Questi signori della politica, gialli, verdi, rossi o blu, colore più, colore meno, hanno perso da tempo contatto con la propria umanità, con la propria sensibilità e con la capacità di empatizzare con gli altri. E hanno già perso, perchè non sanno parlare che di soldi, perchè evitano le battaglie di civiltà, perchè non studiano realmente i processi storici e perchè il futuro non è dalla loro parte.
La vicenda della comunità di Sudanesi di via Scorticabove a Roma è straziante e grottesca allo stesso tempo.
Dal 5 luglio, 50 sudanesi vivono per la strada. Li appoggiano solo i volontari di alcune associazioni. Lo stabile di via Scorticabove, dove vivevano da 13 anni era stato preso allora in gestione da una cooperativa per un progetto di accoglienza. Essendo legata a mafia capitale, la cooperativa a un certo punto è scomparsa. Questo è il motivo dello sfratto. Gli attuali abitanti sono tutti regolari, molti hanno un lavoro e non hanno mai smesso di proporre alle istituzioni delle forme di autogestione che permettessero loro di pagare l’affitto e poter mantenere unita la loro comunità, che nel tempo si è fatta conoscere, tanto da ospitare nello stabile perfino un circolo dell’Arci.
Perchè si accaniscono tanto su coloro che, da anni stanno funzionando senza i loro sussidi, senza le loro promesse mai mantenute, senza i loro bonus?
Una comunità vera che sa cosa è il mutuo aiuto, che ha una vera apertura verso l’altro, nero, bianco o a daddolini, di qualsiasi religione o non religione.
Una comunità vera che non ha un legale rappresentante, non ha cariche scelte con costosissime elezioni, che non divide rigidamente funzioni al suo interno, ma che sa attivarsi per ognuno e per tutti coloro che ne fanno parte o che chiedono una mano.
Una comunità che è amata da chi la circonda, è esempio di autosufficienza e di condivisione.
Forse è proprio per questo che si accaniscono tanto, perchè i Sudanesi di via Scorticabove da anni ormai erano riusciti a non avere bisogno di loro. E non solo, sono diventati un pericolosissimo riferimento per coloro che arrivano da lontano o si trovano in situazioni di estrema necessità.
Ma il futuro, l’unico futuro possibile è generato da quel cambiamento culturale che la comunità Sudanese oggi rappresenta così bene. Il futuro arriva sempre prima delle leggi. Il futuro parte da un cambiamento culturale, di sensibilità, di prospettive. Un cambiamento dell’orizzonte in cui ci si muove e questo possiamo iniziare tutti a metterlo in moto, senza far passare più neanche un solo atto di discriminazione e di violenza. Non si tratta di rispondere con altra violenza, al contrario. Si tratta di denunciare, da una parte, la prepotenza ignorante, qualunque sia la sua provenienza, e di appoggiare, dall’altra, tutte le iniziative che vanno nella direzione opposta che, per fortuna ci sono e sono tante. Si tratta anche di iniziare a costruire, intorno a noi, con le semplici azioni quotidiane, delle comunità di persone capaci di sentire empatia vera (a volte chiamata semplicemente affetto), capaci di aiutarsi mutuamente e di rispettarsi nelle differenze.
Nel difendere la richiesta logica e comprensibile della comunità sudanese di non essere smembrata e dirimanere una comunità, difendiamo il seme di un altro mondo, un seme che ha germogliato e dato il suo fiore nonostante tutto. Dopodiché, i signori verdi, gialli, rossi, blu e multicolore dei governi a venire dovranno adattare le loro leggi a un sistema di relazioni già evoluto.
Questa è la rivoluzione culturale che ci aspetta.