“Le strade del Nicaragua sono di nuovo libere; sono state rimosse le barricate erette dai terroristi e respinto il tentativo di golpe”: Paul Oquist, ministro per le Politiche nazionali nel governo di Daniel Ortega, parla con l’agenzia ‘Dire’ dopo mesi di proteste di piazza, accuse di atrocità e oltre 350 morti.
L’intervista si tiene dopo il 39° anniversario della rivoluzione sandinista, culmine di un movimento di lotta popolare che sarebbe sopravvissuto alle interferenze della Cia e ai Contras finanziati dal narcotraffico.
Dopo l’ingresso a Managua del Frente sandinista de liberacion nacional (Fsln), era il 19 luglio 1979, ci sarebbero stati anni di guerra civile e oltre 50mila morti. Poi, nel 1990, le elezioni multipartitiche e Ortega pronto a lasciare il potere.
Storia lontana e che però, in questi tre mesi di manifestazioni e violenze, con una riforma delle pensioni a fare da innesco, si è come riavvicinata d’improvviso. A stabilire un nesso, tenendo ferme le “piene credenziali democratiche” del Frente sandinista, è anche Oquist. Convinto che i rapporti dell’Onu che accusano Ortega e sua moglie Rosario Murillo, sua vice dal 2016, non tengano conto delle “atrocità dei terroristi”.
Ma la polizia che spara sui civili? “I media mainstream internazionali hanno sorvolato sul fatto che c’è un gruppo di terroristi che ha eretto barricate, incendiato edifici pubblici, torturato funzionari e terrorizzato la popolazione nel tentativo di rovesciare un governo eletto in modo democratico” risponde Oquist.
“Nel 2016 il Frente ha ottenuto il 72 per cento dei consensi perché ha fatto dell’aiuto ai poveri la sua priorità”. Il ministro cita i dati sulla riduzione della miseria estrema, che con il ritorno al potere di Ortega sarebbe passata dal 17 all’otto per cento della popolazione.
Dati ora messi a rischio dal conflitto sociale e politico. “I camionisti sulla Panamericana sono rimasti ostaggio dei terroristi per settimane” dice Oquist. “I danni all’economia sono terribili”.
La tesi è che la ripresa sarà possibile solo a due condizioni. In primo luogo, servirebbe un negoziato nazionale per superare le polarizzazioni e favorire la riconciliazione. Oquist non fa riferimento alla Conferenza episcopale del Nicaragua, impegnata in un tentativo di mediazione finora senza frutti, ma dice di un possibile ruolo del Vaticano, che proprio ieri con Papa Francesco è tornato a chiedere “dialogo”. La seconda condizione riguarda l’economia, con la necessità di una ripresa alla quale “il settore privato deve lavorare insieme con il governo, i sindacati e i contadini”.
Ma gli ideali della rivoluzione sandinista, che tanto affascinarono anche gli italiani, sono davvero ancora in piedi? Il ministro assicura di “sì” e snocciola ancora i dati sull’inclusione sociale. Sui rapporti con l’Italia, poi, ostenta sicurezza: “In Nicaragua c’è stato Giuseppe Garibaldi, i nostri Paesi saranno amici per sempre“.