare a livello familiare e personale, un palmares di tutto rispetto: più di cento anni di F.I.A.T. donati dai miei nonni e da mio padre, oltre quasi un decennio nell’indotto donato da me. So di cosa parlo. Per un torinese la Fiat fa parte del paesaggio, come la Mole, Superga, il Museo egizio e il Po e, addirittura, possiamo considerarla come un’istituzione interiorizzata, come parte dei torinesi stessi, in una sorta di fusione mistico economica, che sancisce un vincolo esistenziale indissolubile.
La Fiat degli anni dell’Avvocato, (ricordate quel signore un po’ naif che teneva l’orologio sopra il polisino e diceva di fare l’industriale privato usando soldi pubblici?) era un’azienda che tutto poteva, che tutto otteneva e che si arricchiva ricattando lo Stato italiano, tramite la formula “Soldi pubblici in cambio di mantenimento di posti di lavoro”. Un’azienda sporca che si è fatta passare sempre più come salvatrice della patria, che come sanguisuga di essa.
Per mantenere l’ipocrita carrozzone furono inventate ad uopo, delle leggende metropolitane che accrescevano la sconfinata stima in Gianni Agnelli. “Fino a quarant’anni donne e champagne e poi al comando della Fiat”, “Agnelli si è fatto rifare le narici d’oro, perchè distrutte dalla cocaina”, “che uomo Agnelli, è amico di tutti quelli che contano ed è lui che li comanda.”
E veniamo ai giorni nostri, in quello che potremmo chiamare “Il caso Marchionne”, un vero è proprio caso per come è stato gestito dall’azienda, che ne ha sancito l’esautorazione ancora prima della morte, aumentando in questo modo, i dubbi che serpeggiavano da giorni, secondo cui, Marchionne, fosse già deceduto mentre, di fatto, veniva mantenuto in vita per ragioni legate alla finanza; un comportamento che non stupisce, quando si parla degli Agnelli. Stupirebbe il contrario. E parliamo allora di comportamento, parliamo cioè anche della, per così dire, parte avversa agli Agnelli /Elkan/Marchionne. Il popolo del web e dei lavoratori.
Non esiste persona su questa terra che non venga umiliata e massacrata del potente di turno quando, questi, si trova in profonda difficoltà ed il suo regno sta per finire. Ricordate Ceausescu, Mussolini, Craxi, Gheddafi? Osannati dalle piazze e, dalle stesse piazze, linciati! E’ un antico male del mondo che ha colpito anche Sergio Marchionne, prima osannato dalla maggior parte dei lavoratori come salvatori di un’azienda fallita, e poi linciato sul letto d’ospedale.
Certo, i giornali di regime continuano, in queste ore, ad osannarlo, ma non si possono dimenticare le parole del web o provenienti dalle fabbriche. Sono parole vuote, perché per poterle affermare, è necessario possedere una statura morale superiore a coloro a cui sono riferite. E quanti, di tutti questi, possono affermare, senza ombra di dubbio, di essere migliori dei Marchionne, piuttosto che degli Agnelli Elkan? La domanda è scomoda, perché ci riconduce alla famosa parabola del “chi non ha peccato scagli la prima pietra”, solo che qui le pietre, non solo si tirano sul nemico ormai inerte ma, soprattutto si nasconde sempre la mano.
Sono giorni di riflessione e domande. Ad esempio, perché in occasione della morte di Gianni Agnelli avvenuta nel 2003, non ci fu la stessa acredine, riservata a Marchionne? Anzi, in quell’occasione ci fu una partecipazione di massa, e presso la camera ardente e ai funerali. Eppure Gianni Agnelli possiamo dichiarare, senza smentita, di aver avuto un po’ più responsabilità di Marchionne.
Vedo una tangibile recrudescenza nella società, una violenza crescente, una sorta di demenza collettiva che accetta solamente punti di vista superficiali e comodi per menti pigre e in fuga dal pensiero. Non è la solita italietta, è qualcosa di più; è un mostro che si fa gigante, cibandosi delle nostre insufficienze.
Tanto più retrocederemo dall’intelligenza e dalla voglia di cultura, tanto più il degrado umano aumenterà; ma non sarà importante, perché uno contro il quale puntare il dito, sarà sempre a disposizione.
Per adesso cerchiamo di fare silenzio e di capire quanto siamo simili al sistema che tanto critichiamo, ma per il quale siamo disposti a lottare pur di mantenerlo in vita.