Billy Elliot
Billy Elliot è tratto dall’omonimo film del 2000. Ambientato nel Regno Unito degli anni ’80, la vicenda è quella di Billy, un undicenne che scopre la sua passione per la danza. Inizialmente osteggiato dal padre che lo vorrebbe pugile, il protagonista intraprende un duro allenamento per essere ammesso alla Royal Ballet School di Londra. La storia di Billy è quella di un ragazzo che cerca di sfuggire alla realtà operaia delle miniere di Durham per potersi costruire un futuro migliore di quello del padre.
Il Teatro dell’Opera ungherese ha presentato lo spettacolo a più di 100 mila spettatori in 90 repliche dal 2016. Ciononostante, il quotidiano ungherese Magyar Idők, vicino al premier Viktor Orbán, ha definito l’opera come deviante: “La propagazione dell’omosessualità non può essere un obiettivo nazionale quando la popolazione diventa sempre più anziana e diminuisce, e quando il nostro paese è minacciato dall’invasione”. Il direttore del teatro Szilveszter Ókovács ha risposto alle critiche sostenendo che mettere in scena qualcosa che è un’innegabile parte della vita non significa propagarla, e che si può essere gay e conservatori allo stesso tempo.
Decostruzione linguistica
Nella vita quotidiana non ci si rende conto del potere delle parole né del modo in cui queste influenzino la maniera in cui pensiamo. Le scienze linguistico-cognitive, al contrario, riflettono sull’uso della lingua per dimostrare come l’utilizzo di particolari termini influenzi i nostri giudizi e pregiudizi riguardo ogni argomento.
Per esempio, decostruendo la dichiarazione del quotidiano ungherese si può notare quanto sia omofoba. L’espressione “propagazione dell’omosessualità” induce a pensare all’omosessualità come a qualcosa che si possa trasmettere, al pari di una malattia. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha cancellato l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali il 17 maggio del 1990. Il 19 giugno di quest’anno anche la transessualità è stata cancellata dalla lista. La sessualità è uno spettro, non ha confini rigidi. Ciascun individuo la vive a suo modo in considerazione della propria identità.
La dichiarazione di Magyar Idők dà l’impressione che l’Ungheria stia affrontando una battaglia demografica per la propria sopravvivenza. Tutto ciò richiama alla memoria le politiche demografiche del fascismo. Nel 1927, in Italia, con il discorso dell’ascensione Mussolini introdusse l’idea secondo cui la forza della nazione risiede nel numero. A partire da quell’anno il Duce fece introdurre penalizzazioni fiscali per i celibi ed agevolazioni alle famiglie. Il quotidiano scrive che l’omosessualità: “Non può essere un obiettivo nazionale”. Ne risulta quindi che fare più figli dei rifugiati e della minoranza rom è un obiettivo nazionale ungherese. Fare figli ha quindi smesso di essere una scelta personale per divenire un dovere per la salvaguardia della nazione. Quest’idea è razzista oltre che illiberale.
Infine, quando il quotidiano afferma che il paese è “minacciato dall’invasione”, mente. Secondo il ministero dell’interno ungherese, nel 2018 solo 203 rifugiati hanno attraversato il confine del paese. La parola invasione fa riferimento al campo semantico bellico: un esercito invade, i rifugiati non invadono. Si parla consapevolmente d’invasione per far credere ai cittadini di essere nel mezzo di una guerra. In guerra si ragiona sulla dicotomia “noi o loro”, ma la realtà quotidiana europea è ben più complessa e non richiede certo soluzioni estreme. In guerra si ha bisogno di un leader forte alla guida della nazione. La propaganda bellica ha l’unico obiettivo di legittimare Orbán.
La cultura come anticamera del fascismo
Contrariamente a quanto affermato da Magyar Idők la storia di Billy Elliot è sia educativa che formativa. Non propaga l’omosessualità, ma insegna ai bambini ad essere se stessi, contro ogni pregiudizio. Insegna che la diversità non è un impoverimento ma ricchezza. Billy Elliot avrebbe potuto continuare ad insegnare ai bambini ungheresi che la cittadinanza non è determinata dall’orientamento sessuale.